«Era come agnello condotto al macello; maltrattato, non aprì bocca» (Is 53,7). Sabato Santo è il giorno del grande silenzio, della preghiera, del raccoglimento. E dell’attesa, in preparazione alla solenne Veglia Pasquale in cui si celebra la Resurrezione di Cristo.
Che strano giorno è questo: l’unico in cui non viene celebrata l’Eucaristia, prima della gioia della Domenica di Pasqua. Ma rappresenta soprattutto il giorno di Maria. Si ricorda il suo legame indissolubile con il Figlio, il dolore di una Madre, che però rimane salda nella fede, testimone viva che «la Speranza non delude», per dirla con san Paolo nella Lettera ai Romani.
L’immagine di Maria ai piedi della croce, chinata davanti alla devastante sofferenza del Figlio ha ispirato innumerevoli artisti. Basti pensare allo “Stabat Mater”, una delle pietre miliari della musica sacra di ogni tempo, commissionata a Pergolesi, probabilmente nel 1734, dalla laica Confraternita napoletana dei Cavalieri della Vergine dei Dolori di san Luigi al Palazzo, per officiare alla liturgia della Settimana Santa.
Un’opera che risponde al richiamo ecumenico lanciato da papa Francesco al convegno sulla musica sacra del 2017: «La musica sacra e il canto liturgico sappiano incarnare e tradurre la Parola di Dio in canti, suoni, armonie che facciano vibrare il cuore dei nostri contemporanei, creando anche un opportuno clima emotivo, che disponga alla fede e susciti l’accoglienza e la piena partecipazione al mistero che si celebra».
Perché la musica sacra curata e preparata aiuta nella preghiera ed offre anche tante occasioni di avvicinamento alla fede. Come testimoniato anche da Benedetto XVI, il grande amore per la liturgia, incontro con il Signore e fonte per un’autentica vita cristiana, esige una grande cura e dedizione proprio nel campo della musica sacra. Dall’altra parte solo vivendo autenticamente il Vangelo si può essere autentici nella liturgia.
L’elemento musicale tra i più belli e struggenti di tutta l’arte sacra si salda così al messaggio del compianto frate cappuccino braidese Luca Isella: «La vera preghiera non deve avere la presunzione di portare gli uomini a Dio, ma portare Dio agli uomini. Il Signore ama l’umanità in modo paradossale, tanto da lasciare tutto per andare alla ricerca di una sola pecora che si è smarrita». E questa è la nostra salvezza e la nostra speranza.