In questi giorni, qualsiasi forma mediatica è praticamente fagocitata da notizie e, soprattutto, commenti su quanto accaduto il 7 ottobre e su tutte le reazioni che ci sono state e quelle ci potranno essere nelle prossime ore.
In questo mare agitato ed infinito di parole, indubbiamente vengono espressi molti concetti che hanno senso e fondamento, tuttavia mi sento di affermare che la maggior parte sono affannate opinioni alla ricerca di previsioni che, al momento, sono veramente difficili da azzeccare.
La situazione è intrinsecamente complessa e, come se non bastasse, il momento storico che stiamo vivendo la rende ancor più intricata e di difficile interpretazione.
Pertanto, ritengo che, per il momento, sia il caso di attendere i prossimi eventi per poter disporre di maggiori elementi, per azzardare delle valutazioni che possano godere di un minimo di credibilità.
Invece, credo che un rapido approfondimento su tutti i fattori che stanno animando questa drammatica situazione, possa contribuire positivamente per cominciare ad avere una visione più appropriata di quanto sta accadendo e di quanto avverrà.
Cominciamo dalla Striscia di Gaza. Striscia di nome di fatto, perché si tratta di un rettangolo di territorio di 41 km di lunghezza e da 6 a 12 di larghezza, per un'area di circa 360 km2, vale a dire un quarto del Comune di Roma, ma con una popolazione di più di 1 milione e 700mila abitanti, che ne fanno una delle aree più densamente popolate al mondo. Praticamente, un grosso recinto zeppo di gente, con solo 5 varchi di uscita, tutti controllati dagli Israeliani, tranne uno in mano agli Egiziani. Gaza si affaccia sul Mar Mediterraneo e dispone di un porto, ma si può immaginare come sia controllata la costa dalla Marina con la Stella di David.
La città più grande è Gaza City, che viene anche considerata la Capitale morale dello Stato Palestinese e che ha quasi 600mila abitanti, che sono poi quelli a cui il Governo Israeliano, a premessa di un possibile attacco, nelle scorse ore ha imposto un ultimatum di evacuazione verso il sud della Striscia. Praticamente, senza più carburante, 600mila persone dovrebbero abbandonare, a piedi, la loro città.
Dal 1948 al 1966, Gaza era sotto il controllo dell'Egitto, che la perse a seguito della sconfitta della “Guerra dei 6 giorni” subita da Israele, che occupò quindi la Striscia sino al 1994, anno in cui gradualmente passò allo Stato di Palestina. Tuttavia, Israele ha mantenuto il controllo dello spazio aereo, delle acque territoriali, dell'accesso off-shore marittimo, dell'anagrafe della popolazione, dell'ingresso degli stranieri, delle importazioni ed esportazioni e del sistema fiscale. Praticamente, gli abitanti di Gaza sono padroni della sola terra che hanno sotto i piedi. Infatti, tuttora l'ONU considera la Striscia ancora come “Territorio occupato” e non come area libera ed autonoma.
Nel 1996 si tennero le prime libere elezioni presidenziali e legislative, che videro il successo di Yasser Arafat e del suo movimento Fatah, che mantenne il potere sino alla sua morte nel 2004. E' possibile affermare che questo controverso personaggio della storia palestinese non fu un buon amministratore, se non del proprio patrimonio personale che, secondo il Servizio informazioni israeliano Mossad, ammontava a più di un miliardo di dollari, mentre per il Magazine Forbes “solo” a 300 milioni.
Le successiva elezioni del 2006 furono vinte di misura dal movimento Hamas, soprattutto per i voti ricevuti nella Striscia, mentre il contendente Fatah era più forte in Cisgiordania, l'altro territorio dello Stato di Palestina. Seguì un conflitto armato tra i due movimenti che si prolungò per alcuni anni ed ebbe fasi alterne, sino all'affermazione di Hamas, pressoché completamente nella Striscia di Gaza, ma non in Cisgiordania. Ed è per questo che, a seconda della reazione che avrà la Cisgiordania di fronte alla probabile invasione di Israele, i prossimi giorni saranno significativi per capire se Hamas può essere ormai considerato il movimento di riferimento di tutta la Palestina.
Vediamo ora cos'è questo movimento che è stato in grado di portare un attacco cosi sanguinario ma, occorre ammetterlo, anche così ben pianificato ed organizzato, sorprendendo una delle Nazioni militarmente meglio organizzate al mondo.
Hamas è l’acronimo di Harakat al-Muqawwama al-Islamiyya, che significa Movimento di Resistenza Islamica. Peraltro, nella lingua araba, la parola Hamas esiste e significa “entusiasmo”.
Il movimento fu fondato nel 1987 dallo sceicco Ahmed Yassin, un elemento di spicco delle controversie medio-orientali, molto vicino ai Fratelli Musulmani e nemico giurato di Israele, che lo assassinò nel 2004 con missili lanciati da due suoi elicotteri. L'azione fu criticata da mezzo mondo e solo il veto americano preservò Israele da una Mozione di condanna dell'ONU.
Hamas è un'organizzazione religiosa islamico - palestinese che ha un braccio politico-militare, la “Brigata al-Qassam”, che è quella che ha condotto l'attacco del 7 ottobre, con le efferatezze contro i civili israeliani e l'ala politico- sociale Dawa, che controlla le moschee, moltissime scuole, strutture sanitarie e associazioni assistenziali nella Striscia di Gaza.
Per quanto previsto dal suo Statuto, Hamas si pone gli obiettivi di far tornare la Palestina alla condizione ante 1948 e di costituire uno Stato palestinese e considera il Jihad l'unica soluzione da attuare.
E infatti, a partire da quella del 1987, fu protagonista delle due Intifade contro Israele, con il quale ha in corso un confronto mortale che dura da trent'anni, durante i quali più della metà degli attacchi sono stati condotti proprio da Hamas.
L'ultimo scontro tra i due nemici giurati, prima di quello attualmente in corso, risale al 2021 e in quei 11 giorni di combattimento morirono almeno 250 persone a Gaza e 13 in Israele.
Anche se le perdite israeliane sono sempre state infinatamente inferiori rispetto a quelle palestinesi, tuttavia Hamas può vantare un grande successo nel 2011, allorchè riusci ad imporre uno scambio di prigionieri decisamente vantaggioso. A fronte della restituzione di un solo soldato, tenuto prigioniero per 5 anni, ottenne la liberazione di mille suoi militanti, detenuti nelle carceri in Israele. Un prezzo che Tel Aviv è sempre stato disposto a pagare pur di liberare i suoi ostaggi, per cui si può immaginare cosa possa fare ora che gli ostaggi sono decine.
Inutile dire che Israele considera Hamas un'organizzazione terroristica, ma non è il solo perchè, tra gli altri, anche l'Unione Europea, Stati Uniti, e Regno Unito la pongono nella loro black list.
Ma come si finanzia un movimento di questo genere?
Hamas ha diverse fonti di finanziamento sia private che istituzionali ed alcune sono veramente sorprendenti e, probabilmente, lasciano l'amaro in bocca.
Uno dei principali finanziatori è l'Iran, ormai da diversi anni. Il Dipartimento di Stato americano ha stimato un flusso/anno di circa 100 milioni di dollari da Teheran alla Striscia. Le motivazioni sono ideologiche, nella considerazione del comune odio atavico verso Israele, ma anche strategiche. Hamas, al pari del libanese di Hez Bollah, è un ottimo ed efficace partner di destabilizzazione nell'area, in grado di minare qualsiasi processo di distensione tra la componente araba e quella ebraica. Proprio come in questo periodo, in cui l'accordo che Arabia Saudita e Israele stavano per sottoscrivere, sotto l'egida americana, è stato interrotto dall'attacco del 7 ottobre.
Quatar, Sudan, Paesi del Golfo e altri sostengono Hamas e sussiste il sospetto che lo faccia anche la Turchia la quale, comunque, non lo considera un movimento terroristico.
Una ulteriore via di finanziamento è quella delle Organizzazioni Internazionali, come l'Unione Europea, che pensando di supportare opere umanitarie, elargisce centinaia di milioni di Euro a Gaza, che finiscono invece nelle casse di Hamas. Proprio in questi giorni, la UE ha bloccato l'invio di 691 milioni di Euro, subordinandolo alla cessazione dei combattimenti. E qui scatta l'amarezza.
Una Unione Europea distratta e superficiale, che sembra viaggiare sempre a rimorchio e che non riesce ad assumere un ruolo da protagonista, rimanendo sempre un passo indietro rispetto agli eventi.
Infine, lo Stato di Palestina. Lo si potrebbe definire uno Stato non stato, perché é veramente unico nel suo genere ed è il frutto di quell'ipocrisia che, talvolta, attanaglia la Comunità internazionale, portandola a fingere di individuare soluzioni definite e definitive per molte aree di crisi, con I risultai che conosciamo (esempi Kosovo e Bosnia I più vicini).
In termini territoriali, lo Stato di Palestina teoricamente si compone della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme est. Tre entità che non godono della continuità territoriale, perché inframezzate da Israele. Già questo aspetto è molto significativo.
Esiste un Presidente, che attualmente è Mahmoud Abbas e anche un Primo Ministro, Mohammad Shtayyed. Lo Stato di Palestina fa parte delle Lega Araba e anche del Comitato Olimpico internazionale, così come di altre Organizzazioni Internazionali, tra cui la più grande al mondo. Infatti l'ONU lo riconosce, ma solo come “Stato non Membro con status di Osservatore Permanente”. Anche l'Unione Europea, così come gran parte dei suoi Stati Membri, intrattiene relazioni diplomatiche con lo Stato di Palestina, anche se non lo riconoscono ufficialmente.
Le Nazioni nel mondo, che lo riconoscono ufficialmente, sono 135, sui 191 membri all'ONU e l'ultima, in ordine di tempo, che lo ha fatto è stata la Svezia nel 2014. Tra i 135 ci sono Russia, Cina, India, Turchia, Sud Africa e Nord Corea, mentre sono assenti gli USA e tutte le principali democrazie occidentali, compresa l'Italia.
Concludo con una considerazione. Anche lo “Stato non Stato” di Palestina che, qualora esistesse per tutti, sarebbe di circa 6mila Km2, con una popolazione di circa 5 milioni di abitanti, quindi solo un granello nella spiaggia del globo, dimostra che si sta confermando una divisione netta del mondo in due parti, che si stanno contrapponendo su tutto.
Da un lato quel mondo occidentale, commissariato dagli Stati Uniti, che ha imposto la sua politica mondiale per decenni, ma che ora sta arrancando cercando di non perdere il suo potere, dall'altro un gruppo sempre più nutrito di Nazioni, svelte, intraprendenti e capeggiate dalle economie emergenti, che non intende più sottostare ad una egemonia che non vuole più riconoscere.
Se queste due parti non troveranno i necessari punti di incontro, anche su problematiche come quella palestinese – israeliana, il confronto tra loro potrebbe assumere sempre di più i toni dello scontro, con le conseguenze purtroppo facilmente immaginabili.