Attualità - 03 dicembre 2012, 10:00

Cosa si potrebbe fare all’Ilva di Taranto

Dietro la questione ambientale, quali sono le condizioni economiche e finanziarie del gruppo Riva, che prospettive ha l’azienda? Un’anticipazione dello studio di Sbilanciamoci! per la Fiom (da Il Manifesto)

Cosa si potrebbe fare all’Ilva di Taranto

ll caso Ilva è in genere presentato dai media come la contrapposizione tra le ragioni dell’occupazione – sono in ballo decine di migliaia di posti di lavoro tra dipendenti diretti e indiretti - e quelle della tutela ambientale. Abbiamo così assistito allo spettacolo di alcuni sindacati che sono arrivati a scioperare contro la magistratura e a continue manovre di disturbo da parte dell’azienda e dello stesso governo nei confronti dei magistrati. In realtà quello della Riva Fire-Ilva è un caso abbastanza esemplare dell’incapacità delle nostre classi dirigenti, a livello economico come a quello politico, ad adattarsi a un mondo in profondo mutamento.

La società Ilva fa parte del gruppo Riva Fire, di cui costituisce la principale realtà industriale: il fatturato della società di Taranto si aggira più o meno sul 60% di quello totale del gruppo. L’insieme è controllato dal punto di vista azionario dalla famiglia Riva attraverso alcune finanziarie per lo più collocate in Lussemburgo e in Olanda.

La Riva Fire è tra le principali realtà dell’acciaio europeo, potendo essere collocata al terzo-quarto posto come dimensioni del fatturato tra le società del continente, mentre essa è solo al ventitreesimo posto nel settore a livello mondiale, rappresentando quindi, alla fine, una realtà trascurabile in un mercato dominato dalla Cina, che produce attualmente circa il 45% di tutto l’acciaio mondiale e comunque dai grandi gruppi asiatici.
Il fatturato del gruppo, che è crollato nel 2009 in seguito alla crisi, per poi riprendersi negli anni successivi senza raggiungere peraltro più i livelli precedenti, appare molto concentrato sull’Italia (più del 67% del totale) e inesistente al di fuori del continente europeo. Sempre in relazione alla crisi, gli investimenti del gruppo sono fortemente diminuiti negli ultimi anni. Lo stesso gruppo ha negli anni recenti subito diversi procedimenti giudiziari sia per quanto riguarda la gestione della manodopera che i problemi ambientali.

L’industria siderurgica mondiale si trova oggi stretta tra l’eccesso di offerta, che comprime i prezzi di vendita, e l’estrema volatilità dei prezzi delle materie prime. I grandi gruppi, ma non la Riva Fire, hanno reagito a tale situazione avviando strategie di integrazione verticale, di diversificazione geografica, di riduzione dei costi. La situazione del mercato è particolarmente critica in Europa, dove tutti i principali produttori tendono in questo momento a mostrare perdite più o meno consistenti. L’industria italiana, di cui la Riva Fire costituisce la principale realtà, appare particolarmente debole, tanto è vero che continuano a crescere le importazioni e il gruppo in particolare sta perdendo quote di mercato, mentre più in generale la sua situazione strategica, organizzativa, economica, finanziaria, appare molto fragile.

L’andamento economico della società regi- strava profitti importanti sino al 2007-2008, poi le cose peggiorano fortemente e dal 2009 si manifestano perdite più o meno rilevanti a livello della gestione, mentre anche le prospettive per il 2013, per l’Ilva come per le altre realtà italiane, appaiono ancora negative.
All’interno di tale quadro un’analisi della sola Ilva mostra in genere risultati sia economici che finanziari della società peggiori di quelli medi del gruppo.

Il problema ambientale è di fondamentale importanza, ma occorre tener presente che l’impianto richiederebbe un totale rinnovo, in quanto molte sue parti (come la cokeria e due dei quattro alto forni) hanno superato da tempo la vita tecnica utile. L’intervento della magistratura ha anticipato e concentrato un investimento che andava comunque fatto se si voleva dare all’Ilva di Taranto una prospettiva di medio/lungo termine. Non è vero che si deve investire solo per l’ambiente, così come è falso il luogo comune che gli impianti siderurgici siano per forza inquinanti. Sono già oggi disponibili tecnologie ormai mature, adottate da impianti concorrenti, che permettono di ridurre in modo significativo i livelli di inquinamento.
Gli investimenti richiesti dall’adeguamento degli impianti di Taranto possono es- sere stimati, sia pure in maniera grossolana, intorno ai 3-3,5 miliardi di euro, distribuiti nell’arco di alcuni anni. Di questi solo una parte è esclusivamente di tipo ambientale, in quanto la quota più rilevante (come il rifacimento della cokeria e degli altiforni) permetterebbe anche di migliorare la competitività complessiva dello stabilimento, assicurandogli una prospettiva di lungo periodo.

Il problema di Ilva non è solo impiantistico e ambientale. L’analisi del posizionamento rivela un’azienda fragile sotto il profilo organizzativo e commerciale, se comparata con i grandi gruppi concorrenti. Mancano inoltre le risorse finanziarie. La capacità di copertura finanziaria interna al gruppo di tali investimenti, in assenza di aumenti di capitale, può essere stimata in effetti, sempre grossolanamente, intorno a poco più di 1 miliardo di euro nell’arco di quattro anni. Questo senza tenere conto di possibili e plausibili ulteriori cattive notizie sul fronte della gestione economica, sia in relazione alla crisi del settore che ai problemi tecnici della ristrutturazione.
Sembra a questo punto evidente che, data la difficoltà di reperire risorse finanziarie adeguate e l’apparente scarsa capacità di affrontare da soli un mercato sempre più competitivo, sia necessario l’ingresso nel gruppo di nuovi azionisti, contemplando anche la possibilità di utilizzare il Fondo Strategico della Cassa Depositi e Prestiti.
Il recente documento del ministero dell’Ambiente del 12 ottobre 2012, anche se non collima perfettamente con la posizione della magistratura, è una buona base di partenza per un piano di risanamento ambientale, ma è indispensabile che il governo non dia spazio a ulteriori slittamenti da parte dell’azienda, rigettando duramente anche eventuali ricatti di carattere occupazionale. Ma senza un piano sviluppo più complessivo, che ridefinisca l’assetto organizzativo e societario di Ilva Taranto così come indichi le fonti di finanziamento per sostenere gli investimenti, è difficile pensare di uscire dall’attuale situazione. Al Gruppo Riva Fire toccherebbe predisporre questo piano di sviluppo, ma, se non lo facesse, lo faccia senza indugio il governo, non delegando al Ministero dell’Ambiente un ruolo che deve essere svolto in prima persona dal Presidente del Consiglio e dal ministero dello Sviluppo economico.

Non bisogna nascondersi dietro alle questioni ambientali e non si può essere latitanti di fronte a questioni che riguardano il futuro del settore siderurgico italiano e del territorio tarantino.

Il Manifesto

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