Siamo davvero sicuri di conoscere i punti di forza del nostro Paese? E quanto tempo ci impiegheremmo a fare un elenco con tutto quanto ci viene in mente, dall’architettura al food, dalla moda al patrimonio artistico, dal settore della meccanica, all’automobilismo, dall’ ingegneria meccanica e navale per arrivare alla capacità del “saper fare” tipica del Made in Italy? La risposta sta nell’espressione affaticata che ci corruccia il viso nel solo pensare di prendere carta e penna per elencare tutto quanto rende l’Italia e i suoi mille campanili unici al mondo.
Proviamo allora a pensare agli innumerevoli talenti che troviamo lungo lo stivale come ad un prodotto finanziario, un titolo azionario sicuro composto da molti elementi, tutti tradizionalmente appetibili per investitori che cercano tranquillità e sicurezza. In questo modo non ci resta che trovare chi abbia risparmi da investire e desideri acquistare un po’ di titoli “per star tranquilli”. Scopriremo che non è necessario ingaggiare una costosa agenzia di comunicazione per studiare il giusto spot-Italia, ma per trovare gli azionisti giusti è sufficiente guardarsi la mattina allo specchio. Ricominciamo quindi ad essere azionisti dell’Italia, un titolo già quotato su tutte le piazze finanziarie e da cui però non sappiamo trarre il massimo del rendimento da redistribuire sul territorio e da utilizzare per il territorio.
La forte individualità e creatività italiane sono il vero valore aggiunto, ma per eccellere davvero serve una solida presa di coscienza della qualità che va al di là delle espressioni più note del nostro Made in Italy. Certamente turismo, filiera enogastronomica, design, moda e architettura devono continuare a spingere il Marchio Italia. Tuttavia, chi di noi sa che la nostra industria del metallo è prima a livello europeo oppure che da duemila anni i pochi centimetri quadrati di una piastrella in ceramica rappresentano la sintesi della qualità e dell’estetica raccontata in tutto il mondo? Avete mai sentito nelle facoltà di economia o management raccontare l’industria della gomma e della plastica come un vanto nazionale, oppure qualcuno ci ha mai fatto indossare in quelle Aule Magne un bell’abito di tessuto sartoriale italiano con all’occhiello il fiore della occhialeria realizzata nello stivale e nel taschino il primato degli orologi italiani nel mondo? Per chiudere il cerchio, non ci resta che fare due passi con un paio di scarpe italiane per capire che abbiamo ai piedi due pezzi di eleganza assoluta, ma che allo stesso tempo ci consentono di raggiungere senza dolori il primo ristorante di una qualsiasi via storica in cui gustare un piatto di pasta tra più di 200 formati differenti prodotti da oltre 120 pastifici.
È la storia dei distretti industriali, è la storia della passione delle PMI con due o tre addetti in media che hanno saputo costruire un Paese che trova dentro di sé tutto quanto serve, anche quando terremoti e calamità la feriscono profondamente, e che sono orgogliosamente legate alla capacità di farcela da soli. Allora ripartiamo da una delle tecnologie più antiche del Paese: la scuola. E insegniamo nelle Università che un anno vissuto oggi, ne vale almeno dieci del secolo scorso, ma facciamolo presto, facciamolo davvero. Abitare insieme a robot tra una manciata di mesi nella fantastica Neon City, una città grande come la Sardegna, e respirare i 500 miliardi $ di investimenti fatti per renderla a misura di futuro ci sembra utopistico. E invece dal prossimo anno si getteranno le basi finanziarie per la sua costruzione già prevista all’inizio del 2019. Nel frattempo, noi teniamoci i campanili millenari dei nostri borghi, gli Uffizi di Firenze, la pizza napoletana, il Colosseo, Pompei, i Sassi di Matera, i Trulli di Alberobello, le Cinque Terre liguri, le Dolomiti, le foreste primordiali dei faggi dei Carpazi, la ferrovia Retica bernina, le Isole Eolie, la Basilica di San Francesco, le necropoli etrusche, i Longobardi, leopere di difesa veneziane del XVI secolo, il Monte Etna e i paesaggi vitivinicoli delle langhe piemontesi.
E nel paese delle chiacchiere teniamoci pure il patrimonio orale italiano come l’Opera dei Pupi, il Canto a Tenore, la Dieta Mediterranea, il “saper fare” liutario di Cremona, le processioni a braccia dei Santi, la pratica agricola della vite di Pantelleria e il patrimonio vivente della Falconeria.
Teniamoci tutto, teniamocelo stretto, ma acceleriamo con un po’ di sana tecnologia per condividerlo con i giapponesi, gli americani e con gli altri Paesi che non hanno avuto Leonardo da Vinci, ma Steve Jobs, non dimenticandoci di trarne il giusto profitto perché non esiste nulla di eguale al mondo.
Perché nel 2018 tutto, davvero tutto, potrà essere realtà.
Ah, scusate ora vi lascio, devo rispondere ad una email mandatami dal mio frigorifero per fare la spesa!