Attualità - 29 marzo 2018, 07:50

Il vescovo Marino: “Senza unzione siamo gestori di cose sacre”

Una folla numerosa ha gremito la Cattedrale dell’Assunta per la Messa Crismale del mercoledì Santo celebrata dal vescovo Calogero Marino

Il vescovo Marino: “Senza unzione siamo gestori di cose sacre”

 

Ieri sera una folla come sempre molto numerosa, proveniente da tutte le comunità della diocesi, ha gremito la Cattedrale dell’Assunta per la Messa Crismale del mercoledì Santo celebrata dal vescovo Calogero Marino. E da tutta la diocesi provenivano ovviamente anche i sacerdoti riuniti per celebrare assieme al pastore, al vescovo emerito Vittorio Lupi e all’Abate di Finalpia, questo passaggio molto importante dell’anno liturgico. A sottolineare ulteriormente il momento di unione, altre due testimonianze della nostra Chiesa: presso l’altare delle Anime, i numerosi rappresentanti delle confraternite diocesane che hanno come di consueto presenziato in cappa, mentre nel coro il gruppo vocale composto da cantori di varie realtà corali nelle diverse parrocchie e guidato da padre Piergiorgio Ladone e dal maestro Paolo Venturino. Davanti alle centinaia di fedeli che hanno affollato il Duomo – molte persone hanno partecipato alla celebrazione in piedi – e di fronte a tutto il clero, riunito per la rituale benedizione e consacrazione degli oli, il vescovo Marino ha pronunciato l’omelia sottolineando l’importanza dell’unzione nei momenti chiave della vita e per la missione dei presbiteri, specie verso gli altri.

“L’olio della consolazione e il vino della speranza Sono parole che troviamo in un Prefazio, “costruito” intorno all’icona evangelica del Buon Samaritano. Vorrei fermarmi a riflettere con voi, in questa celebrazione, proprio sull’ “olio della consolazione” – ha spiegato il presule sottolineando l’importanza dell’unzione nei passaggi cruciali della vita – tra poco, verranno benedetti l’olio degli infermi, l’olio dei catecumeni e il crisma, che ungeranno alcune tra le esperienze fondamentali dell’umana esistenza: il nascere alla vita e alla fede; la conferma libera del dono ricevuto nel Battesimo e il ministero presbiterale; la malattia grave e l’anzianità. Quasi a ricordarci che senza l’unzione e la forza dello Spirito è impossibile affrontare questi passaggi decisivi: abbiamo tutti bisogno della “unzione spirituale” che invochiamo nel Veni Creator. Perché l’unzione richiama intimità e interiorizzazione”. Quindi un richiamo al percorso che sta vivendo la nostra diocesi: “Questa sera, tutta la nostra Chiesa è racconta qui, in Cattedrale, e io con voi prego il Signore perché ci unga tutti con il Suo Santo Spirito Consolatore. Lo avverto particolarmente necessario proprio in questo tempo sinodale che stiamo vivendo: un Sinodo senza unzione sarebbe soltanto una fatica in più e un aggiustamento, forse nemmeno efficiente, di una Chiesa ridotta ad azienda. No: prego Dio con voi perché l’unzione dello Spirito ringiovanisca il volto della nostra Chiesa e la mette in cammino”.

E poi tornando agli oli che danno “consolazione e forza ai passaggi decisivi della vita” prosegue “Passaggi che non sono e non devono essere per la nostra Chiesa problemi pastorali da risolvere, ma grazie da accogliere: i malati allora e chi vive l’esperienza della fragilità sono come la chiglia profonda della barca della Chiesa e devono essere al cuore della nostra esperienza sinodale! E i passi della iniziazione cristiana (ai quali spero di dedicare la  prossima lettera pastorale) dovranno aiutarci a ritrovare il volto materno della nostra Chiesa, che vede ritornare ad essere grembo generante sempre più gioioso, come la donna del Vangelo: “quando partorisce è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21)”. In conclusione monsignor Marino si è rivolto al clero:“Vorrei fermarmi su di noi presbiteri, e sulle nostre mani, unte col Crisma. L’unzione indica non a caso per il Papa lo specifico del presbitero: il prete è l’uomo dell’unzione, è l’uomo dello Spirito. E senza unzione diventa un gestore di cose sacre. Perché è l’unzione che lo mette in cammino. Parlo per me, e non giudico nessuno: ma quando ungo poco e mi chiudo nelle mie abitudini e sicurezze, faccio esperienza di una solitudine stanca e mi allontano da Gesù e dalla gente”. Quindi citando don Milani ha spiegato: “Noi preti siamo fatti per un solo amore, per Gesù, altrimenti ci perdiamo. Anche se poi non possiamo che innamorarci della gente, come scrive don Milani ai suoi ragazzi un anno prima di morire: “ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”. Dio e la gente: due amori non alternativi, che danno unità alla vita del prete. Ed è l’unzione che rende reale, affettuosi e non ideologici, questi due amori”. Infine ha invitato a un momento di preghiera silenziosa con queste intenzioni “chiedo ai preti di ricordare i volti e i nomi di chi vi è affidato … e a voi, religiosi e laici, chiedo di ricordare i vostri preti, anche nella nostra miseria e fragilità. Perché continuiamo a fare sinodo, cioè a camminare insieme, unti dallo stesso Spirito…”

TESTO INTEGRALE DELL’OMELIA DEL VESCOVO MARINO

“L’olio della consolazione e il vino della speranza”. Sono parole che troviamo in un Prefazio, “costruito” intorno all’icona evangelica del Buon Samaritano. Vorrei fermarmi a riflettere con voi, in questa celebrazione, proprio sull’ “olio della consolazione”; domani, invece, nella Messa “nella Cena del Signore”, proveremo a riflettere sul mistero di quel vino che diventa il Sangue della nuova ed eterna Alleanza. Ma anche nel Prefazio di questa celebrazione (penso, tra l’altro, che dovremmo più spesso meditare i Prefazi della liturgia eucaristica, e sceglierli con cura per le nostre celebrazioni!) si accenna, in obliquo, all’olio, ove si dice: “con l’unzione dello Spirito Santo hai costituito il Cristo tuo Figlio Pontefice della nuova ed eterna alleanza”.

Tra poco, verranno benedetti l’olio degli infermi, l’olio dei catecumeni e il crisma, che ungeranno alcune tra le esperienze fondamentali dell’umana esistenza: il nascere alla vita e alla fede; la conferma libera del dono ricevuto nel Battesimo e il ministero presbiterale; la malattia grave e l’anzianità. Quasi a ricordarci che senza l’unzione e la forza dello Spirito è impossibile affrontare questi passaggi decisivi: abbiamo tutti bisogno della “unzione spirituale” che invochiamo nel Veni Creator. Perchè l’unzione richiama intimità e interiorizzazione.

Permettete la banalità del riferimento. Forse, persino la moda e il mercato, certo eccessivo, della cosmesi e delle creme di ogni genere nascondono inconsapevolmente un’istanza legittima: che ci sia qualcosa che non rimanga fuori, ma che invece entri in noi, attraversando la pelle, e possa rigenerare la nostra vita. Proprio così è l’avventura della conversione cristiana: da un Dio esterno, che rimane alla superficie della nostra vita, a un Dio che abita il profondo di ognuno di noi. “Deus, intimior intimo meo”, secondo le parole di Sant’Agostino. 

Questa sera, tutta la nostra Chiesa è racconta qui, in Cattedrale, e io con voi prego il Signore perché ci unga tutti con il Suo Santo Spirito Consolatore. Lo avverto particolarmente necessario proprio in questo tempo sinodale che stiamo vivendo: un Sinodo senza unzione sarebbe soltanto una fatica in più e un aggiustamento, forse nemmeno efficiente, di una Chiesa ridotta ad azienda. No: prego Dio con voi perché l’unzione dello Spirito ringiovanisca il volto della nostra Chiesa e la mette in cammino; scrivevo nella lettera pastorale: “sogno una Chiesa che ha il coraggio di mettere la propria tenda fuori dalle mura, per incontrare gli sfiniti dalla vita e i delusi dalla Chiesa, e camminare insieme, accettando il rischio della fede”. E ne sono certo: la Chiesa dei nostri sogni fiorirà per davvero, se sapremo ascoltare e obbedire la silenziosa voce dello Spirito, che è come il vento, “che soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va” (Gv 3,8). Spero e credo che la Chiesa di Savona vorrà rivivere in questo tempo sinodale l’avventura di Abramo, che “per fede...partì senza sapere dove andava” (Eb 11,8). Oli diversi verranno benedetti, a dare consolazione e forza ai passaggi decisivi della vita, come dicevo prima. Passaggi che non sono e non devono essere per la nostra Chiesa problemi pastorali da risolvere, ma grazie da accogliere: i malati allora e chi vive l’esperienza della fragilità sono come la chiglia profonda della barca della Chiesa e devono essere al cuore della nostra esperienza sinodale! E i passi della iniziazione cristiana (ai quali spero di dedicare la  prossima lettera pastorale) dovranno aiutarci a ritrovare il volto materno della nostra Chiesa, che vede ritornare ad essere grembo generante sempre più gioioso, come la donna del vangelo: “quando partorisce è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21).

Ma per concludere vorrei – e mi sembra inevitabile e necessario, in questa celebrazione – fermarmi su di noi presbiteri, e sulle nostre mani, unte col Crisma (il profumo, lo sapete, è il bergamotto donato anche quest’anno dalla Diocesi di Locri, a ricordarci che le terre della mafia e della violenza possono e debbono essere riscattate, e liberate!). L’unzione -come evidenzia in particolare uno studio di un teologo milanese, Mario Antonelli- indica non a caso per il Papa lo specifico del presbitero: il prete è l’uomo dell’unzione, è l’uomo dello Spirito. E senza unzione diventa un gestore di cose sacre. Perché è l’unzione che lo mette in cammino. Così il Papa, alla Messa crismale del 2013: “il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco...invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore”. Parlo per me, e non giudico nessuno: ma quando ungo poco e mi chiudo nelle mie abitudini e sicurezze, faccio esperienza di una solitudine stanca e mi allontano da Gesù e dalla gente, un po’ come il giovane ricco, che se ne andò triste, scuro in volto, perché aveva molti beni, aveva il cuore diviso tra molti amori. E noi preti siamo fatti per un solo amore, per Gesù, altrimenti ci perdiamo. Anche se poi non possiamo che innamorarci della gente, come scrive don Milani ai suoi ragazzi un anno prima di morire: “ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”. Dio e la gente: due amori non alternativi, che danno unità alla vita del prete. Ed è l’unzione che rende reale, affettuosi e non ideologici, questi due amori. Vi propongo un attimo di preghiera silenziosa. Chiedo a voi preti di ricordare i volti e i nomi di chi vi è affidato, e che magari faticate ad amare, e a voi, religiosi e laici, chiedo di ricordare i vostri preti, anche nella nostra miseria e fragilità. Perché continuiamo a fare sinodo, cioè a camminare insieme, unti dallo stesso Spirito…

“Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi” (Mt 26,30). La miniatura evangelica della Chiesa in uscita – traggo questo spunto dallo  studio di Antonelli – dice bene il fluire dell’unzione verso le periferie. Come la prima Chiesa, quando si è unti dallo Spirito della consolazione, nutriti dall’Eucaristia, si torna a frequentare i margini delle strade e si ritrova familiarità con l’umano reale, e si vince l’indolenza che ci allontana dai luoghi e dalle condizioni ordinarie dove si svolge la  vita di ciascuno. E’ quanto spero accada a me e a ciascuno di noi.

 

c.s.

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