Attualità - 26 luglio 2020, 10:30

La Fiaba della Domenica: "La partita di pallone"

Quante affascinanti metafore sulle dinamiche familiari si celano dietro al gioco del calcio!

La Fiaba della Domenica: "La partita di pallone"

Federico amava il gioco del calcio, viveva per il calcio. Negli assolati pomeriggi della sua città, quando la calura toglieva il fiato e si poteva a malapena stare fermi per non sudare, Federico correva, correva tornando dalle incombenze e dai piccoli servigi richiestigli da mamma e papà, correva dietro al suo pallone di cuoio, appendice ormai consueta del suo piede, appendice della sua anima e del suo desiderio di crescere.

E correva Federico per giungere prima nei compiti a lui richiesti, per poi essere libero di correre ancora verso il campo di calcio, ove correre infine libero di giocare una partita coi suoi amici di sempre, Linneo il difensore, Ambrogio il portiere, Secondo il più pigro, Carlone il più grosso, e così via tutti gli altri bambini della sua borgata.

Ma Federico era il più bravo: un vero talento, un attaccante puro, ma bravo a tornare, a difendere, una macchina da goal, instancabile e fiero della sua bravura e orgoglioso di dimostrarla nei fatti.

Quante bonarie baruffe tra quegli amici!

Quanti rudi e felici scontri!

Quanti stinchi pieni di lividi e ginocchia sbucciate!

Le porte erano fatte con dei sassi per terra e il campo un duro e polveroso sterrato.

E dopo le furibonde partite negli assolati pomeriggi come era bello tornare a casa e godere di tutti i complimenti di papà; infatti, la vera molla per l'energia di Federico era proprio il suo papà: tornato a casa, il padre lo abbracciava, tutto sporco com'era, e stringendolo forte diceva: “quanti goal ha fatto oggi il mio campione?”

Certo la mamma era meno festosa. “Subito in doccia maialino!” affermava “E vedi di mettere subito a lavare i tuoi vestiti!”.

Nei piovosi pomeriggi della sua città, quando la pioggia cade così forte e imperturbabile da lasciare persone e animali a guardare il cielo con apprensione, Federico correva tornando da scuola. Correva a perdifiato, incurante dell'acqua che lo bagnava copiosamente, dietro la sua immancabile appendice, il suo pallone di cuoio. Federico aveva fatto un patto con il bidello: siccome era proibito portare palloni a scuola, lui lasciava il suo il mattino al bidello che lo custodiva, per poi ridarlo al bambino all'uscita di scuola e, in cambio, Federico si impegnava per sé e per i suoi compagni a non seminare cartacce nell'aula e a raddrizzare i banchi prima di uscire.

E via, dopo la scuola, pioggia, vento o neve che ci fossero, di corsa al campo di calcio per l'ennesima arruffata partita.

Da tempo tutti dicevano al papà di Federico che il bambino era un talento: così il buon Nastasio, suo padre, si decise a iscriverlo alla scuola calcio della Mastruzzese, una delle più accreditate squadre giovanili della sua città.

Che gioia! Che tripudio! Che irrefrenabile felicità!

Federico non stava più nella pelle: ora avrebbe giocato al calcio con una vera maglia e con veri calzoncini e calzettoni, oltre che con le vere scarpe da gioco! E si sarebbe allenato sotto la guida di un vero mister, così come si fanno chiamare i veri allenatori di calcio.

Addio baruffe sullo sterrato, addio porte finte senza traversa, addio arbitri amici degli amici, arrabbiati perché nessuno voleva fare l'arbitro e vendicativi perché era toccato a loro!

Ora tre o quattro allenamenti a settimana e la domenica una vera partita, in un vero campionato, tutte le domeniche!

E iniziò per Federico la nuova vita!

Era proprio molto bravo, un vero e genuino purosangue!

Veloce, coraggioso, tecnico nato, con un senso del goal come pochi altri campioni più grandi di lui.

Per Federico era bello giocare, era bello allenarsi, con ogni tempo, con le peggiori intemperie, con gli urli del mister e i rimbrotti dei compagni di squadra, era bello leggere sul giornale della domenica quanto celebrassero le sue azioni e i suoi goal.

Neppure a dirlo, la sua squadra in breve arrivò prima e tenne la testa della classifica.

Ma la cosa più bella, la più stupefacente per Federico, quella che più gli donava gioia e che lo spingeva ad essere forte e impavido sul campo di calcio, era la presenza costante sugli spalti del suo adorato papà.

Non perdeva un solo allenamento del figlio, il padre, figuriamoci poi le partite.

Incitava, applaudiva, s'infervorava e gioiva nelle molte vittorie, soffrendo nelle rare sconfitte della squadra di Federico.

Si giostrava gli orari di lavoro, faceva turni prolungati e stancanti pur di essere sempre e comunque sugli spalti a gioire e soffrire per la squadra e con la squadra.

E' proprio una vita perfetta” pensava Federico ogni giorno, “tutto va per il meglio e io diventerò un grande calciatore!”

Ma non sapeva, Federico, che le certezze non sono del mondo, non poteva capire che tutto può cambiare, anche la vita dei bambini proprio così come cambia il tempo: a volte, repentinamente, dal sole si passa a scrosci di grandine devastante, a volte, pian piano, il cielo si annuvola. E prima timidamente e poi in modo sempre più arrogante vento e pioggia distruggono il sereno e la sua luce, portando freddo e buio!

Per la verità Federico aveva notato che mamma e papà non si parlavano più, che mamma guardava il papà in modo strano, come a un estraneo cattivo dal quale si temono azioni pericolose e del quale non si ha nessuna fiducia.

Ma c'era il calcio, con la rassicurante e stimolante figura del papà sempre presente e ben visibile, forte come una roccia che ti trasmette la sua forza solo a guardarlo.

Ma un giorno, uno strano giorno, di pioggia incessante e monotona, con la terra ebbra d'acqua e gli alberi sfiniti nel cercare di rimanere in piedi sotto la sferza del vento, un giorno come tanti con l'allenamento previsto per il tardo pomeriggio, al posto del suo papà che arrivava trafelato dal lavoro per portarlo sul campo di calcio, arrivò il padre di un suo compagno di squadra.

Vieni Federico, oggi ti porto io ad allenamento insieme a Clodoveo, il tuo compagno, e passiamo a prendere anche Gustavo e Norberto”.

A malincuore, Federico salì sull'auto dell'uomo senza neppure il coraggio di chiedere spiegazioni alla sua mamma. Era la prima volta, dopo anni, che il papà mancava all'appuntamento per loro più importante: ansia, timore, speranza, incredulità, angoscia, rabbia, vuoto, inquietudine si alternavano nel cuore del bambino. Fu un allenamento interminabile e noioso: spesso il mister lo dovette richiamare ai suoi doveri, lui era assente.

Ma sperava di trovare comunque il suo papà al ritorno a casa. Invece no.

La mamma, imbarazzata e rabbiosa, gli spiegò che un giudice aveva deciso che lui, il suo papà, avrebbe dovuto vederlo ogni quindici giorni e per una sola giornata!

Sgomento, furore, terrore, è impossibile descrivere ciò che esplose nel cuore di Federico.

Inforcò la sua bicicletta e, sotto la pioggia battente, cominciò a pedalare con furia, con forza, battuta dopo battuta, con i denti che battevano fra loro più dei pedali.

Finché cadde e tutto fu buio.

Si risvegliò, non seppe mai dopo quanto, nel suo letto e aperti gli occhi disse subito “papà!”.

Ma c'era solo la mamma insieme alla buona vicina di casa.

Ma, si sa, la vita continua e le ferite continuano a sanguinare.

Federico continuava allenamenti e partite, ma non era più lo stesso.

La piccola grande promessa del calcio, il puro talento, indomito attaccante, con un innato senso del goal, non era più lui.

Stanco, svogliato, assente, non correva più, non faceva più gioco di squadra e, soprattutto, era molto, molto falloso.

Non perdeva occasione per attaccare briga con i compagni e avversari, per scalciare e sgambettare durante la partita.

I cartellini rossi e le espulsioni non si contavano più.

Ma non era così ogni quindici giorni: quando il suo papà, con le lacrime agli occhi, poteva tornare sugli spalti a incitarlo, Federico si trasformava, tornava il grande giocatore di un tempo, segnava, era correttissimo in campo, correva e portava ogni volta la sua squadra a smaglianti vittorie.

Ma la volta successiva era di nuovo un disastro.

Mi manca papà!”, diceva Federico dopo una disastrosa partita.

Gli manca papà”, dicevano ormai tutti gli altri genitori.

E così il mister, i compagni, gli avversari, l'arbitro, i segnalinee, i giornalisti.

La Mastruzzese, la squadra di Federico, era di proprietà del signor Gambadilegno che ne era anche il presidente.

Egli convocò il mister nel suo grande ufficio per discutere la situazione del piccolo grande talento.

Tanto fecero, tanto scrissero, tanto palesarono la palese ingiustizia che ottennero dal giudice un cambiamento nella disposizione: ogni volta che Federico era sul campo, al suo papà era concesso di essere con lui!

La gioia del presidente Gambadilegno e del mister era anche la gioia di un padre e di un figlio: e le partite, da quel giorno, furono molto più lunghe, finivano sempre ai supplementari!

Tratto da: "Le fiabe per... la famiglia allargata (un aiuto per grandi e piccini)", di Elvezia Benini, Giancarlo Malombra e Cecilia Malombra, collana "Le Comete", Franco Angeli Editore. Prefazione di Maria Rita Parsi.

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

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In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli). 


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