Un Occhio sul Mondo - 11 gennaio 2025, 09:00

'A Trump piacciono gli orsi bianchi'

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

'A Trump piacciono gli orsi bianchi'

Come se non bastassero i gravi problemi che affliggono l'attuale panorama internazionale che, quanto meno, prospetta situazioni di guerra aperta nelle aree russa-ucraina, Medio-orientale e del Mar Rosso, situazioni di potenziale conflittualità nell'Indo-Pacifico con Taiwan e nei Balcani con la Bosnia e situazioni di indeterminatezza in Siria e nel Corno d'Africa, il neo eletto Presidente degli USA Trump, ha pensato bene di metterci il carico da 90, con alcune dichiarazioni non proprio concilianti.

In particolare, il Tycoon si è occupato della Groenlandia, prospettando una visione che ha annichilito e preoccupato una Comunità europea, già ampiamente traumatizzata da quanto sta succedendo ed in affanno ad identificare un proprio credibile ruolo nell'attuale bailamme internazionale.

L'isola più grande del mondo sembrerebbe essere un vecchio “pallino” di Trump, perchè già nel 2019, durante il suo primo mandato, espresse il proprio chiaro apprezzamento verso questa immensa landa ghiacciata, dichiarando più o meno le stesse cose che ha detto poco prima di Natale, con una frase che lascia pochi dubbi sui suoi intendimenti “Per l'obiettivo della libertà e della sicurezza nazionale nel mondo, gli Stati Uniti considerano la proprietà e il controllo della Groenlandia una necessità imprescindibile”.

Allora, la reazione internazionale diede poco credito ai propositi “invasivi” del Presidente pro tempore, mentre stavolta li ha presi molto sul serio, probabilmente perché enunciati ancor prima di iniziare un mandato quadriennale, che concederebbe il tempo necessario per concretizzarli e perché il contesto internazionale é profondamente cambiato e gli Stati Uniti lo devono affrontare con esigenze molto diverse rispetto al passato.

Attualmente, la Groenlandia gode di uno status molto particolare, perché pur facendo geograficamente parte del Continente Nord americano, politicamente ed economicamente è legata all'Europa, in quanto è parte integrante del Regno di Danimarca (prima ne era una colonia), anche se gode di ampie autonomie. Dal 1985 non fa più parte dell'Unione Europea, ha propri Parlamento e Governo dal 1979 i quali, dal 2008, hanno esteso ulteriormente la loro autorità, comprendendo anche l'importantissimo settore dello sfruttamento delle risorse naturali. In questi anni, la Danimarca ha continuato a gestire gli ambiti della Difesa, della politica estera e della sicurezza.

Peraltro, la Groenlandia potrebbe divenire completamente autonoma, perché una legge danese riconosce ai Groenlandesi il diritto all'autodeterminazione, che si può concretizzare attraverso un referendum, che l'attuale Capo di Governo Múte Egede intende indire prossimamente. E' quindi prevedibile prossimamente una completa autonomia, che consentirà alla Groenlandia di decidere del proprio destino senza alcun condizionamento esterno. Questo, nonostante il Re di Danimarca continui a rivendicare la sua proprietà su questa terra, tanto da aver deciso addirittura di modificare il proprio stemma araldico, inserendo un orso polare a rappresentare proprio la Groenlandia.

Sembrerebbe la solita tipica risposta europea, ad un problema reale e tangibile. Un approccio simbolico, anacronistico ed inefficace che, molto difficilmente, potrebbe condizionare uno come Trump, qualora decidesse realmente di tradurre in realtà i propri voleri.

D'altra parte, Washington sa perfettamente che, sotto il profilo geopolitico, quest'isola riveste, da sempre, un'importanza fondamentale per la NATO, per la sua posizione strategica tra i porti artici della Russia, l'Oceano Atlantico settentrionale, l'Oceano Artico, il Canada e gli Stati Uniti che, da sempre, hanno un occhio di riguardo per la Groenlandia. Dal 1951 sussiste un accordo con la Danimarca per cui gli USA, previa comunicazione (non approvazione) ai due governi locali, possono costruire basi e muovere liberamente mezzi e soldati sul territorio groenlandese.

Ma l'attenzione americana per quest'isola, coperta per l'80% dalla calotta polare, non si limita solo agli aspetti militari, perché la Groenlandia è ricchissima dei cosiddetti metalli rari, materie prime critiche per i settori tecnologici relativi a microchip e transizione energetica (es. veicoli elettrici) le quali, attualmente, sono praticamente in stato di monopolio della Cina.

Il controllo su questa terra consentirebbe un affrancamento da tale situazione, condizione che una superpotenza come gli Stati Uniti non può permettersi di non perseguire, quasi ad ogni costo, soprattutto se si considera che, dei 50 materiali che il Dipartimento di Stato americano definisce come indispensabili, la Groenlandia possiede significativi giacimenti di 43. Inoltre, con lo scioglimento dei ghiacci, i siti di estrazione, che nel 2014 erano solo 14, attualmente sono saliti a 140.

In tale contesto, si può cominciare a comprendere l'origine dei “pruriti” di conquista di Trump e delle sue parole “libertà e sicurezza nazionale nel mondo”, nonchè di tutte le altre cose che ha detto al riguardo, Infatti, con lo stile senza mezzi termini, che ormai tutto il mondo conosce, non ha avuto remore a parlare, inizialmente, di acquisto della Groenlandia, riproponendo una strada che gli USA avevano già invano cercato di percorrere nel 1867 e nel 1946. Ma non ha avuto neanche problemi ad innalzare i toni della questione, paventando anche un'opzione militare per l'occupazione dell'isola, magari mascherandola come rinforzo della difesa di un'area strategicamente importante, per una NATO che non le dedicherebbe sufficienti risorse.

Al momento, solo parole, sostenute però dalla contemporanea presenza del figlio di Trump nella Capitale groenlandese Nuuk. Una visita rapidissima, che è stata definita assolutamente personale dallo stesso Donald Trump Jr. ma che, in termini sostanziali, non può non essere associata alle dichiarazioni del padre che, nelle stesse ore, ad un giornalista che gli chiedeva rassicurazioni circa un eventuale impiego della forza, rispondeva “Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza nazionale. .... Lì ci sono circa 45mila persone. Non si sa nemmeno se la Danimarca ne abbia il diritto legale. Ma se così fosse, dovrebbero rinunciarvi perché ne abbiamo bisogno per la sicurezza nazionale. Questo è per il mondo libero. Sto parlando di proteggere il mondo libero. Basta guardare, non serve nemmeno un binocolo. Guardate fuori, ci sono navi cinesi dappertutto. Ci sono navi russe dappertutto. Non permetteremo che questo accada”.

A questo punto, se nel 2019 analoghe affermazioni del Tycoon erano state considerate al pari di semplici provocazioni, stavolta le reazioni non si sono fatte attendere, anche se quelle più decise non sono state quelle da parte danese. Infatti, i più perentori nella condanna di simili ipotesi americane sono stati i governi francese e tedesco (molto più tiepido quello inglese), che hanno ribadito l'inviolabilità dei confini nazionali e dell'Unione Europea, dimenticando però, che la Groenlandia non ne fa più parte da molti anni.

Un po' più contenuta la reazione danese. Infatti, la Primo Ministro Frederiksen ha addirittura dichiarato di essere “contenta dell'aumento dell'interesse statunitense per la Groenlandia”, definendolo anche “legittimo” e chiedendo un rapido incontro con Trump.

Una reazione probabilmente troppo pacata, di fronte all'ipotesi di una sorta di invasione. E' vero che la Danimarca, con il problema del controllo e della sicurezza degli stretti baltici, eterno problema nei suoi rapporti con la Russia, è fortemente dipendente dagli Stati Uniti, in termini di Intelligence e di supporto militare, però tutto dovrebbe avere un limite di dignità nazionale. A meno che non si sappia già di affrontare una battaglia persa.

Di diversa natura invece le dichiarazioni da parte del Primo Ministro groenlandese, il quale ha subito approfittato dell'alta visibilità del momento, per cercare di fissare il prossimo 6 aprile il famoso referendum per la totale indipendenza dell'isola, garantendosi così la completa libertà di manovra. Poi si è limitato ad affermare laconicamente “La Groenlandia non è in vendita”. Tuttavia, un successivo comunicato del governo di Nuuk ha confermato la piena disponibilità a parlare con Trump, evidenziando quindi un serio interesse per quanto gli Stati Uniti potrebbero proporre. E al riguardo, si potrebbe pensare che, pur se è vero che un ministro groenlandese ha dichiarato che non intendono passare dal controllo di una Nazione (Danimarca) a quello di un'altra (USA), tuttavia, diventare la cinquantunesima stella sulla bandiera americana sarebbe ben diverso da avere il proprio orso bianco sullo stemma di una corona che, ormai, vale praticamente niente. E a questo non si può giurare che i governanti della Groenlandia non ci stiano per niente pensando, soprattutto se si ricordano che la loro Nazione rientra negli “appetiti” anche di altri Attori internazionali, come Cina e Russia, la cui egemonia non sarebbe esattamente come quella di Washington.

Marcello Bellacicco

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