Un po' è anche colpa nostra, dei mezzi di informazione, talmente immersi nel susseguirsi degli eventi e delle notizie da non riuscire a ricordare che, talvolta, è necessario staccarsi un attimo dal tran-tran quotidiano, per fare il punto della situazione e, magari, parlare di guerra in tempo di pace.
E' così che non ci si dimentica del passato per non commettere errori futuri, primo fra tutti il distogliere lo sguardo dalla tutela dei propri diritti e lasciando che altre mani sporche si facciano, su di essi, i propri interessi.
Eppure, per l'ennesima volta, di fronte ad un terremoto i capannoni crollano e gli operai muoiono. Di fronte alle alluvioni i fiumi straripano e i bambini muoiono. Di fronte al profitto gli squali speculano e le persone muoiono.
Stragi evitabili, se oltre ad essere consapevoli del proprio passato e degli errori (dolosi o meno) le istituzioni (ma anche gli stessi cittadini e noi media) avessimo tutti mantenuto un controllo costante e operato le giuste pressioni.
Eppure, malgrado TUTTI (nessuno escluso) siano perfettamente consapevoli della responsabilità delle speculazioni edilizie, della mancata prevenzione, dei mancati controlli, che hanno portato della povera gente alla tomba, c'è chi ancora si aggrappa all'"imprevedibilità dell'evento naturale", arrivando perfino a sostenere che " quei capannoni erano stati costruiti prima che la legge prevedesse le norme antisismiche, quindi erano in regola".
Criminali è l'unica parola che può venire in mente.
Operai sono morti, e i cantieri riaprono senza controlli, analisi, e senza identificare i responsabili. Produrre produrre produrre.
E' chiaro che anche al lavoratore conviene la riapertura il prima possibile, altrimenti non mangia. Ma il prima possibile non significa senza criterio.
Perché, invece di fare controlli accurati sulle strutture e rimettere tutto a norma, investendo quei soldi che dovrebbero essere destinati ai lavoratori e non a finanziare 4 guerre, o a ingrassare i nostri politici, si preferisce riprendere a produrre ad occhi chiusi?
La risposta è una sola: il profitto dei pochi sulla salute dei molti.
Questo nel silenzio del resto della componente operaia del nostro paese, che a quanto sembra non ha neppure deciso di dichiarare lo sciopero generale, mentre i confederali decidono addirittura di rinviare il loro.
Anche quando la legge è "dalla loro parte". A questo proposito pubblichiamo un testo apparso sulla mailing list di Medicina Democratica, (alla quale ci si può iscrivere accedendo al sito www.medicinademocratica,org) nel quale si informa sugli aspetti legali circa le possibilità che la legge offre per tutelare i propri diritti di lavoratore, anche di fronte alle catastrofi.
Proseguendo poi nella lettura della mailing c'è chi, con lungimiranza, suggerisce di offrire ai lavoratori emiliani, oltre agli aiuti "umanitari", tutti gli strumenti possibili per poter raccogliere informazioni sufficienti e far rivalere i propri diritti, denunciando i responsabili, prima che anche quasta faccenda venga dimenticata.
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Il terremoto è una situazione di emergenza. E la legge prevede a carico del datore di lavoro e dei dirigenti di qualunque azienda obblighi specifici per la gestione di qualunque forma di emergenza, compreso i terremoti.
Visto che evidentemente c’è molta disinformazione e tale proposito (e l’ informazione secondo obbligo di legge la dovrebbero garantire datori di lavoro e dirigenti), è necessario ricordare ai lavoratori e ai cittadini quanto segue.
L’ articolo 18 del D.Lgs.81/08 impone come obbligo penale per datore di lavoro e dirigenti di:
- designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza;
- adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
- astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;
- adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato: tali misure devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva, e al numero delle persone presenti.
· L’ articolo 43 del Decreto prevede poi come obbligo penale per datore di lavoro e dirigenti di:
- organizzare i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell'emergenza;
- designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza;
- fare sì che i lavoratori addetti alla gestione delle emergenze siano formati, in numero sufficiente e dispongano di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell'azienda o dell'unità produttiva;
- informare tutti i lavoratori che possono essere esposti a un pericolo grave e immediato circa le misure predisposte e i comportamenti da adottare;
- programmare gli interventi, prendere i provvedimenti e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, possano cessare la loro attività, o mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro;
- adottare i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza o per quella di altre persone e nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo, tenendo conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili;
- astenersi dal chiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato.
Infine l’ articolo 44 del Decreto definisce chiaramente i diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato:
- il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa;
- il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato e nell'impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, prende misure per evitare le conseguenze di tale pericolo, non può subire pregiudizio per tale azione, a meno che non abbia commesso una grave negligenza.
Quindi i lavoratori devono pretendere da datore di lavoro e dirigenti che:
- esista e sia a conoscenza di tutti i lavoratori (anche gli esterni) dell’ azienda il documento formale “Piano di emergenza”, comprendente anche le procedure e le misure di comportamento (cosa fare e cosa non fare) in caso di terremoto;
- siano designati i responsabili e gli addetti alla gestione dell’ emergenza, che devono gestire e coordinare tutte le azioni da intraprendere in caso di terremoto;
- sia possibile abbandonare il posto di lavoro in condizioni di sicurezza;
- non venga richiesto di rientrare nei luoghi di lavoro, se non dopo aver accertato tramite i Vigili del Fuoco o la Protezione Civile la sicurezza dei fabbricati, anche in vista di ulteriori scosse.
Anche nel caso di mancanza di una organizzazione aziendale della sicurezza, in caso di terremoto, i lavoratori devono:
- al termine delle prime scosse (in cui devono pensare a ripararsi sotto tavoli, architravi, strutture portanti), anche se nessun responsabile dà l’ ordine di evacuazione, abbandonare immediatamente e senza indugi il fabbricato e portarsi a distanza di sicurezza (almeno 50 metri dallo stesso e da altri fabbricati;
- se non fanno parte delle squadre degli addetti alla gestione dell’ emergenza, non prendere nessuna iniziativa, ma pensare solo ad abbandonare (dopo le prime scosse) il posto di lavoro senza indugio e senza nessuna preoccupazione per danni a macchinari o beni aziendali;
- se fanno parte delle squadre degli addetti alla gestione dell’ emergenza, eseguire le azioni previste nel Piano di Emergenza, secondo la formazione ricevuta, ricordando comunque che non sono né Vigili del Fuoco, né infermieri professionisti;
- se il fabbricato ha subito danni anche lievi (crepe, vetri rotti, distacchi di intonaco, evidenti inclinazioni o flessioni delle strutture portanti, ecc.) non rientrare all’ interno dello stesso, nemmeno se lo chiede il capo o il datore di lavoro, a meno che non vi sia autorizzazione formale (scritta) da parte dei Vigili del Fuoco o della Protezione Civile;
- nel dubbio richiedere sempre l’ intervento dei Vigili del Fuoco o della Protezione Civile e non fidarsi di rassicurazioni generiche e non sopportate da fatti evidenti.
Visto che ormai terremoti importanti stanno interessando anche zone nel passato dichiarate non pericolose, i lavoratori, anche tramite i propri Rappresentanti per la Sicurezza (RLS) devono richiedere nell’ immediato futuro al datore di lavoro di certificare l’ idoneità dei luoghi di lavoro da un punto di vista strutturale (non necessariamente secondo la normativa antisismica, se non applicabile, ma secondo le leggi comunque vigenti e le norme applicabili, anche in zone classificate ufficialmente come non sismiche) e altrimenti devono pretendere che essi vengano peritati da enti o professionisti abilitati e richiedere i risultati della perizia.