Il consiglio regionale ligure cancella l'Osservatorio sicurezza e criminalità e non mancano le critiche da parte delle diverse fazioni politiche.
Con il criminologo Stefano Padovano docente di Criminologia e Sociologia del disagio e della devianza all'Università di Genova e Cattolica di Milano, ci siamo soffermato sul tema analizzando alcuni aspetti.
Come commenta l'abolizione dell'Osservatorio sicurezza e criminalità dalla legge regionale di riordino sul tema?
Come ho già detto ad altri suoi colleghi non spetta a me fare commenti su una decisione politica. Se la giunta ha deciso così non rimane che rispettarla. Pensi che molti non erano a conoscenza dell'Osservatorio e che in una convocazione del Tavolo per la Legalità un assessore aveva scelto di presentare uno dei rapporti annuali dell'Osservatorio. Per fortuna a smentirli ci sono gli atti della Regione, oltre che tredici rapporti in quindici anni presentati alla stampa in tre legislature diverse, quindi se vuole posso fare delle valutazioni tecnico-operative sennò ci fermiamo qui.
Allora parliamo almeno di quelle?
Si tratta di errori fatti nello spazio di tre legislature, cioè quindici anni fa. La delega alle politiche di sicurezza urbana, per quanto prevista dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, è sempre stata una competenza residuale. Per quanto le Regioni abbiano il compito di legiferare, coordinare, valutare e finanziare gli interventi nei e coi Comuni, è stata politicamente affidata a settori privi di competenze specifiche. In Liguria, dal 2005 ad oggi è passata dal settore legislativo a quello della comunicazione, per poi andare a quello della farmaceutica, poi è passata di nuovo al legislativo, per poi ritornare alla farmaceutica. Capisce che questo è già un segnale di disattenzione istituzionale. Il buon senso avrebbe voluto che negli anni si costituisse almeno un piccolo servizio regionale in grado di occuparsene con professionalità specifiche. Quando andavo ai convegni con gli altri dirigenti regionali o alle riunioni al Ministero dell'Interno mi chiedevano: 'ma quando si decide la Regione a istituire una struttura come hanno tutte le altre?'.
Non sarà solo questo il punto critico?
Non è poco mi creda, sa quante volte ho indicato a funzionari e dirigenti che le polizie locali non sono le forze dell'ordine dello Sdi o altri strafalcioni simili? Vede, amministrare il tema della sicurezza urbana integrata, il ruolo delle polizie locali, affrontare la criminalità predatoria e organizzata, i beni confiscati, la prevenzione, la formazione che necessitano gli operatori, compiere analisi di valutazione rispetto a ciò che si delibera e finanzia non è affatto semplice se non si posseggono le debite competenze. Nei casi più tristi, gli amministratori arrivano nelle sedi deputate, consigli e giunte, dimostrando di non sapere neppure di ciò che parlano. Le faccio un esempio che riguarda la legge approvata ieri: ha presente cosa significa varare una norma che esclude dalla sicurezza urbana integrata il ruolo dei Questori? Al di là della forma, che non è poca cosa, nel senso che il rispetto interistituzionale viene prima di tutto, guardi che i Questori se devono richiamarsi a un coordinamento operativo di ruoli e funzioni, si poggiano sul passaggio prefettizio interno ai Comitati provinciali ordine pubblico. Ma in una legge regionale, escluderli da un organo consultivo, significa non conoscere le norme nazionali e mancare su un punto che per una Regione è centrale: prefigurare la sicurezza urbana integrata. La categoria che avrebbe dovuto includerli in nome di un lavoro più coordinato e distinto per ruoli, pare abbia espresso parere favorevole ad avvallare la norma. Siamo al paradosso.
Può essere più chiaro?
Fermo restando che una legge regionale esprime la volontà dell'assessore che la porta in Commissione e poi in Consiglio, sulla legge approvata ieri quali pareri ha espresso il Comitato tecnico regionale di Polizia Locale? Comprende che contraddizione?! Io però parlerei di 'apparente' contraddizione, perché da un lustro almeno la tendenza regionale è quella di fare esercitare alle polizie locali competenze liminali, per non dire sostitutive, a quelle delle forze dell'ordine, disconoscendo alle nuove leve l'importanza delle funzioni attribuite alle polizie locali. E di nuove leve ne so qualcosa perché me li ritrovo ai corsi di laurea, ai master, alla formazione di ingresso come operatori di categoria C. Dunque, le miopie che esprime questa legge, evidenziano la scarsa conoscenza del tema e mettono in risalto la poca prudenza nel maneggiare gli strumenti di cui si dispone. Non si capisce se chi dovrebbe consigliare tecnicamente le parti politiche lo fa per davvero o se quest'ultime cavalcano gli umori di altri.
Un altro esempio?
Potrei farne almeno uno per ogni articolo della legge. Si motiva la dotazione di caschi e scudi per effettuare i Tso. L'ho sentito ieri sera al Tg. Ma quale Comandante di Polizia Locale favorisce l'uso di simili strumenti per applicare una misura sanitaria? Qualcuno pensa sia così imprudente da mandare i suoi uomini allo sbaraglio? La dotazione di giubbetti, guanti antitaglio e altre misure protettive ha un senso, ma talora debba essere usata, perché in molti casi le persone che soffrono di patologie mentali non oppongono resistenza a un ricovero ospedaliero anzi, è proprio ciò che desiderano quando la sofferenza si fa troppo acuta, ma non caschi e scudi. Piuttosto rende bene l'idea di cosa pensano alcuni segmenti della politica di chi è affetto da tali patologie. L'equazione è: psichiatrici? Tutti violenti. Ma vede, le faccio un esempio che rende più chiaro il ragionamento: l'anno scorso ero nel ponente ligure a presentare un libro. A un certo punto spunta l'assessore alla sicurezza per raccontare alla platea la lista di arresti di polizia giudiziaria eseguiti dalla sua Polizia. Chiusa la lista, tra lo stupore di chi partecipava al dibattito, una psichiatra e un assistente sociale, è sceso e se ne è andato. Come questo le potrei fare altri esempi. Ne vengo da un tour italiano di otto mesi. Tendenzialmente l'approccio della politica al tema è questo: privilegiare lo il solo sfoggio di caschi e scudi, tralasciando quanto di fondamentale costituisce il resto.
E sull'abolizione degli Osservatori proprio non vuole parlare?
Se fosse solo questo il problema, le dico che il rapporto sulla criminalità continua a essere pubblicato. Nel 2021 è stato dedicato alla provincia savonese con un focus su tutta la regione, il prossimo è dedicato all'imperiese. Non si è fermato niente. Se non l'interesse della Regione Liguria a rinnovare la convenzione con l'Università. E ad onore di cronaca non ci trovo nulla di illegittimo. L'Osservatorio che la Regione Liguria aveva affidato in convenzione all'Università di Genova ha prodotto analisi che non si limitavano agli incroci statistici perché sulla criminalità coi soli numeri non si va lontano. Per alcuni reati o fenomeni di devianza se non li si accompagna da analisi in profondità non si ha la misura di ciò che serve per legiferare, deliberare, finanziare. Questo è stato il senso del funzionamento dell'Osservatorio, dall'applicazione della legge 28/2004, poi dal 2007 è stata varata la legge 7/2012 sul contrasto alla criminalità organizzata che ne ha istituito un altro. Il punto è che le funzioni del secondo sono state da subito accorpate a quelle del primo: da un lato per evitare doppioni, dall'altro perché i fenomeni di criminalità organizzata sono stati approfonditi fin dal 2006. Ricordo una prima ricerca svolta presso l'allora Tribunale di Sanremo dal titolo eloquente: criminogenesi di una realtà invisibile, ma penso anche alla violenza di genere e ai maltrattamenti in famiglia, con un lavoro nei pronti soccorsi per individuare le segnalazioni delle donne nella provincia di Savona, o sulla prostituzione nello spezzino. La questione è che uniformare le due leggi, Osservatori compresi, era compito delle giunte precedenti. Questo non è stato fatto e chi è subentrato ha colto l'occasione per fare tabula rasa. Farlo disconoscendo ciò che è stato fatto e che è di pubblico dominio non mi sembra una prova di forza. Anche al netto di sottovalutazioni ed errori che rischiano di tornare indietro come boomerang.
In conclusione, cos'altro non funziona di questa legge?
No cosa non funziona, ma che cosa manca: la più completa assenza di strategie. Tutto gravita intorno alle polizie locali, ma finché non si legifera a carattere nazionale, è inutile fare le fughe in avanti, perché tutto rischia di tradursi in una bolla di sapone. La legge corre il rischio di essere impugnata e di tornare al mittente, screditando l'istituzione che l'ha varata. La mancanza di prospettiva si misura con la sopravvalutazione che viene concessa alle polizie locali. Queste non hanno più quel ruolo importante che hanno sfiorato nei primi anni Duemila. Se oggi si vogliono creare delle efficaci politiche di sicurezza urbana, al centro troviamo altri settori e figure delle amministrazioni comunali e dei contesti socio- sanitari con cui coordinarsi in rete. Guardare alle sole polizie locali significa rimanere fermi almeno a dieci anni fa. E questa non è una regione che può restare ferma a dieci anni fa.