- 14 agosto 2018, 16:44

Quel raddoppio del ponte sfumato negli anni Novanta

Il ricordo di un ex consigliere regionale: “Il Morandi era troppo ‘stressato’, cinque volte in più rispetto alle previsioni. Così si pensò a una seconda struttura, settecento metri più a nord. Ma il dibattito fu aspro, non se ne fece nulla e i finanziamenti del Governo andarono persi”

Quel raddoppio del ponte sfumato negli anni Novanta

Premessa doverosa: non è il momento delle polemiche. E non lo dev’essere, almeno per un bel po’. Ma dopo l’immane tragedia del crollo del Ponte Morandi, è naturale mettersi a rispolverare gli annali.

Così si riscopre una storia d’inizio anni Novanta. Che comincia a Roma: premier Giulio Andreotti, ministro per le Infrastrutture Giovanni Prandini. Il governo stanzia consistenti finanziamenti per Genova: ci sono in ballo le Colombiane del 1992 e anche il raddoppio del Ponte Morandi, per alleggerire la viabilità su una struttura evidentemente molto ‘stressata’ già ai tempi. Costruito dall’ingegner Morandi secondo precise previsioni e aspettative di traffico negli anni Sessanta, tre decenni dopo il ponte si ritrovò con transiti quasi quintuplicati. Da lì, la necessità di pensare, progettare e realizzare un’alternativa.

Il disegno venne fatto, e pure tutti gli studi preliminari. Il raddoppio del Ponte Morandi era possibile: “Non si trattava di una vera e propria Gronda, come quella che vorrebbero realizzare ora - ricorda un ex consigliere regionale di quel periodo - ma di un viadotto che comunque sarebbe stato molto utile per collegare la zona del centro città al ponente. Il ‘secondo ponte’ doveva essere costruito esattamente settecento metri più a nord rispetto a quello attuale e, una volta raggiunto il crinale, sarebbe stata costruita una galleria. Il raccordo tra vecchia e nuova viabilità era previsto nella zona di Pra’. Sarebbe stata un’opera importante, necessaria e, col senno di poi, assolutamente imprescindibile. Forse in questo modo il Ponte Morandi sarebbe stato ristrutturato anche potendolo chiudere, e non sarebbe crollato”.

Ma quale intoppo avvenne? Che cosa ci fu a bloccare la costruzione del secondo viadotto? “Il Governo - ricorda l’ex consigliere - aveva stanziato per l’opera mille miliardi di lire. Ma, sin da subito, il dibattito fu molto aspro e contrastato. Alcuni politici erano favorevoli ai lavori, altri fortemente contrari. Anche dai cittadini si levarono molte voci contro. In particolare, ricordo le proteste di chi aveva le serre di basilico nella zona di Pra’. Discorsi molto simili rispetto a quelli ascoltati anni dopo con la Gronda”.

Vale a dire espropri, opere grandi e inutili, troppo cemento eccetera eccetera. E’ puramente cronaca: “Fatto sta che il tempo trascorse e, senza presentare nessun progetto concreto, il finanziamento venne perso. Il ministro Prandini dirottò i fondi sul Veneto e l’opera non venne mai realizzata. A Genova restarono i soldi delle Colombiane. Fu un successo in termini turistici e di promozione. Ma la grande occasione di avere un’infrastruttura di fondamentale importanza venne irrimediabilmente persa”.

A.B.

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