La storia che si sta scrivendo: l'Autorità Portuale di Savona procede con il proposito di comprarsi il Vio. Alla stregua di un privato che fa affari con un concessionario. La storia ancora da scrivere: quella degli Orsero che, da privati, hanno tratto legittimamente buoni vantaggi dal pubblico (ai posteri la storiografia per capire quanto abbiano lasciato sul territorio che ha fatto loro da trampolino). Restiamo sulla parte in fieri della faccenda. L'Authority, con risorse proprie, intende sborsare i denari per acquisire le quote di Orsero nell'interporto di Vado Ligure.
Un'operazione da 23 milioni di euro, che restituirebbe ossigeno al re della frutta, in difficoltà e alquanto esposto con le banche. Un salvagente non da poco, ovviamente. Un "effetto collaterale" per chi ne sostiene l'opportunità, materia da Antitrust per i mal pensanti.
La legalità portuale impedisce alle Autorità di fare business con un concessionario, instaurando un rapporto tra un ente, che dovrebbe essere al di sopra delle parti, ed un privato. Eppure l'Authority savonese è già socia dell'interporto, da anni, e anzi con questa iniziativa vuole alzare la partecipazione al 72%, contro il 28% dell'altro che rimarrebbe, ovvero il Gruppo Gavio / Autostrada dei Fiori. Il presidente dell'ente Miazza difende l'operazione, ma ha comunque chiesto un parere alla Corte dei Conti, perché si tratta di una pratica un bel po' discussa e discutibile.
L'AP di Savona arriverebbe ad avere il pacchetto di maggioranza. "Governance pubblica" quasi totale, ma commerciale. Qualche naso si storce, anche tra gli esperti di diritto. Secondo Miazza, il controllo del Vio assicurebbe una crescita strategica al porto savonese e alla futura piattaforma. Sino a quando si trattava di un 8 per cento (siamo in Italia, certe cose passano inosservate), problemi di regolarità e congruenza non emergevano. Adesso, invece, ci si chiede: può un ente di controllo, super partes, diventare azionista di riferimento di una società sul mercato in cui è chiamato a fare da regolatore?
L'ignota e informe riforma portuale avrebbe dovuto occuparsi di eventuali attività commerciali che le Autorità Portuali potrebbero svolgere, attualmente vietate sin dalla normativa degli anni Ottanta. Non c'è pregiudizio sul fatto che gli enti portuali possano partecipare direttamente all'economia che sono chiamati a coordinare, ma sinora nessuno ha ancora definito i paletti. E la legge è ferma a questo dettato: le Authority portuali non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in queste società.