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Provando ad usare un attimo la fantasia, questa sequenza di suoni (o almeno questo vorrebbero descrivere a parole) è una colonna sonora che ci accompagna tutti i giorni della nostra vita, almeno due o tre volte nell'arco delle 24 ore: le volte in cui, per un motivo o per l'altro, si entra in un bar provvisto di slot machine.
E così, dalle sei del mattino fino a chiusura, che stiate prendendo un caffè, leggendo il giornale, l'aperitivo con gli amici o parlando di lavoro, questa cacofonia di suoni diventa una colonna sonora alla quale ci siamo assuefatti.
Le slot machine sono quasi ovunque. In funzione, ed occupate, praticamente ogni minuto della giornata.
Ora, tolto il fatto che forse si tratta del gioco più passivo che si conosca (pari forse solo alla passività nell'uso della televisione, ) - metti moneta, schiaccia bottone, metti moneta, schiaccia bottone, cambia banconote con spiccioli, metti moneta, schiaccia bottone - la cosa che tutti hanno sicuramente notato almeno una volta (e che fa parecchio riflettere) è la tipologia delle persone alienate da quegli aggeggi infernali.
Operai, precari, disoccupati ed anziani: le fasce meno abbienti sono quelle maggiormente coinvolte nella dipendenza da questo oggetto, abbastanza da perderci tutti i risparmi.
Chi non è coinvolto in questo genere di prassi solitamente commenta deridendo queste persone, ma a conti fatti il problema andrebbe analizzato da un'altra prospettiva: com'è possibile che il rapporto tra situazione economica e abuso del gioco d'azzardo sia inversamente proporzionale?
Tra le risposte date fino ad oggi (più tempo libero a disposizione, noia, frustrazione etc) la più accreditata è quella della tendenza a dare una risposta individuale alla propria condizione quando stato ed organismi politici falliscono.
Per chiarirci meglio: di fronte ad una situazione di disagio economico (che ovviamente si trasforma in disagio esistenziale), queste persone (magari inconsciamente) si aggrappano alla speranza di una soluzione semplice e veloce al proprio disagio attraverso la ricerca della "botta di xxxx", una soluzione individuale per uscire dalla crisi. Ciò, malgrado la consapevolezza che la probabilità di vincere sia assolutamente ridicola.
C'è chi considera questo un "baco" insito nel genere umano, spiegando coi limiti naturali dell'animale-uomo le proprie contraddizioni . C'è chi invece analizza questa situazione come prodotto culturale, nella consapevolezza che la società capitalista nella quale viviamo propone come primo valore proprio l'individualismo, e come secondo l'attitudine a non interessarsi, a delegare ad altri il proprio destino, mentre al terzo posto nella scala dei valori troviamo la rassegnazione nel sapere che chi ha preso carico di quella delega lo fa solo per i propri interessi, e che quindi "sono tutti uguali" (il qualunquismo è il quarto valore).
Il problema nasce quindi dal fatto che nell'accezione comune, soprattutto tra i dipendenti dalle slot machines, l'unico modo per uscire dalla crisi sia proprio il colpo di fortuna, quando invece è ben noto che l'unica soluzione sia la risposta collettiva ed un cambiamento radicale del sistema economico, sostituendolo con uno che si basi su valori diversi, come l'equità sociale e la solidarietà.
Ora, di fronte ala consapevolezza del fenomeno sempre crescente della dipendenza (alienazione che diventa malattia) verso le slot machine, le domande da porsi sono due:
- perchè lo stato non interviene per "sconfiggere questa dipendenza"?
- perchè anche le realtà che si definiscono di sinistra ed operaie, come le società di mutuo soccorso, i circoli arci, le acli, nate poroprio come risposta collettiva ai problemi della classe operaia, si sono "adeguate" al sistema macchinette senza fiatare?
Nel primo caso la risposta è semplice, ed è la stessa che viene data quando si parla di sigarette: dietro al mercato delle slot machine c'è un giro di milioni di euro. Da una proposta di legge (pensate) del Pdl, si legge di un dossier pubblicato dall'associazione «Libera» di Don Ciotti che evidenzia come il gioco d'azzardo sia la terza industria italiana, che riguarda il 4 % del Pil. L'Italia, prosegue il dossier , sarebbe il paese europeo dove si gioca di più, ed il terzo a livello mondiale. Affari quindi
La seconda domanda invece tocca un tasto più spinoso. Di base la logica da usare è la stessa che si usa nel giudicare le cooperative: non si può neanche lontanamente pensare di poter costruire un apparato produttivo di qualsiasi genere ed inserirlo in un'economia di libera concorrenza senza giocare alle stesse regole della concorrenza. Anche nel caso dei circoli Arci, le Acli e le SMS, per sopravvivere come semplici esercenti (avendo oramai perduto la propria funzione sociale, che forse andrebbe recuperata) non possono far altro che giocare alle stesse regole. E la prima regola è il guadagno.
Il che "andrebbe anche bene", se riconoscessero di essere semplici attività commerciali. Tuttavia queste realtà continuano a difendere una fittizia impronta di ruolo sociale storico per distinguersi dagli altri esercenti.
In questo caso allora forse andrebbe preso da esempio il bar in pieno centro a Toirano, in cui Andrea Mattarozzi (un esercente e non un "compagno") ha deciso di levare dal proprio bar le macchinette, pur rischiando il bilancio dell'attività, sentendosi in colpa per tutte quelle persone che con quelle slot si sono rovinate (Il secolo XIX, 18 aprile 2012)
Un atto coraggioso, seppur isolato, meritevole di nota, e che pone al centro dell'attenzione ancora una volta il problema della crisi e delle soluzioni individuali a discapito di quelle collettive.
Che al termine dei festeggiamenti per il 25 aprile dovrebbe lasciare in bocca un sapore diverso e che, forse, dovrebbe suggerire anche alle amministrazioni, che coi valori di solidarietà e di resistenza si riempion la bocca, come un intervento serio potrebbe essere leggermente più coerente...