Attualità - 09 novembre 2012, 15:22

Una riflessione, a proposito di scelte rosa

Una riflessione, a proposito di scelte rosa

Non si pensi che voglia ‘disprezzare’ la ricerca della Consigliera Regionale di Parità, con la quale ci viene raccontato che esiste una differenza di genere nei percorsi scolastici, che sarebbe da imputarsi a stereotipi sessuali che ancora imbrigliano le scelte di maschi e femmine. Il problema è che non solo il fenomeno descritto non rappresenta certo una scoperta, ma soprattutto appare ‘vetusta’ la diagnosi, non parliamo poi del rimedio.

Siamo da tempo in presenza di un dibattito che ha superato l’idea che il differente approccio di donne e uomini alle cose del mondo, ivi compreso lo studio e il lavoro, non solo non è un fatto negativo, ma è un valore: è la libera espressione della differenza sessuale nella realtà.

Si è quindi iniziato a pensare che occorre capovolgere il ragionamento. Se, ancora oggi, nonostante decenni di leggi e pratiche di parità, le ragazze continuano a preferire studi finalizzati all’insegnamento, alla cura, come all’arte e alla cultura piuttosto che alla tecnologia, alla scienza o all’economia, evidentemente è difficile sostenere che le giovani sono in massa preda dello stereotipo derivante dalla classica divisione sessuale del lavoro.

Quand’anche poi le scelte delle ragazze fossero effettivamente ispirate dalla consapevolezza della propria realtà esistenziale, della imprescindibilità dell’esperienza materna e di cura, saremmo in presenza di una retrogrado retaggio del passato, o di quella irrinunciabile ricchezza che le giovani hanno ereditato da madri, nonne,ecc.. e che sempre in maggior numero vogliono portare al di fuori delle mura domestiche?

Si è anche iniziato a pensare che questa ricchezza sia proprio quel dipiù di cui c’è bisogno, che le donne oggi più che gli uomini possono ‘portare al mercato’ e immettere nei rapporti sociali. Bisogna, invece, interrogarsi sulle ragioni per cui alle competenze femminili non viene attribuito ‘valore’ed i lavori più femminilizzati son quasi sempre considerati di serie B. Sempre che non si voglia reiterare una gerarchia sociale dove le donne che creano le condizioni dell’esistenza di tutti siano destinate a stare sempre in fondo, a parte le eccezioni naturalmente.

Perché, quindi, l’aspirazione a fare l’insegnante, la medica, l’infermiera, l’assistente sociale, l’archeologa o l’artista non può essere considerata frutto di un libero desiderio di ‘costruzione’ di sé, e come tale accolta e favorita dal contesto sociale, per lo meno quanto quella di chi preferisce diventare ingegnera, astronauta, scienziata o economista?

Ovviamente si risponderà che c’è un problema di mercato del lavoro. Anche qui il ragionamento deve fare un salto, se non in avanti, almeno a lato. Il mercato è fatto dalla ‘merce’ che vi si porta e non possiamo più permettere che ‘merce preziosa’ come le competenze femminili, sia che si esprimano nei luoghi deputati al lavoro come tra le mura di casa, rimangano al di fuori.

Semmai – vorrei dire alla Consigliera di Parità - anziché incentivare con bonus la scelta di percorsi più rispondenti al mercato, investiamo più utilmente quelle risorse, come anche quelle destinate a Pari Opportunità ( e relative ricerche), al finanziamento di quei progetti formativi, sociali e culturali che vedono le giovani donne sempre più attive e protagoniste.


Betti Briano

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