- 28 marzo 2019, 18:00

Franco Malerba, da Genova allo Spazio: "Ecco cos'è cambiato dalla mia prima missione da astronauta"

E' stato il primo italiano a salire sullo Shuttle Atlantis e viaggiare nello spazio. Si tratta di Franco Malerba, genovese, che ha appena pubblicato il libro "Professione astronauta". Lo abbiamo intervistato (FOTO)

Franco Malerba, da Genova allo Spazio: "Ecco cos'è cambiato dalla mia prima missione da astronauta"

È appena uscito il suo libro “Professione astronauta. La lunga strada per arrivare allo Spazio” (Sagep). Chi può essere se non il primo astronauta italiano nello spazio? Naturalmente è il genovese, di Busalla, Franco Malerba, che sta partecipando anche alla Biophisic week in collaborazione col Cnr di Genova (il 29 Marzo incontrerà gli studenti a Palazzo Ducale). E proprio dall’Istituto di Biofisica del Cnr e nel laboratorio di Camogli, ha avuto inizio la sua carriera spaziale - da ingegnere, fisico e militare di Marina -, sempre accompagnato dalle note di canzoni che hanno segnato i momenti cruciali della sua vita, dall'Inno di Mameli cantato alle elementari, alla ballata triste "Major Tom" e "Space Oddity" di Bowie.

Intanto, visto che partecipa alla Biophisic week incontrando i ragazzi, e ha scritto “Professione astronauta”, che cosa vuol dire fare l’astronauta negli anni ‘90 e oggi?

Per me è stata, per così dire, un’estensione del lavoro di ricercatore, tant’è che il concorso al quale risposi nel 1977, che era il primo per un astronauta europeo, era per uno scienziato o ingegnere che fosse esperto nel maggior numero di discipline possibili, perché ci si può trovare davanti a situazioni scientificamente rilevanti, per cui avere esperienza in laboratorio è importante, dal momento che si va lassù per effettuare esperimenti con apparecchiature preparate a terra, per fare esperimenti largamente pianificati, che quindi si ripetono nelle spazio in condizioni particolari, come in assenza di peso. Questa è stata la molla che mi ha spinto e il motivo per cui ho avuto un certo successo: le selezioni - anche fisiche – si basavano soprattutto sulla qualità scientifica espressa. Negli ultimi 10 anni circa, in Italia ma soprattutto in Usa, c’è la tendenza a mettere a bordo dello Shuttle chi ha già fatto esperienza di volo e di situazioni difficili, quindi persone con addestramento militare, come i piloti dell’Aeronautica. In realtà c’è anche la volontà dell’Aeronautica o del mondo scientifico, di voler affermare la propria esistenza o preminenza, ma si tratta di prendere uno scienziato o un pilota e insegnare allo scienziato le qualità del pilota e viceversa. Penso sia più semplice, però, insegnare allo scienziato a fare il pilota.

Dal 1992 sull'Atlantis, con il suo lancio nello spazio a oggi, quanto sono cambiate le cose?

Facciamo prima un passo indietro. Al tempo dello sbarco sulla Luna il progetto era stato di rischio elevato - tanto che furono anche molto fortunati - per cui la Nasa cercava persone in grado di affrontare egregiamente un ambiente che mette a rischio la vita – lo so da testimonianze diretto dello psicologo della Nasa di cui ero amico – . Invece con lo Shuttle hanno iniziato a mandare sistematicamente nello spazio scienziati: il pilota e il comandante, sono essenzialmente esperti del pilotaggio dello Shuttle, ma a bordo ci sono anche 4 o 5 “mission specialist”, cioè persone fanno gli esperimenti una volta arrivati in orbita. Lì lo Shuttle è paragonabile più a una nave che a un aereo, perché resta in orbita per settimane o mesi e solo le navi o i sommergibili passano così tanto tempo in missione, magari senza comunicare con la Terra, anche se noi lo facciamo. A bordo possiamo fare osservazioni, ricerche, esperimenti e così via. Possiamo affermare che nella prima fase a prevalere è l’elemento geopolitico, cioè il prestigio nazionale, il saper fare certe cose, e anche la capacità di difesa in caso di minaccia, per così dire – pensiamo, per esempio alla paura degli Usa quando hanno visto passare lo Sputnik – mentre nella seconda fase è la comunità scientifica a essere protagonista.

Quanto la ricerca ha fatto progressi grazie alle missioni spaziali?

La dimensione economica dell’attività spaziale sta avendo un ruolo sempre crescente, tanto che oggi si parla di “space economy”, cioè di infrastrutture nello spazio, come se fossero autostrade su mare o terra, come Galileo e Copernicus, il sistema di osservazione dell’Unione Europea, Cosmo-Skymed e i vari satelliti che ci offrono servizi diversi. Forse il caso più emblematico è quello di Galileo, che ha permesso la creazione dell’auto a guida autonoma. Inoltre quasi tutti abbiamo il navigatore a bordo e troviamo l’indirizzo che cerchiamo col GPS. E poi nascono le piattaforme, come Uber, che ti mette a disposizione il taxi più vicino, fatturandoti la corsa sul conto e quindi combinando informazioni di tipo spaziale a quelle terrestri e finanziarie e offrendo, in questo modo, servizi nuovi mai visti prima. Perciò ci sono investitori, soprattutto in America, ma anche nel resto del mondo, che iniziano a investire in start up e aziende che si occupano di questo. Poi c’è l’intelligenza artificiale che permette di usare meglio i “Big Data” ed estrarre informazioni davvero utili, anche in senso economico, perché permettono di capire, per esempio, se il riso crescerà, o se i supermercati funzionano dall’osservazione delle auto che si fermano nei loro parcheggi. Insomma, l’informazione satellitare è il costituente di un’economia fatta di logistica, servizi al cittadino e tante altre cose. Quindi andiamo nello spazio per tre motivi: uno è quello geopolitico, perché fare missione nello spazio con uomo o donna a bordo vuol dire dimostrare di aver maturato capacità e sinergie tra industria, ricerca e politica. Il secondo è la dimensione scientifica, la più internazionale per cui anche gli scienziati del Bangladesh, per esempio, possono accedere ai dati e contribuire al sapere comune. E poi c’è la dimensione economica, che si manifesta sempre più. Inoltre spesso si sente dire che dallo spazio discendono le tecnologie più importanti per la terra: ma è vero anche il contrario, perché lo spazio eredita tecnologie studiate la terra, come le telecamerine che si portano su o le batterie al litio, quelle dei cellulari, che si usano anche per i satelliti. Quindi c’è sinergia tra ricerca spaziale e terreste, anche se per lo spazio c’è maggior bisogno di sicurezza e stabilità.

Possiamo dire che l’Italia ha ormai una tradizione in ambito spaziale?

Sì, poi siamo tutti patrioti, ma la cosa importante è essere nel gruppo dei migliori: abbiamo fatto ottime cose, come anche altri. Nel campo delle strutture abitate siamo eccellenti: per esempio gli Usa ci comprano i moduli che riforniscono la stazione spaziale e che costruiamo a Torino. La Cina vuol costruire la propria stazione e probabilmente chiederà a Torino di fornire i pezzi. Inoltre siamo bravi anche nelle telecomunicazioni e nell’osservazione terrestre, con i radar soprattutto. Se guardiamo agli investimenti, in Europa il Paese che investe di più è la Francia seguita da Germania e Italia. La Gran Bretagna, invece, ha avuto comportamento ondivago, considerando che il settore era troppo sovvenzionato dal denaro pubblico, ma ora con la “space economy” è attivissima. Nel mondo gli Usa, ovviamente, investono più di tutti, ma la Cina è vicina con il recente exploit relativo alla faccia nascosta della Luna, che comporta l’esistenza di un satellite relais per pilotare oggetti che non si vedono. Non amo fare il megafono delle nostre abilità, ma certo siamo bravi, facciamo anche cose originali e abbiamo un’eccellente comunità scientifica.

Tra un anno dovrebbero partire i primi viaggi turistici nello spazio: cosa ne pensa?  Se non avesse fatto l’astronauta avrebbe fatto il turista spaziale?

No, perché, come ho detto, ci sono arrivato per estensione del mio lavoro di ricercatore, mentre il turista va per godere di emozioni diverse e ci vogliono tanti soldi, che non spenderei così. Ma non rifiuto l’idea, trovo sia interessante, è prova della curiosità dell’uomo, che manifesta anche il desiderio di conoscere meglio l’ambiente in cui viviamo. Se ci sono soldi in più per sostenere i programmi spaziali è meglio e sono una bella promozione dell’investimento spaziale.

Tecnicamente che differenza c’è tra un lancio come il suo e il turismo spaziale?

Almeno finora, per come sono concepiti i primi voli si tratta di uscire dall’atmosfera ed essere a 50 o 100 chilometri di quota, immersi nello spazio nero vedendo la Terra e stando in assenza di gravità per qualche minuto per poi tornare subito. Altra cosa, invece, è viaggiare in orbita: significa arrivare in quota con velocità orizzontale di 27 mila chilometri all’ora, cioè 8 chilometri al secondo, che è la velocità con cui giriamo intorno alla Terra, e che è indispensabile per stare in orbita, altrimenti cadremmo, mentre per tornare freniamo con i razzi. Il viaggio su e giù si può fare con un veicolo più semplice dello Shuttle, ma be venga. È un meraviglioso luna park che stimolerà l’interesse. Si parla anche di un hotel accanto alla stazione spaziale, che potrebbe essere un modulo dove si possano fare sostare i turisti per giorni o settimane, ma questo non è ancora all’orizzonte. Inoltre mi chiedo se poi qualcuno non si lamenterebbe del comfort di bordo, perché l’assenza di peso può essere divertente, ma fastidiosa, e la vita è un po’ frugale nello spazio!

Cosa pensa, invece, della pubblicità proiettata nello spazio con i satelliti?

Una cosa è certa: già irradiamo nello spazio, con le nostre antenne, e se avessimo sensori sensibili, già dalla Luna si riceverebbero segnali terrestri. Come si spera di riceverne da altri mondi. Il discorso della pubblicità non mi illumina, bisogna ipotizzare un mercato o un cliente. Il fatto, comunque, di irradiare nel cosmo è un dato di oggi, anche involontario, e l’inquinamento elettromagnetico è causato da questo l’irraggiamento da tutte le parti con le nostre comunicazioni.

I prossimi appuntamenti per parlare di spazio quali saranno?

Il 3 4 5 aprile ci sarà il nostro Festival dello Spazio Junior a Busalla, dove raccontiamo lo spazio alle scuole, con i ricercatori del Cnr di Genova e i ragazzi che hanno partecipato al concorso robotico della Lego. Mentre dal 26 al 28 Luglio a Busalla ci sarà il grande Festival dello Spazio con ESA, UE, ASI e il mondo della ricerca per raccontare e rievocare lo sbarco sulla Luna e poi parlare di “space economy”, Galileo e Copernicus, delle missioni in corso d’opera, come Prisma, che è partita da poco, e quella di Luca Parmitano, che partirà il 5 luglio, e poi di cambiamento climatico e strumenti spaziali per misurare in modo oggettivo la variazione dei parametri essenziali del clima terrestre.

Medea Garrone

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