Al Direttore - 28 giugno 2016, 08:33

"Il colore del cambiamento": le considerazioni post-elettorali su Savona di Betti Briano

"Il colore del cambiamento": le considerazioni post-elettorali su Savona di Betti Briano

Cambiamento è stata la parola più gettonata nel dibattito pubblico degli ultimi mesi, comoda per indicare prospettive di uscita dalla miseria del presente senza prendere precisi  impegni o per alludere a trasformazioni senza precisarne natura e senso; nelle ultime elezioni amministrative per dare più forza all’idea il marketing della politica ha fatto un massiccio ricorso al femminile proponendo prodotti in rosa ovunque possibile e per la prima volta l’elettorato ha materializzato la propria volontà di cambiare dando in molti casi altrettanto massicciamente fiducia alle candidate sindache.

Mentre  in altre città le candidature femminili hanno apportato valore aggiunto alla rappresentazione del nuovo con cui le liste di riferimento si presentavano agli elettori, a Savona invece il ricorso al femminile più che dare forza al nuovo doveva avere lo scopo di mimetizzare il vecchio. La città, a parte una breve parentesi, è sempre stata gestita da coalizioni guidate dalla sinistra, che si è trovata pertanto a rispondere delle numerose scottanti questioni lasciate irrisolte da una classe politico-amministrativa dalle competenze assai modeste  ma tanto autocentrata nelle sue prerogative quanto svogliata nel governare ed acquiescente rispetto al potere economico: una voragine nel bilancio a seguito di improvvide operazioni su derivati,  una cementificazione pregressa e soprattutto incombente non più tollerabile per l’opinione pubblica, varie emergenze ambientali (differenziata da terzo mondo, depositi di bitume in centro città, inquinamento da traffico portuale), decoro urbano ai minimi storici.

Il Partito Democratico, preso quindi atto che la riproposizione di esponenti della passata amministrazione l’avrebbe sottoposto a forte rischio nelle urne e che comunque  i centri del potere locale non si sarebbero più sentiti sufficientemente garantiti, ha pensato di proporsi al voto rinnovato con un’ operazione di semi-rottamazione delle vecchia classe politica volta a sacrificare la parte più in vista che aveva governato il comune ma a lasciare però in vita quella in ombra  più legata agli interessi economici. Chi meglio di una donna candidata alla poltrona di sindaco, dopo un’ininterrotta sequenza di uomini, avrebbe potuto evocare negli elettori l’idea del rinnovamento? Per di più, essendo le donne ritenute di norma più degli uomini propense alla conciliazione piuttosto che al conflitto, una sindaca avrebbe dato maggiori garanzie per un ricambio di classe dirigente visibile ma non ‘esagerato’ ( nel mantenimento degli interessi consolidati ) e avrebbe in buona sostanza meglio consentito di condurre in porto l’operazione gattopardesca di cambiare tutto per non cambiare niente.

Cristina Battaglia è apparsa dunque la risorsa giusta: abbastanza giovane e di bell’aspetto per  incarnare l’idea renziana del rinnovamento della classe politica, un curriculum di tutto rispetto per rassicurare gli elettori circa il possesso di adeguate competenze, ma soprattutto una provvidenziale distanza ventennale da Savona che garantiva il possesso di un’esperienza della vita della città insufficiente ad impedire ai registi occulti di tenere sotto controllo e nei limiti l’operazione di cambiamento.

La destra coglie naturalmente la debolezza dell’avversario e pensa sia arrivato il momento per proporsi alla guida della città, riesce ad unirsi allo scopo e, stante l’assenza anche in quel campo di figure maschili di un qualche appeal ‘vergini’ da compromissioni con lobbies e poteri costituiti e quindi la necessità di mimetizzare una classe politica mediocre e screditata, gioca anch’essa la carta del rosa per offrire all’elettorato una possibilità di cambiamento doppia, di schieramento e di sesso. La scelta cade su Ilaria Caprioglio, una figura assai competitiva: proveniente dalla società civile e sufficientemente estranea alla politica da raccogliere consensi trasversali senza mettere a rischio gli equilibri di potere esistenti; con un curriculum professionale e di volontariato sociale e culturale, a differenza della competitor, molto interni alla vita della città.

La proposta femminile dei partiti, a differenza delle grandi città, non pare aver entusiasmato l’elettorato tanto che l’eliminazione del candidato grillino al primo turno più che ad un successo delle due donne sembra da imputare  alla scarsa convinzione con cui il M5S si è proposto per una sindacatura che date le condizioni del Comune era considerata ad alta probabilità di fallimento; l’operazione di  mimesi del vecchio d’altronde è stata vanificata da subito per l’incapacità degli stessi registi occulti di restare tali manovrando nell’ombra, cosicché le due candidate sono apparse prive di autonomia e visibilmente tenute a balia dai più ‘esemplari’ esponenti di quella politica che le stesse proclamavano di voler cambiare.

Così a Savona abbiamo avuto credo l’unico caso di città-capoluogo con ben due donne al ballottaggio, ma purtroppo la differenza femminile non si è vista all’opera: i programmi fumosi e generici esattamente come quelli cui ci hanno abituato i politici maschi quando dicono e non dicono per evitare di prendere impegni precisi, uno stile polemico mirato a mettere in cattiva luce l’avversaria piuttosto che a convincere della bontà della propria proposta, una comunicazione sterilizzata e distante dal reale sentire delle persone in carne ed ossa. La novità infatti non è stata tale da riportare massicciamente al voto gli elettori savonesi; l’assenteismo da record registrato al ballottaggio ci dice infatti che le candidate sono apparse soltanto una riedizione del vecchio  e che in particolare dalle elettrici non sono state percepite come ‘diverse’ dagli uomini tanto più che non potevano vantare al loro attivo esperienze di lavoro politico con le donne né si erano assunte alcun impegno in tal senso e inoltre erano apparse orfane di riferimenti e misure femminili nel modo di proporsi e di affrontare le questioni inerenti la vita della città.

Ha vinto Ilaria Caprioglio, nonostante fosse partita sfavorita, innanzitutto perché rappresentava la parte che proveniva dall’opposizione, poi perché i suoi sponsors per quanto divisi in più partiti sono riusciti a fare fronte unico almeno fino alla chiusura delle urne e infine perché ha goduto dell’imprevisto aiuto di esponenti e seguaci di quella parte del PD che era risultata sconfitta alle primarie. Cristina Battaglia ha finito quindi  per soccombere più per il fuoco amico che per la forza degli avversari e si può dire che con la vittoria alle primarie si è guadagnata  non la candidatura a un posto di potere ma quella al sacrificio sull’altare della crisi del PD Ligure, proprio come successo l’anno scorso a Raffaella Paita con le elezioni regionali.

Questo racconto, per quanto faticoso e poco edificante, mi pare utile ad esemplificare, anche troppo chiaramente, come sia rischioso per le donne intraprendere percorsi di inclusione nelle istituzioni in assenza di autorizzazione derivante da pratiche di relazione con le altre donne, ma in virtù di cooptazione da parte maschile e sull’onda di generiche istanze innovative come di un popolare senso salvifico del femminile. I meccanismi democratici di selezione  rappresentano un filtro che presuppone un processo di depotenziamento e di  stereotipizzazione  della differenza femminile affinché  questa possa divenire ‘commestibile’ e fungibile per il marketing politico ed elettorale; l’autorità femminile non può generarsi attraverso quel filtro, nasce altrove,  non è un prodotto da mettere sul mercato e deve pertanto trovare altre strade per avanzare il passo verso posizioni di governo in territori maschili.

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