Mercoledì 5 aprile prossimo si compiono 150 anni dalla morte del celebre scolopio padre Atanasio Canata, nato a Lerici il 25 marzo 1811 e deceduto nel 1867, a soli 56, anni nel Collegio carcarese, dove aveva fatto scuola per ventisette anni.
Carcare lo ricorderà con una mostra di cimeli allestita nella chiesa del Collegio a partire da sabato 1° aprile. L'esposizione di libri, lettere, carte, stampe e manoscritti sarà visitabile dalle ore 9 alle 11,30 e dalle ore 15 alle 16,30 nonché dalle 17,30 alle 18,30.
Poi mercoledì 5 aprile - anniversario della nascita al Cielo di padre Canata - sempre nella chiesa del Collegio carcarese vi sarà la Celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo diocesano mons. P.G. Micchiardi e, alle ore, 18 una conferenza del professor Giannino Balbis dal titolo «Atanasio Canata “Maestro Pedagogo”.
Prossimamente a padre Canata verrà intitolata la piazza attigua al Collegio. Le iniziative sono promosse dal Comune di Carcare, Città Calasanziana ed hanno il patrocinio della Provincia italiana dei Padri Scolopi, della parrocchia carcarese nonché del Liceo “Calasanzio”.
Alle celebrazioni collaborano il Consiglio Comunale Giovanile, il Centro Culturale “S. Giuseppe Calasanzio”, la Pro Loco di Carcare, il Gruppo carcarese dell'Associazione Nazionale Alpini e gli ex alunni delle Scuole Pie di Carcare e del Liceo statale “S. G. Calasanzio”.
Chi era padre Canata
Originario di Lerici (La Spezia), vestito l'abito degli Scolopi nella casa provinciale di Genova il 28 giugno 1830, tre mesi dopo il chierico Canata insegnava la lingua latina nel collegio di Chiavari; quindi lo troviamo, nel 1834, professore di umanità in quello di Savona, dove fu ordinato sacerdote. Cresciuta la sua fama di educatore, fu preposto definitivamente, a partire dal 1840, all'insegnamento della retorica nel collegio di Carcare, “uno dei luoghi di formazione delle classi alte del Regno di Sardegna”. A Carcare padre Canata sarà anche vicerettore, bibliotecario e direttore spirituale degli alunni.
Nell’Ottocento il Collegio scolopico carcarese, che già contava due secoli di storia, visse il suo momento d’oro, animato da insigni figure di Padri scolopi, uomini di profonda cultura, ricchi di uno squisito senso di umanità e di non comuni doti pedagogiche. Accanto alla figura del tenace ricostruttore padre Carosio, del pedagogista innovatore padre Buccelli, del dotto e paterno rettore padre Garassini, del collezionista padre Ighina, compare la straordinaria figura di padre Canata, scrittore e poeta, “grande svegliatore di ingegni e di cuori”, come lo definì il suo più celebre alunno, Giuseppe Cesare Abba.
Osservano gli organizzatori: «Basterebbe sfogliare l’elenco degli studenti del collegio carcarese che furono alunni di padre Canata e verificarne la provenienza, per capire la notorietà e la stima che il collegio godeva e il magnetismo degli scolopi che vi insegnavano. Troviamo infatti alunni provenienti da ogni centro della Val Bormida (da Osiglia a Codevilla, da Montenotte a Brovida), ma anche convittori di ogni città del Piemonte (Torino, Vercelli, Acqui, Casale, Tortona, Saluzzo, Cuneo, Alessandria, Ivrea, Mondovì) e di ogni località della Liguria (Diano Marina, Genova, Vado, Levanto, Taggia, Borgomaro, per citarne alcune); ma ne venivano anche da più lontano: da Tolone, Nizza Marittima, Stradella, per esempio. Fra questi giovani vi erano futuri ufficiali, intellettuali, parlamentari, ministri, patrioti del Risorgimento e tanti buoni lavoratori e padri di famiglia".
Padre Canata pubblicò diversi volumi di poesie, tragedie, saggi oltre a molti testi rimasti inediti. Grande ammirazione, sincero affetto e devozione profonda lo scrittore garibaldino cairese Giuseppe Cesare Abba confidò di provare verso il suo maestro, che ricordò in molte opere, a partire dalle celebri “Noterelle” garibaldine.
Anche nell’epistolario abbiàno frequentissimo compare il nome di padre Canata. Ad esempio in una lettera del 1883 all’amico Mario Pratesi in cui Abba affermava che, pur lontano da trent’anni da Carcare, “do un pensiero ogni giorno al mio maestro di retorica”; altrove scriveva: “Il maestro rimane negli animi, e poi riparla al nostro intimo, quando sono molti anni che l’abbiamo lasciato: oggi come sempre io sento in me la presenza di chi mi fu educatore. Parlo di quel padre Scolopio vicino al cui sepolcro non posso passare che il mio cuore non mi pianga: povero padre Canata che m’accompagnò col suo occhio soave e austero per tutta la vita che io vissi!”. E persino al compimento dei suoi settant’anni Abba dirà: “Del Collegio di Carcare mi sento sempre alunno”.
Fra l'altro G. C. Abba di Padre Canata scrisse: "Il Collegio fioriva in quei tempi popolato di gioventù vigorosa della Liguria e d'ogni parte del Piemonte. I frati erano tutte persone di valore; e vi insegnava lettere, grande svegliatore di ingegni e di cuori, il Padre Atanasio Canata da Lerici, nato artista, fattosi frate, vissuto cattedra e libri tutta la vita".
"Aveva allora passati di poco i 40 anni; serbava tutto il fuoco della gioventù, che doveva essere stato un vulcano; uomo da dipingere con la spada in pugno come San Paolo. rimasto al secolo, l'Italia l'avrebbe visto morire in qualcuno dei moti dal '31 in poi, o esule si sarebbe fatto sentire come una tromba di guerra: chiuso in quel collegio era venuto su insegnando, educando, finché nel 1848 esplose da solo come legione".
"Chi raccogliesse ciò che egli scrisse in quell'anno, mostrerebbe alla gente d'oggi che cuore di patriota poté battere sotto la tonaca di quel frate. Il quale, venuti i dì neri, ritiratosi Pio IX, cadute le speranze della patria, incrociò le braccia, stette a vedere con la fronte corrugata; e tra sacerdote e cittadino, brancolò come un uomo improvvisamente accecato. Ma il giorno che intese la rotta di Novara, entrò in scuola pallido, tremante; con la voce strozzata annunciò ai giovanetti scolari suoi, la grande sventura della patria, cadde sulla sedia e pianse. Che soffio di vita sopra quella scolaresca! Se ne parlò fino al '59".
"Egli intanto si era raccolto e, sebbene un po' tremante d'aver corso troppo, nel decennio della preparazione non tralasciò più di parlare dell'Italia; non uscì libro di versi o di prose scritto per la patria che non lo desse in scuola a brani; leggeva Foscolo, Guerrazzi, Colletta, e, nel 1854, tutto il Tito Speri del Mercantini a noi, giubilando, se ci coglieva negli occhi un lampo d'ira, una lacrima per tanto martirio. Il '59 lo trovò in cattedra rifatto l'uomo di prima; il Sessanta lo rese pensoso, gli anni di poi, tra la sua fede di cattolico e il grande ideale dell'Unità italiana, tornò a smarrirsi, e nel '67 moriva in una notte di primavera sul suo lettuccio di frate, nella cameretta dove centinaia di noi che fummo figli dell'anima sua, lo vedemmo invecchiare, tra libri, quadri e fiori, natura dolce e leonina".
"Oh quell'aureola di capelli bianchi, intorno a quella ispirata, sincera, paterna, chi potesse vederla ancora una volta! Ora egli è là nella terra, in un angolo del cimitero di Carcare; sulla sua fossa gronda la pioggia dal tetto di una chiesetta, come già sopra quella del Ferruccio; e nessuno di voi, che imparammo da lui quest'arte di scrivere, ha detto, ch'io sappia, all'Italia, che un tempo, in un oscuro collegio, visse quel frate cristiano antico".