Albenga nei giorni scorsi ha ospitato una delegazione di cinque monaci buddisti tibetani esuli in India e presenti in questo momento in Europa per raccogliere sostegno alle iniziative di autodeterminazione del popolo tibetano sottoposto a feroce regime totalitario imposto dal lontano 1959 da parte della Cina di Mao.
La corte di Palazzo Oddo, pertanto, come si legge in un articolo della pagina domenicale dell'Avvenire a firma di Eraldo Ciangherotti, è stata sede della costruzione del mandala, un oggetto composto con sabbie colorate di vario tipo, massima espressione di arte sacra orientale, portatrice di pace e beneficio al luogo e a coloro che vi si trovano.
Quando si è concluso ieri pomeriggio alle 18 la visita dei monaci, il mandala è stato dissolto e le sabbie mescolate assieme sono state in parte raccolte e distribuite tra i presenti alla cerimonia e il resto disperso alla foce del Centa. Il tutto sotto la regia del professore Riccardo Badino e dell’avvocato Alessandro Colonna, rispettivamente direttore e presidente della Fondazione Oddi.
"Nel buddismo tibetano – spiega la portavoce del gruppo, Rosario D’Ambrosio – ci sono due parti: la visione e la pratica. La visione è la ricerca della conoscenza del sé e quindi comprendere che il sé non esiste come fatto indipendente dagli altri esseri e dall’ambiente in cui esiste, perchè un sé come ci appare isoltato come monolitico non esiste ed è vacuo. La pratica invece è non violenta, non deve danneggiare gli altri ma beneficiare gli altri. Questa è la base della loro filosofia e modo di vivere".
Un credo che in un mondo fortemente condizionato dal materialismo e dall’edonismo "incide proprio sull’aspetto filosofico della vita – spiegano i monaci – cambiando prima di tutto la visione che si ha del sé. La nostra visione è estremamente pratica e ti porta a vedere l’assurdità del tuo modo di vedere il mondo e te stesso, compreso l’assurdità dell’orgoglio dell’io che non deve niente a nessuno".