IL PUNTO DI MARIO MOLINARI - 20 ottobre 2011, 15:40

L'ombra della 'ndrangheta sulla bonifica dell'Acna?

L'Acna puzza ancora, eccome. Nelle zone circostanti ci andiamo con un gruppo di esperti. Verso Saliceto, accanto alla statale, un odore acre ci coglie d'improvviso. I presenti si guardano tra loro, come in un pensiero unico: “Lo senti? È questo. (l'odore, ndr) Molto meno, ma è questo. L'odore della fabbrica dei veleni, quando era ancora attiva”

L'ombra della 'ndrangheta sulla bonifica dell'Acna?

Che ci fa lì quell'odore, ancora, oggi nel 2011 d.C.?

Osserviamo la riva che dalla strada scende verso la ferrovia, che costeggia il muro di cemento armato eretto tutt'intorno all'area degli impianti: non vi cresce una foglia. La mole di “terra” riportata è notevole ma nonostante la stagione rigogliosa, non un cespuglio. I colori di questa “terra” variano dal grigio piombo, al rossastro, al giallognolo.

Davanti a noi, l'immenso drappo nero che ricopre la discarica storica dell'Acna.

La giornata è solare al contrario del paesaggio, a dir poco lunare. Poco a sud della discarica nera e coperta, notiamo un viavai di camion che sversano materiale in mucchi che visti dalla strada e in lontananza sembrano piccoli.

Un ragazzo che ci accompagna imbraccia in cannocchiale... “ma... c'è di tutto la dentro...!” In effetti da dove ci troviamo più che un teleobbiettivo ci vorrebbe un telescopio per notare gli strani detriti che fan capolino dalla discarica, di fatto ancora aperta. 

Cosa finisce in quella discarica?

La teoria vuole che siano i terreni della cosiddetta Area 3, la meno pericolosa, ma già ingrandendo le foto con mezzi di fortuna si nota un po’ di tutto. Intanto l'odore persiste.

Decidiamo così di spostarci verso l'ansa del Bormida, costeggiata dal muraglione bianco che segna una linea inquietante e sinuosa tra la natura di quelle acque che furono di tutti i colori, alla contronatura di quei rifiuti pericolosi incellophanati come un regalo ai secoli prossimi.

Lì. Fermi.

Si muove solo l'acqua dello scarico che si butta nel fiume. Perché uno scarico proprio sotto la zona più pericolosa, chiediamo? Ci spiegano che anche solo di quel maledetto scarico è una vita che si dibatte. L'unica mossa sensata sarebbe togliere la concessione idrica, che permette si pescare dal Bormida l'acqua di tutti, per farla scorrere tra quegli orrori chimici semisepolti.

O nel frattempo, fare in modo che il canale di colo almeno non attraversi di netto le colline di rifiuti tossici, pur protette, ma scorra lungo il lato settentrionale dell'impianto per poi ricongiungersi col fiume. Niente. E' lì. Da secoli. L'acqua che ne esce sembra pulita, ma tocca fidarsi.

 

Nel frattempo il frastuono è aumentato. Rumori di macchine da lavoro, di massi rovesciati, di cingoli che mordono il greto del fiume...Ci spostiamo verso il cimitero, in uno di quei pochi tratti dove la vegetazione, qui foltissima salvo strane chiazze glabre, permette di scorgere l'alveo. Camion rossi fanno su e giù. Un cingolato pare darsi un gran daffare a spostare massi qua e là in uno spasmo d'acciaio quasi esagerato, per un tranquillo pomeriggio di fine agosto. Scattiamo alcune foto. Il teleobiettivo, una scritta sul braccio della ruspa: Eco.Ge.

Osserviamo gli altri mezzi. Sono tutti della Eco.Ge dei fratelli Mamone, un'azienda sulla quale il Prefetto di Genova Musolino, ex Dipartimento Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ha emesso nel'luglio dello scorso anno una “interdizione atipica antimafia”, pubblicata anche sul Venerdì di Repubblica e destinata a tutti gli enti appaltanti. Come sono anche della Eco. Ge i camion arancioni che da circa un mese a questa parte per innumerevoli volte al giorno attraversano Cengio, da e verso l’Acna, deviando ogni tanto il frantoio dei Bagnasco all’inizio del paese.

Né dal comune, che sulla questione aveva già chiesto chiarimenti in passato, tantomeno dalla Syndial, arriva una spiegazione.    

Che Cengio sia una zona franca?

(Le foto)

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e.m. - mpm

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