- 21 agosto 2012, 16:20

AIA - Erasmo Venosi, ex vice presidente della commissione Ippc fatto fuori da Prestigiacomo (mentre prosperava Dario Ticali)

«Sostituiti perché scomodi» INTERVISTA - di Eleonora Martini tratto da Il Manifesto

AIA - Erasmo Venosi, ex vice presidente della commissione Ippc fatto fuori da Prestigiacomo (mentre prosperava Dario Ticali)


«La promessa di una nuova Autorizzazione integrata ambientale entro il 30 settembre? Una patacca del ministro: impossibile in così poco tempo»

C'è un acronimo, Aia (Autorizzazione integrata ambientale), fondamentale nell'intrigato glossario della vicenda Ilva. Non a caso, l'inchiesta della procura lambisce anche la commissione ministeriale Ippc-Aia che rilascia questa importante autorizzazione alle industrie per poter lavorare nel rispetto della legge. Ma fino a ieri la notizia data da alcuni quotidiani secondo cui si sarebbero dimessi il presidente, Dario Ticali, e uno del componenti, Marco Mazzoni, i cui nomi compaiono nel brogliaccio delle intercettazioni (ma non sono indagati), non è confermata dal dicastero dell'Ambiente. Segno che il ministro Corrado Clini ha scelto di non scegliere. Di non seguire, insomma, le orme del suo predecessore, la ministra Stefania Prestigiacomo, quando mise alla porta un suo consulente, Bonaventura La Macchia, finito sotto inchiesta (poi prosciolto), o quando nel luglio 2009 azzerò, appunto, la commissione Ippc-Aia durante un consiglio dei ministri tenutosi platealmente a Napoli, in piena emergenza rifiuti. Erasmo Venosi, allora vice presidente della commissione Ippc-Aia, ricorda bene quei momenti. Venne rimosso assieme agli altri membri della commissione nel tur-over improvvisato ad hoc da Prestigiacomo. «Fu il primo provvedimento assunto dal governo Berlusconi, da agosto non abbiamo più operato».

Perché vi fecero fuori? Cosa avvenne?
Facemmo ricorso al Tar e lo vincemmo. Ma poi il ministro Prestigiacomo si appellò al Consiglio di stato che ribaltò il pronunciamento di primo grado. La motivazione ufficiale era che avevamo dato poche autorizzazioni. Ma avevamo concluso 74 istruttorie e insieme al ministero dell'Ambiente avevamo sottoscritto un accordo di programma affinché in 300 giorni fosse data l'Aia non solo all'Ilva ma a molti altri insediamenti industriali che gravano nell'area tarantina come la Cementir, la centrale termoelettrica Eni power e la raffineria dell'Eni. Pensi che Ilva, contrariamente a quanto viene detto, avrebbe dovuto avere l'Aia al massimo nel 2004, e non certamente nell'agosto 2011, perché la direttiva 61 del 1996 fu recepita parzialmente col decreto legislativo 372 del 1999. E a inquinare, a Taranto, non c'è solo l'Ilva, anche se è il maggiore emettitore. Le Aia però andrebbero date contemporaneamente, se si vuole sanare la situazione.

Dimissionandovi hanno rallentato l'iter?
Racconto solo i fatti: a fare l'analisi dell'impianto, a decidere come procedere e quali prescrizioni porre non è l'intera commissione Aia ma un gruppo tecnico composto da 5 persone. Noi eravamo tutti tecnici altamente specializzati, ingegneri, medici, chimici. E invece il gruppo che dovrà dare la prossima autorizzazione è composto da due ingegneri, un geologo e due magistrati: Umberto Realfonso e Stefano Castiglione. E non sono due magistrati qualunque, ma membri della Terza sezione del Tar del Lazio, quella che per competenza si esprime proprio sui ricorsi per le Aia concesse dal ministero. Ecco come si rilasciano le autorizzazione per il più grande impianto siderurgico d'Europa. È evidente anche che c'è una palese, flagrante, inadempienza del nostro legislatore nell'emettere i decreti attuativi sulle Bat, le migliori tecnologie possibili compatibilmente con la disponibilità economica dell'impresa. Il 30 marzo scorso la Corte di giustizia di Strasburgo ha condannato l'Italia per inadempienza della direttiva Ippc del 1996.

Il ministro Clini ha annunciato una nuova Aia che recepisca le ultime raccomandazioni della Commissione Ue.
Mi permetto di dire che quella venduta da Clini a Taranto è una patacca. Dire che ci sarà una nuova Aia entro il 30 settembre è una cosa che non sta in piedi: vuol dire fare solo una rilettura del vecchio decreto ministeriale e niente altro, e quindi prescindere dalle risultanze della perizia della Gip. Per aprire una nuova istruttoria, invece, ci vuole tempo. Poi bisogna anche produrre le linee guida di recepimento delle Bat pubblicate dalla Commissione Ue, e per questo è necessario insediare una commissione interministeriale e produrre un decreto di recepimento della direttiva sull'Aia. Alcuni passaggi sono già stati compiuti, altri no. Delle linee guida io non ho notizia.

Alcuni componenti della commissione Ippc-Aia si ritrovano citati nelle intercettazioni della procura. Non è un reato, ma il ministro Clini ha detto che apprezzerebbe un loro passo indietro. Che finora non c'è stato. Cosa ne pensa?
Al loro posto io mi sarei dimesso. Ma soprattutto mi sembra giusto che vengano sostituiti, perché il presidente della commissione è colui che nomina i gruppi tecnici che decideranno sull'autorizzazione. Credo però che il problema sia politico: a mio avviso non si può contrapporre la salute e le patologie neoplastiche riscontrate in quelle aree con lo sviluppo e l'occupazione. È una contrapposizione strumentale. Uno degli errori più grandi del ministero è stato agevolare, anche attraverso le Valutazioni di impatto ambientale, la raffineria dell'Eni, la Cementir, e tutte le altre industrie del territorio. In una città con la più alta concentrazione in Italia di industrie a rischio di incidente rilevante, sottoposte alla direttive Seveso 1 e 2. E con la più alta concentrazione di diossine, seconda solo a Seveso, oltre che di benzene, nichel, arsenico e polveri.

Sia l'Ilva che il governo hanno ora promesso un primo stanziamento per la bonifica e la messa in sicurezza del territorio. Non le sembra un passo avanti?
Una cosa è la bonifica, altra è mettersi in regola con le prescrizioni imposte dall'Aia. C'è da bonificare anche il porto di Taranto e tutta l'area attorno. Poi bisogna investire sull'innovazione industriale. Non mi sembra che i soldi promessi, ammesso che vengano investiti, siano sufficienti. Mi sembra invece che il principio di chi inquina paga - che è un principio che dal trattato di Amsterdam a quello di Lisbona orienta tutte le politiche industriali - non trovi applicazione nella vicenda di Taranto. C'è stata invece la riscrittura della Costituzione: l'articolo 41 è diventato l'articolo 1. L'attività economica finisce per primeggiare su tutti gli altri diritti; un principio positivo va a prevalere su un diritto naturale, che è quello alla salute. 

Tratto da il manifesto

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