In Val Bormida si usa l'italiano in modo diffuso per parlare ai figli dagli anni '50... Prima in casa si parlava il dialetto locale e quando si andava a scuola poteva capitare che i piccoli non conoscessero l'italiano.
Ma poi siamo entrati tutti in questa lingua dimenticando il nostro dialetto, lasciandolo abbandonato come un vestito da poveri. Ma io sono sempre stato un bilinguista e il dialetto per me rappresenta ancora oggi una prima lingua con cui formulo i pensieri, una risorsa in più per apprezzare le parole e i loro significati antichi.
Per questo quando scrivo anche un semplice testo da inserire nei miei libri autofinanziati compongo un testo che segue la sua logica comunicativa intrinseca, cercando di riempire la rete dei significati tenendo assieme il filo logico della narrazione nel suo dipanarsi lungo il percorso delle pagine, sciorinando parole come bauli antichi nella lingua dei nostri avi che contengono vesti preziose, oggetti di valore, reperti dimenticati.
La vitalità della lingua continua a trasformare le sue vesti e a trascinare dietro di sé come un cucito di filo scuro la sua traccia che procede verso il futuro, studiata e raccontata, spiegata e usata in mille modi, cantata, impoetata, letterata, divulgata, registrata, impreziosita, impoverita, glorificata, volgarizzata, fraintesa, sottovalutata…
Le parole, tutte le parole, forse sono contenitori che ci arrivano da un lungo passato di scritture, costruite con tenacia e perseveranza dalla comunità dei parlanti e degli scriventi che nei secoli hanno dato nomi alle cose e alle azioni. Essi hanno rivestito di alfabeto ogni parte del creato e hanno scritto tutto nei libri dei nomi e dei verbi perché nulla vada perso.
Le parole, anche quelle quotidiane, sono come ossa antiche di cui non conosciamo la provenienza, le usiamo talvolta in modo improprio e chi le raccoglie crede di capirne alcuni significati ma di ciò non vi è certezza. Con le parole si cerca di spiegare tutto, ma anche i molti significati delle parole, vengono fuori da soli inserendosi nel meccanismo del linguaggi,o come una musica senza diritti d’autore.
La scrittura e la parola si sono confrontate in continuazione e mentre i libri ed i registri hanno tentato di intrappolarle nelle biblioteche e negli archivi le parole sono saltate di bocca in bocca in tutti i modi e per tutto il tempo, fluendo nella vita reale.
Ogni parlante ed ogni scrivente usa la lingua come strumento per comunicare a suo rischio e pericolo: per questo si immerge nel fluire delle parole come un guardiano di mucche che vuole condurre in salvo una mandria sconosciuta o un pastore che deve spostare il suo gregge per i sentieri tortuosi del paesaggio.
La scrittura cerca il suo varco e scorre con le sue nere parole come tante formiche attorno al formicaio e come le api sparpagliate nei prati in fiore il movimento degli insetti produce l’energia sotto il sole, la trasporta al formicaio, la ripone nelle celle dell’alveare.
Lo scrittore produce un senso, lega fra di loro tanti significati, spiega le ragioni delle immagini e l’intreccio indefinito dei pensieri, stabilisce forme e registra emozioni come fossero fotografie raccontate ad un cieco o ad un bambino che non sa ancora leggere, ma qualcuno deve leggere per lui….
11 febbraio 2015
Bruno Chiarlone Debenedetti