Savona - 18 agosto 2016, 08:15

Roberto Nicolick ricorda il comizio di Giorgio Almirante

Roberto Nicolick ricorda il comizio di Giorgio Almirante

Sfoglio dei vecchi quotidiani, nel corso delle mie ricerche, e dalle foto in bianco e nero, emergono dei ricordi, miei, solo miei, belli ma duri, intensi e pericolosi: 1967, avevo 17 anni, ero uno studente delle Superiori, con poca voglia di studiare e con l'amore per la politica, con dei valori, giusti o sbagliati che fossero, non potevo accorgermene, ma li seguivo con passione e con grande interesse. All'epoca poche erano le poltrone e lontane dai più.

Ricordo con grande chiarezza un comizio a Savona di quel grande politico che fu Giorgio Almirante, non solo un grande politico ma un Uomo, nel vero senso della parola, onesto e retto, molto diverso da questi politici attuali.

Savona, si sa, era una piazza molto difficile, un feudo dei comunisti, quelli veri, non quelli di adesso che hanno cambiato nome e usano altri mezzi meno sanguinari dei compagni di allora.

Eravamo in Piazza Sisto ad attendere l'arrivo di Almirante, eravamo davvero pochi, circa una ventina di persone, un gruppo eterogeneo ma deciso. Il comizio era previsto per le 20 e lui puntuale come un orologio arriverà o almeno così speriamo, il palco è montato sul lato opposto del Comune, di fronte ad un portone di ingresso.

Ricordo benissimo la topografia della piazza, ai lati del palco in legno alto circa due metri, due plotoni di Celerini, con gli scudi, elmetto e manganello.

Noi , i disperati, tutti assiepati, come per fare gruppo e avere meno paura, addossati al palco, poi il vuoto, cioè l'ottanta per cento della piazza deserta e attorno a noi, un perimetro praticamente ininterrotto di uomini, solo uomini, torvi, urlanti, e quello che urlavano senza interruzione non era molto simpatico sia verso di noi, il pubblico, che verso l'oratore Almirante atteso da un momento all'altro.

Il repertorio delle invettive andava dal semplice “fascista” a insulti irripetibili, passando per il turpiloquio più greve e pesante , condito con minacce molto esplicite di passare a vie di fatto appena possibile,

Anzi qualcuno di questi energumeni ogni tanto accennava una breve ricorsa facendo delle finte nella mostra direzione. Noi, ovviamente, non rispondevamo alle provocazioni, contando sulla presenza di questi due plotoni di poliziotti, arrivati dalle Caserme di Padova.

Questi ragazzi in divisa, avevano i visi abbronzati dei braccianti meridionali, erano anch'essi tesi e magari anche impauriti ma non lo mostravano, sulla manica del cappotto avevano lo scudetto del Reparto Celere, una freccia con due ali.

Un ufficiale fumava una sigaretta nervosamente accanto ad un funzionario con la fascia tricolore in mano e un megafono. Sapevamo che se il Commissario la indossava , stava per scoppiare il putiferio.

Arriva velocemente un'auto seguita da una pantera della polizia, ne scende Almirante, con un completo grigio scuro e in cravatta blu chiara, sale agilmente sul palco, appoggia le mani sul parapetto e si guarda attorno con quegli occhi cerulei di grande magnetismo. Come per magia, le urla della massa mugghiante, cessano, le bestie e l'uomo, che le bestie odiano, si scambiano uno sguardo.

Ma è solo un secondo, poi la babele degli insulti riprende, con l'aggiunta del lancio di monetine verso noi, verso il palco e soprattutto verso i celerini, che si sarebbero venduti ai fascisti.

Dopo cinque minuti di tentativi, Almirante e i suoi collaboratori rinunciano a continuare il comizio per il casino che sovrasta le sue parole e decidono di partire. Lui scende dal palco e ci stringe le mani, abbraccia qualcuno che conosce, sale in auto che riparte sgommando seguita dalla pantera color grigioverde con il lampeggiante blu e la sirena.

Nella piazza, i cari compagni avanzando continuando il lancio di monetine e quelli che riescono ad avvicinarsi di più lanciano anche degli sputi che fanno paura.

Qualcuno di noi si becca qualche calcio nel sedere, qualche ceffone nella testa e anche qualche pugno ma nulla di più, perchè, a a fare la differenza, i poliziotti intervengono e si frappongono impedendo che trecento bestioni menino eroicamente venti incoscienti.

Ricordo benissimo le categorie sociali e lavorative a cui, questi picchiatori comunisti, appartenevano: in primo luogo i benemeriti, i portuali, poi, incredibile, i vigili urbani, poi ancora gli infermieri dell'ospedale San Paolo, fra cui devo annoverare un ex partigiano che menò vanto di aver “giustiziato” sommariamente, ventiquattro Fascisti, in diverse occasioni, e poi i rinomati appartenenti alle varie cellule del P.C.I. Venuti apposta per non perdere questa buona occasione di per menare le mani.

Spariti noi di corsa e finita la bagarre, questi pretoriani rossi, tornavano alle abituali occupazioni di sempre, in attesa di un'altra opportunità.

Beh, avevo rischiato di prendere un bel carico di botte ma almeno avevo visto, da vicino, un uomo che è rimasto negli annali della storia di questa Nazione e secondo me, ne è valsa la pena. Sono ricordi che oramai fanno parte di me.


cs

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