Parte da eventi tragici come il vastissimo incendio del settembre 2006 di Spotorno, dove oltre a decine e decine di ettari di bosco perse la vita anche un cittadino spotornese, un messaggio di "speranza per il futuro, di riuscire a fare qualcosa che ci permetta di mitigare e adattarci ai cambiamenti climatici".
A sintetizzare lo scopo più alto del progetto pilota di "rinaturalizzazione" delle aree colpite da roghi attraverso una vegetazione resiliente presentato nella mattinata nel municipio rivierasco, è stato Luca Ferraris, presidente di Fondazione CIMA, che dal 2015 ha curato il rimboschimento, con oltre 500 piantine di leccio, di uno spazio di circa un ettaro di terreno andato devastato dalle fiamme.
Un'area molto ristretta rispetto al totale andato in allora completamente perso (circa 300 ettari) in una delle pagine di cronaca recenti più segnanti per il centro rivierasco, ricordata davanti ai suoi giovani concittadini della 2A dal sindaco Fiorini: "Dagli anni '80 il nostro territorio è stato colpito da numerosi incendi. Avevo sei anni di esperienza come vigile del fuoco volontario e affrontato diversi roghi - ha detto - ma quando la propria famiglia e la propria abitazione ne sono minacciate si tratta di una delle esperienze più complicate da affrontare".
A spiegare tutti i processi decisionali è stato il ricercatore di Fondazione CIMA, Paolo Fiorucci, a cui è toccato spiegare la diverse fasi del progetto e i risultati del progetto. Il tutto partendo dalla considerazione di come principalmente ad aumentare il rischio incendi di una determinata zona sia il tipo di vegetazione (macchia, praterie e pinete), in particolare quella riconducibile all'abbandono delle attività rurali. La domanda posta alla base era come accelerare e favorire il fenomeno di "rinaturalizzazione", che senza un'azione catalizzatrice richiede molto tempo e spesso viene messo a rischio dalla presenza antropologica, anche in condizioni di "stress" climatico.
Una scelta, quella del leccio, non casuale. Questa pianta, i cui semi sono stati raccolti in questo caso nei vicini boschi delle Manie prima di passare alle "cure" del vivaio di Pian dei Corsi in concessione all'ora a CIMA, è infatti tra le più resilienti: "Osservando le condizioni meteorologiche delle ultime estati, caratterizzate in particolare da precipitazioni molto meno importanti del solito associate a temperature spesso superiori ai 35 gradi - spiega Fiorucci - i lecci hanno dimostrato di saper sopravvivere e insediarsi su quel tipo di suoli anche in queste condizioni".
Una forte resistenza agli incendi e un'intensa capacità di sopravvivere naturali per il leccio in condizioni "normali", ovvero senza l'azione combinata climatica e del fuoco alla quale si può porre rimedio accelerando i processi rispetto a come solitamente si compiono in natura: "L'aumento della siccità potrebbe stressare il leccio in maniera che non tutte le piante riescano a 'ricacciare' dopo un incendio - spiega la dottoressa Mara Baudena del CNR - Questo, con un cambiamento del clima importante, potrebbe portare al fatto che le foreste di leccio possano scomparire. Azioni di questo tipo possono quindi aiutare a superare le fasi più critiche più presto".
E' quindi l'ostinazione, nella sua accezione positiva, il concetto messo in luce dal progetto pilota. Anche nel superare l'aspetto burocratico e programmatico, sottolineato anche dal sindaco Fiorini: "Credo vada fatto uno spunto di riflessione partendo da quanto questa vicenda sia stata complicata pur avendo fini chiari e condivisibili, in particolare sull'importanza della pianificazione e sugli interventi di riforestazione, ancora troppo rari e distanti nelle politiche comunali e regionali". Ma anche sul futuro dello stesso vivaio di Pian dei Corsi.