Bonifica e rilancio del sito industriale ex Acna di Cengio: un quadro alquanto desolante. E' quanto emerge dalla relazione redatta da Pier Giorgio Giacchino, presidente dell'associazione Ala (ex lavoratori Acna) e rappresentante dei sindaci.
Un documento che 23 Comuni della Val Bormida delle provincie di Cuneo e Asti hanno già fatto proprio e trasmesso al ministero dell'Ambiente, alla Regione Piemonte e ad Arpa Piemonte.
"Quello che viene propagandato come 'bonifica' è in realtà un colossale fallimento, pieno di incognite e costi che Syndial/ENI dovrà sostenere e presidiare in eterno - commenta Giacchino - più che una bonifica, sembra essere una malriuscita e incompleta messa in sicurezza".
"A vent'anni dalla chiusura dello stabilimento, nulla è stato bonificato - prosegue Giacchino - nella zona A1 c'è una montagna tossica li accumulata. Non lo è nemmeno la zona A2, bonificata con 'misure di sicurezza'. Sull'area, già certificata idonea, ben difficilmente potranno essere fondate nuove strutture produttive proprio per le 'misure di sicurezza' che consistono nel mantenere la falda acquifera alla profondità minima di 1,20 rispetto al suolo con l’aspirazione di 128 pompe immerse in altrettanti pozzetti. Tale misura compromette di per sé qualsiasi esigenza costruttiva (fondazioni, cavidotti, fognature) in quanto interferente con un sedime che diventa rifiuto a tutti gli effetti, con relativi costi di smaltimento".
Stando a quanto riportato dalla relazione di Giacchino, anche all'esterno del perimetro nulla risulta essere bonificato: "Non lo è la zona A3, l’area golenale del Bormida esterna al muro, dove vennero accumulate le 'collinette degli ossidi di riduzione esausti' provenienti dalle lavorazioni del meta-amminofenolo e Anilina, poi rimosse e spostate in A1. Idem per l'area 'Merlo', tre ettari di sito di interesse pubblico venduti ad un privato con un atto che, a rigore, dovrebbe essere annullato su azione del ministero dell'Ambiente, per riportarlo anche formalmente sotto la responsabilità di chi lo ha compromesso negandone l’evidenza".
"Il vero cambiamento per rigenerare finalmente fiducia e prospettiva, deve partire dal Ministero dell’Ambiente. I lavori si protraggono senza sosta da 17 anni, ma il reale risanamento dell’area e la garanzia di sicurezza del territorio paiono di fatto vanificati da gravi errori e lacune progettuali. E' stata la scarsa disponibilità all'ascolto a fare del più antico e noto disastro ambientale di questo Paese, una costosissima occasione perduta e non l’opportunità che doveva essere, sia per le attese, sia per l'impegno dichiarato della stessa Syndial/ENI. Una grave responsabilità se si considera che, ad oggi, sarebbero stati spesi oltre 350 milioni di euro con una plausibile proiezione a 400 e con risarcimento ancora a zero: si direbbe un fallimento senza precedenti".
"Per quanto riguarda il risarcimento del danno ambientale - conclude - si condivida la soluzione di un’intesa transattiva purché sia onorevole, oggettiva, finalmente rispettosa dei Comuni nei quali si è prodotta la massima parte dei danni".