Attualità - 04 luglio 2021, 14:00

La Fiaba della Domenica: "Il vitellino"

In quella stalla vivevano in quaranta tra buoi, mucche e vitellini, tutti d'amore e d'accordo, in grande solidarietà e intesa tra loro, gioendo tutti delle gioie di uno e stringendosi tutti nel dolore di un altro

La Fiaba della Domenica: "Il vitellino"

C'era una volta una stalla modello. Ma non nel senso moderno, ove tutto è sterile, ove funzionano mungitrici meccaniche che rendono la mucca un distributore e la stalla una sorta di stazione spaziale, ove il cibo per gli animali giunge tramite un nastro trasportatore che fa somigliare la stalla a un ristorante giapponese con le tazzine del sushi, ove gli animali non si muovono mai, se non per l'ultimo viaggio, quello verso il macello.

No, quella stalla era modello nel senso etico, nel senso dei rapporti cordiali tra i bovini e del senso di libero arbitrio che essi potevano esercitare. In quella stalla vivevano in quaranta tra buoi, mucche e vitellini, tutti d'amore e d'accordo, in grande solidarietà e intesa tra loro, gioendo tutti delle gioie di uno e stringendosi tutti nel dolore di un altro.

Era un vero piacere, in quella stalla, ascoltare le fiabe che la sera, al tepore del fieno riscaldato dal fiato, Toro Saggio, il più anziano del gruppo, narrava agli altri bovini, piccoli e grandi che, attenti, ascoltavano stretti gli uni agli altri, propiziandosi il sonno e i buoni sogni.

Era un vero piacere altresì osservare la cura che le madri fornivano ai vitellini, sia che fossero i propri sia che fossero quelli delle altre mucche della stalla. E le più anziane dispensavano alle giovani madri perle di antica saggezza su come nutrire, allevare, proteggere i vitelli e con l'esempio e le forze rimaste le aiutavano in ogni frangente e in ogni incombenza sia dentro sia fuori la stalla.

“Attenta Brunella”, diceva la vecchia Zia Mora, “stai viziando il tuo vitellino e soprattutto lo farai troppo ingrassare!”. Rimbrottava Saveria:”Voi giovani torelli farete crollare le pareti della stalla con i vostri spintoni!”. Insomma in quella stalla regnavano l'armonia, il rispetto, la tolleranza, la parola degli anziani, l'ascolto dei giovani e tutto scorreva in un paradiso terrestre mai realizzato altrove.

Da notare che tutto il latte prodotto veniva utilizzato per i vitellini o barattato in cambio del fieno per l'inverno, quando la neve ricopriva ogni prato, impedendo ai bovini di nutrirsi con la tenera erbetta dell'estate, quando il verde fulgore di essa si fondeva con l'azzurro nitore del cielo.

L'educazione dei giovani, in quella stalla, era parte integrante dell'armonia del tutto: anzi era la parte più importante, in quanto, con essa, gli adulti e gli anziani potevano perpetuare i valori solidi e duraturi della stalla, potevano plasmare i giovani ai comportamenti che avrebbero potuto consentire il tranquillo e sereno proseguire della vita nella e della stalla, potevano insegnare ai vitelli tutti i segreti per vivere sereni e a lungo, senza nemici, senza sospetti e senza tenzoni. E ogni vitellino, per anni, veniva educato, seguito, indirizzato con le parole e soprattutto con l'esempio.

E ogni madre, felice, affidava i figli alla saggezza, alla sapienza e alla cultura della comunità. Ma non Regesta, lei no, lei aveva altre ambizioni per il suo piccolo Narciso, lei disdegnava, da tempo, la stalla, l'olezzo dello stazzo, il rito della fiaba serale, il frugale pasto bovino.

Regesta aveva cominciato a instillare, giorno dopo giorno, in Narciso la finzione della diversità, della superiorità, del vile destino che gli aveva dato sembianze di bue quando lui meritava molto, ma molto di più, l'esser aquila, ad esempio, in grado di volare nell'alto dei cieli, ove l'altezza, si sa, ci avvicina a Dio, l'esser gazzella, magro, agile e scattante, l'esser leone, re incontrastato di tutti gli animali, mordace e graffiante, capo immediato di tutta la stalla, altro che timido educando, l'essere uomo, l'unico animale sempre eretto, l'unico in grado di dominare senza l'uso della forza, ma con qualcosa di molto più forte, l'intelligenza.

E Narciso, giorno dopo giorno, si nutriva di sdegno, si pasceva di arroganza, si gonfiava di autocompiacimento, guardava tutti dall'alto in basso, salutava con sufficienza, sbuffava a ogni consiglio e scrollava le spalle a ogni indicazione fornita dai saggi del gruppo.

E così Regesta decise di affidare l'educazione di Narciso al di fuori della stalla.

Fu una decisione storica: mai prima di allora un vitello era stato portato fuori, lontano dalle certezze delle abitudini e dalle sicurezze degli anziani. Mai un piccolo era stato orientato verso azioni e comportamenti diversi da quelli del gruppo, mai e poi mai qualcuno si era discostato dalla via maestra.

E Regesta affidò Narciso a colui che più riteneva abile, astuto, intelligente, capace di progresso e di comodità, certa che il suo piccolo ne avrebbe mutuato abitudini e abilità per avviarsi felice verso un radioso sole dell'avvenire. Regesta affidò il suo piccolo all'uomo.

E l'uomo prese il piccolo Narciso, lo inserì in una linda e asettica batteria di vitelli, nutriti alla stessa ora, lavati meccanicamente ad orari stabiliti, educati a ingozzarsi senza curarsi delle esigenze degli altri, abituati a crescere in fretta tra antibiotici e integratori e con lo sdegno per il contatto degli altri, a svilupparsi in fretta per essere poi avviati, senza fare nessuna fatica e nel trionfo della musica, a un nastro trasportatore e a una stanza dove, dopo un rapido colpo alla testa, venivano apprezzati per le sode carni, sezionati e... prezzati.

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