Agricoltura - 11 agosto 2011, 13:19

Lettera alla Redazione: un contadino ingauno e le sue parole, come solchi

Porto alla Vostra attenzione il mio caso, che è quello di un comune contadino ma che potrebbe essere chiunque di noi. Come dicevano alcuni vecchi, e ancora lo ricordano parecchi giovani, i panni sporchi si dovrebbero lavare in casa ma se la "lavandaia" non è abbastanza accorta, la rumenta si mette a girare

Lettera alla Redazione: un contadino ingauno e le sue parole, come solchi

Gentilissimi,

Porto alla Vostra attenzione il mio caso, che è quello di un comune contadino ma che potrebbe essere chiunque di noi. Come dicevano alcuni vecchi, e ancora lo ricordano parecchi giovani, i panni sporchi si dovrebbero lavare in casa ma se la "lavandaia" non è abbastanza accorta, la rumenta si mette a girare.

Preambolo enigmatico, ma la spiegazione sarà chiara e dettagliata, così da lasciare a ciascuno che ne prenderà visione la piena versione dei fatti.

Sono un contadino, terza o quarta generazione che lascia la schiena sulla stessa terra così come mio padre, i nonni e i bisnonni. Come loro, ho creduto (e ad Albenga, si può solo usare il termine "creduto") nella forza dell'unione; la Cooperativa Ortofrutticola l'hanno fondata ANCHE mio padre e i miei nonni, ai tempi era quasi una chimera ma la forza di quelle menti attaccate a delle braccia funzionanti, poteva fare grandi cose. Peccato che quelle grandi cose siano finite miseramente, come oggi è sotto gli occhi di tutti.

Non solo l'unione è rimasta una bella parola scritta su tanta carta: gli interessi dei soliti capobranco hanno spolpato la torta, si è scambiata la coesione con la discarica degli avanzi aziendali e troppa gente ha fatto il bello e cattivo tempo. Sotto gli occhi di tutti, e senza l'intervento di alcuno, clientelismi e nepotismi hanno segnato il trascorrere del tempo, politiche commerciali a dir poco improvvide non hanno saputo segnare il passo con l'evoluzione dei mercati e della tecnologia (io stesso mi sono ritrovato a proporre ai dirigenti un software che avevo fatto realizzare da un ingegnere ingauno per il Quaderno di Campagna, fui guardato come un originale... ma è solo un esempio di molti)

Così l'Ortofrutticola è diventata come è oggi: un baraccone spiantato, dove si raffazzonano soluzioni da ultima spiaggia e dove comunque la professionalità latita, ancora, in troppi settori.

I clienti sono vittime di un sistema medioevale di pagamento: è gradito il sacchetto di monetine, un mio bonifico on line li ha spiazzati, non hanno saputo leggere le mail che gli ho mandato e si sono risentiti quando, dopo una mia lettera di rimostranze al "mio Presidente", signor Di Sibio, sono stati evidentemente redarguiti.

Lo stesso "mio Presidente", però, nonostante gli abbia scritto più di venti giorni fa, non mi ha ancora spiegato un bel pò di cose: perchè a me sono accaduti dei fatti contabilmente "strani" e come mai non mi ha ancora contattato per quel colloquio nel quale intendevo chiedere lumi su un bel pò di anomalie che ho notato nel tempo. E io sono sempre qui che aspetto, ma intanto scrivo.

So di sembrare il "solito bastian contrario", ma non sono una voce così fuori dal coro: anche altri colleghi contadini, anch'essi soci, non sono soddisfatti e rilevano un malcontento che non oso definire dilagante, ma senz'altro tangibile. Loro magari non scrivono a una testata giornalistica per lamentarsi, ma io si.

E spero con tutto il cuore che leggeranno questo mio sfogo anche tanti "non contadini" che poco conoscono la nostra quotidianità.

Gianni Pontari, Azienda Agricola "O Contadin"

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