9 novembre 1974. 50 anni fa a Savona scoppiò il secondo dei 12 ordigni che per un anno intero terrorizzarono la città della Torretta Una delle pagine più buie non solo per il comune savonese ma per tutta Italia.
Un periodo nel quale purtroppo regnò la paura legata agli scoppi delle bombe ma che creò anche un senso di comunità e di unione non indifferente. Quel giorno, alle 18,18 del 9 novembre, scoppio un ordigno sul lato posteriore del palazzo dell’amministrazione provinciale di Savona in via Sormano. La carica di dinamite, circa 10 kg di esplosivo, era stata posizionata nel locale caldaie all’interno di un condotto dell’aerazione e si venne a creare un buco di un metro e mezzo con l'abbattimento di alcune pareti. Ad essere ricoverato in stato di choc il custode, l'unica persona presente nell'edificio.
Lo stesso giorno, la mattina, era stato inaugurato un cippo partigiano in memoria di una strage nazifascista, La cittadinanza rispose all'attacco convocando una manifestazione di protesta per il giorno seguente.
Nel primo caso, il 30 aprile, l'obiettivo dell'associazione terroristica neofascista Ordine Nero (che aveva rivendicato l'attentato il 3 maggio seguente con una lettera inviata a Il Secolo XIX a Genova. ndr) era il senatore della Dc Franco Varaldo, chirurgo e presidente dell'Ordine dei Medici. La prima bomba scoppiò proprio nel palazzo dove viveva in via Paleocapa. Per miracolo non ci furono feriti.
Cronologicamente scoppiarono, dopo le esplosioni di via Paleocapa e Palazzo Nervi e in mezzo le bombe il 9 agosto alla centrale Enel di Vado; il 12 novembre alla scuola di via Machiavelli; il 16 novembre su un viadotto ferroviario al Santuario e in un palazzo di Via dello Sperone; il 20 novembre in un palazzo di via Giacchero; il 23 novembre alla stazione dei carabinieri di Varazze e sull'autostrada Savona-Torino all'altezza di Quiliano; il 24 febbraio 1975 dietro il palazzo della Prefettura; il 25 febbraio contro un traliccio dell'Enel a Savona e il 26 maggio contro la Fortezza di Monte Ciuto. Fortunatamente due sole vittime a causa dell'esplosione in via Giacchero (Fanny Dallari e Virgilio Gambolati. ndr), diversi i feriti.
In un anno che però creò un vero e proprio periodo di terrore che portò i cittadini giorno e notte a prendersi cura della propria città. Una Vigilanza Popolare Antifascista che vedeva coinvolti proprio i singoli cittadini, le associazioni, le Croci, Bianca e Rossa, le sezioni di partito, le parrocchie, le scuole, le fabbriche.
Tutti insieme per difendere dal terrorismo Savona. Anche se ad oggi vere risposte non sono mai arrivate.
E proprio di quei terribili mesi in occasione del cinquantesimo anniversario si è discusso in un convegno organizzato dall'Isrec di Savona ieri pomeriggio nella sala della Provincia.
Sono stati analizzati i 12 attentati, la mobilitazione antifascista cittadina, il ruolo della stampa e le diverse piste giudiziarie. Gli interventi saranno tenuti dal gruppo di lavoro che ha avviato nel 2023 presso l'ISREC uno studio approfondito su questi temi composto da Giovanni Lunardon, Angelo Maneschi, Teresa Franca Ferrando, Andrea Avalli e Anna Maria Cimino, Marcello Zinola, Maurizio Picozzi.
Proprio l'ex magistrato, ultimo giudice istruttore sull'indagine delle bombe su Savona dal 1986 al 1989, si è soffermato proprio sull'aspetto giudiziario e sulle ipotesi sulle responsabilità, su compartecipazioni di diverse persone.
"Fondamentali erano state le indagini svolte dalla magistratura e l'abbiamo criticata tutti compreso io - ha detto Picozzi - Nessuno di noi ha poi trovato gli atti dall'86 all'89, in un momento in cui si cerca di ricostruire la storia non si può trascurare i tre anni che sono stati i più importanti per esaminare una delle più importanti vicende di Savona".
Picozzi si è poi soffermato sulle rivendicazioni da parte dell'Ordine Nero passando poi per i pentiti del terrorismo Nero, le rogatorie internazionali in Portogallo e Spagna e due savonesi che erano stati indagati, uno filofascista, Giuliano Pollero, volontario della Folgore che pare possa essere stato autore del posizionamento degli ordigni in Provincia (era anche dipendente dell'ente provinciale) e sull'autostrada Torino-Savona all'altezza di Cadibona e l'altro Fabrizio Terracciano, un estremista nero, in passato presidente dell'associazione paracadutisti Savona, che pare fosse a conoscenza di alcuni episodi dinamitardi.
L'inchiesta fu poi archiviata senza colpevoli ma i depistaggi pare siano stati più di un'ombra.