“L’arte marziale ti serve una volta nella vita”, dice Maurizio Casalini, 67 anni, macchinista in pensione e istruttore di karate. “Per mia fortuna non ho mai fatto a botte e il karate mi è servito solo una volta: quando Gianfranco Fini venne a Savona, all’epoca in cui è nato il Pdl con Bossi e Berlusconi. Ora Savona è città medaglia d’oro della Resistenza e così, con un gruppo di antifascisti, siamo andati a manifestare, ma molto civilmente, da dietro le transenne, gridando ‘Fuori i fascisti da Savona!’. E all’improvviso, cosa vedo? Fini che va a strattonare il questore e gli urla: ‘Perché non li fai cacciare via?’. Il questore allarga le braccia e un gruppo di poliziotti si lancia verso di noi e uno alza il manganello su una ragazza che era accanto a me ed era pure incinta. Quando ho visto il manganello alzarsi è stato più forte di me: ho fatto un gesto molto semplice - si chiama ‘Eian jodan’ - ho sfilato l’attrezzo dalla mano del poliziotto e poi, con estrema cortesia, gliel’ho ridato. Ci voleva una telecamera: c’è stato un attimo di vuoto in cui ci siamo guardati come dire: ‘E adesso che succede?’, ma è finita così. Per la ragazza, nel modo migliore…”.
Angelo Ferrero ha 65 anni. Fa karate da quando ne aveva 11 e lo insegna dal 1980. Gli chiedo se nel corso del tempo sono cambiate le motivazioni che l’hanno spinto verso questa pratica: “No – risponde – perché ho avuto un maestro che ci ha insegnato veramente cosa deve cambiare dentro e perché anche io sono cambiato. Sono diventato, potrei dire, mentalmente più forte. Il karate mi ha dato una calma estrema, anche nei momenti non dico di panico, ma magari di disagio, come quando ti accade un evento catastrofico. Vedi, io ho una piccola malformazione cardiaca. Da piccolo mi dava molto fastidio e avrebbe potuto essere un handicap perché se i tuoi compagni vedono che non stai bene, ti guardano come se fossi venuto da un altro mondo. Bene, il karate mi ha dato la forza di pensare: ‘Ok, ho questo problema, ma posso comunque cavarmela benissimo nella vita’. Sono sempre stato una persona impulsiva e invece il karate mi ha dato questa tranquillità di ragionare e di vedere, di volta in volta, come affrontare una situazione. Il karate mi ha insegnato a non abbattermi, a non arrendermi a una difficoltà. Se ti capita qualcosa non devi farti prendere dal panico. Devi restare calmo come quando combatti. Ricordo una sera, verso mezzanotte, che tornavo verso casa, in Piazza Mameli, e seduto su una panchina c’era un vagabondo che era spesso ubriaco. Si alza impugnando una bottiglia rotta e inizia a inveire contro di me, e io, con estrema determinazione, gli ho solo detto: ‘Meglio che ti siedi. Perché è meglio per te’. Così si è seduto e io sono andato a casa, senza bisogno di scontrarmi o di litigare. Se non fossi stato calmo, chissà come sarebbe finita”.
Maurizio e Angelo, dopo aver dedicato al karate gran parte della loro vita, hanno deciso di insegnarlo a un pubblico che apparentemente sembra il più lontano dagli scenari di Bruce Lee o dei film d’azione, cioè a persone entrate nella terza o nella quarta età. Il corso si chiama “Cinture d’argento” e la “palestra” dove viene tenuto è un’aula della Casa del Volontariato, un edificio degli anni ’30 dal fascino vagamente sovietico, al centro del quartiere più simpatico di Savona perché è l’unico che abbia mantenuto una sua identità: Villapiana. Qui ogni bar è una famiglia allargata e quando i fascisti provarono a infiltrare il quartiere, la risposta fu corale. Chiedo ad Angelo se il karate non sia una tecnica troppo veloce per persone che sono entrate negli “anta”. “Sai – risponde – il karate puoi farlo anche in modo estremamente lento. Proprio come il Tai Chi. Nei miei allenamenti al mattino, il mio maestro mi diceva di fare i kata 5 volte lentamente e una sola volta in modo veloce. L’agonismo e lo spirito guerriero alla nostra età non hanno più senso, ma il karate è utilissimo per star bene e lavorare sulla respirazione e sulla concentrazione”.
Nell’aula dove si pratica, grazie anche a una maggioranza di quote rosa, regna un clima allegro e rilassato. Si fanno esercizi per lavorare sui muscoli, sulle giunture, sull’equilibrio, sulla respirazione, poi si studiano i kata (le tecniche), ma non c’è nessuna dimensione “scolastica”, nessuna ossessione “marziale”, gli errori non sono “colpe”, e anche se c’è un’estrema attenzione alle tecniche e alle posture, il risultato è una pratica molto divertente, che lascia spazio, tra un kata e l’altro, anche per commentare i prezzi della verdura, i costi dell’idraulico o le bizze del marito.
Marina, 65 anni, ex-dirigente di un ufficio postale, racconta: “Non ho nessuna esperienza di arti marziali e neppure di palestra. Ho fatto del nuoto sino all’agonismo a 16 anni e poi non ho più fatto sport e ho fatto un lavoro sempre molto sedentario. Ho iniziato con il karate perché degli amici mi hanno coinvolto. Mi è piaciuto e ho continuato. Anche se vengo solo una volta alla settimana, mi sento più sciolta. Ero molto scettica sugli sport in palestra e invece mi piace e mi resta anche nella testa: quando cammino sto più attenta alle posizioni dei piedi e anche a casa mi viene da fare gli esercizi di equilibrio, anche quando ‘giro le pentole’. Ho già ‘arruolato’ un’amica e vedo che è contenta! È importante provare cose nuove!”.
Vincenzo Falco, 75 anni, faceva il programmatore informatico. Per 10 anni si è dedicato al salto in lungo e al salto triplo, poi ha dovuto smettere per un problema alle articolazioni e ha fatto un po’ di karate 35 anni fa. Ha ripreso a praticare nel 2017 e in soli due anni è arrivato alla cintura nera e al primo dan. Gli chiedo che cosa gli ha dato nella vita quotidiana. “Mi ha accelerato molto i riflessi, ma sono più controllato. Nella mia vita non ho mai fatto a botte, però se ho a che fare con persone arroganti, mi accendo facilmente e il karate mi ha insegnato ad essere sempre pronto, ma a non essere mai quello che attacca per primo. L’altro giorno ero con mia moglie in Piazza delle Palme a Savona, e incrociamo un tizio che porta il cane a sporcare l’aiola e non raccoglie. Mia moglie sbotta: ‘Ma le sembra il modo? Perché non pulisce?’. E quello: ‘Fatti i cazzi tuoi!’. Al che sono intervenuto e gli ho risposto: ‘Sono cazzi miei! È la mia città e voglio che sia pulita! Qui ci giocano i bambini!’. Quello brontola ancora qualcosa, così gli ho detto: ‘Finiamola lì: tu sei un maleducato e un ignorante!’. Mi sono controllato, ma uno così tirava gli schiaffi. Il karate mi è servito anche sul lavoro, specie gli esercizi di respirazione. Scrivere dei programmi informatici richiede un’estrema concentrazione e ho visto che, praticando karate, la mia era aumentata”.
Un antropologo giapponese che si chiamava Itsuo Tsuda e che scrisse 10 libri sulle arti marziali, dedicò molte pagine al concetto di “ki”, cioè alle intenzioni che accompagnano (e spesso precedono) gesti e comportamenti. L’aikido che insegnava era sostanzialmente un lavoro sul “ki” e sulla capacità di “leggere” e di prevedere le intenzioni altrui. “Questa storia mi ricorda un episodio che mi è accaduto quando facevo il macchinista – racconta Maurizio – sai, ci sono tratti in cui viaggi a 150 all’ora. A Racconigi c’è un rettilineo e un passaggio a livello e io che viaggiavo a 150 all’ora, a un tratto ho visto una donna che passava sotto la sbarra e andava sui binari, così ho azionato subito la frenata rapida. Di solito abbiamo l’obbligo di fischiare tre volte prima di azionare la rapida, perché è un tipo di frenata che rovina le ruote, ma io ho visto che in quella donna c’era qualcosa di strano... Sai dove si è fermata la motrice? A un metro da lei! Dal finestrino la potevo guardare negli occhi. Era lì, in piedi in mezzo ai binari con una birra in mano e sembrava imbambolata. Un attimo dopo dalla strada è arrivato suo figlio, che l’ha afferrata (era mingherlina) e l’ha trascinata in macchina. Forse era uscita da qualche struttura per persone con problemi mentali. Chissà… Ma si è salvata per un metro!”.
“Spesso si dice che il karate e lo zen sono un’unica cosa – spiega Angelo – perché nel karate, come nello zen, occorre concentrazione, vigilanza mentale, attenzione all’altro. In età avanzata è utile proprio per questo. Kodo Sawaki, che era un maestro Zen, diceva che nello sport ci sono i minuti, per cui puoi recuperare - da 1-1 a 2-1… - ma nelle arti marziali ci sono solo gli istanti e in questi istanti devi essere presente, perché lì ti giochi tutto”. Chiedo a Vincenzo se il karate lo abbia aiutato a “leggere” le intenzioni altrui. “Il karate insegna una visione ‘circolare’ – dice – specie quando hai di fronte una persona e non sai cosa potrebbe fare. All’inizio non me ne rendevo conto. Quando facevamo i primi combattimenti mi concentravo sulle mani o sui piedi dell’avversario. Poi ho imparato col tempo ad avere una visione ‘globale’ che ti permette di intuire anche il minimo movimento di chi sta di fronte”.
Un’applicazione pratica di questo concetto può essere quello che è accaduto a Maurizio proprio a Villapiana. “Un tizio qui del quartiere torna dal lavoro, parcheggia l’auto davanti alla mia e va a dormire – racconta – Io facevo il macchinista e dovevo assolutamente raggiungere il treno. Così citofono al proprietario dell’auto per dirgli di spostarla. Quello scende, furioso perché l’avevo svegliato. Gli spiego che devo andare a lavorare e quello mi fa: ‘Beh, vacci a piedi! Rompi i coglioni a me?’, poi fa un passo avanti e cerca di darmi una testata. Io ho fatto solo un passo indietro e a quel punto si è fermato, ha tirato fuori le chiavi e ha spostato la macchina”.
Un articolo di Ashleigh Johnstone pubblicato sull’Independent nel 2018 (leggi qui) racconta: “Le arti marziali hanno dimostrato di poter migliorare anche il benessere emotivo di una persona… Quarantacinque adulti di età compresa tra i sessantasette e i novantatré anni sono stati divisi in tre gruppi e invitati, rispettivamente, a prendere parte a un addestramento di karate, a un addestramento cognitivo e a un normale addestramento fisico di tipo occidentale, per un minimo di tre e un massimo di sei mesi. Gli adulti nel gruppo del karate hanno mostrato livelli più bassi di depressione dopo il periodo di allenamento rispetto ad altri gruppi, forse a causa del suo aspetto meditativo. È stato anche riferito che questi adulti hanno mostrato un maggiore livello di autostima dopo il periodo di allenamento”.
“Il karate – spiega Angelo Ferrero – può essere visto anche come una meditazione in movimento e può essere modificato in funzione dell’età. I giovani vogliono combattere, gareggiare e primeggiare, ma a noi interessa soprattutto stare bene, stare bene in gruppo, cioè avere una buona socialità di gruppo e magari recuperare la mobilità perduta”.
Un corso del genere in una città che sta diventando la più anziana d’Europa avrebbe dovuto suscitare l’entusiasmo (e il supporto) degli amministratori locali, ma forse il sindaco era troppo impegnato ad avvolgersi nella bandiera di “Savona-capitale-della-Cultura” e la provincia a districarsi fra girandole di multe contestate e inchieste sulla gestione del verde, per cui l’unica istituzione che abbia mostrato un interesse per l’iniziativa è stata Auser, che, grazie ad Anna Giacobbe, ha trovato un locale dove si potesse far partire il corso.
Chi fosse interessato a “Cinture d’argento” può trovare informazioni a questi numeri: 3664363285 - 3475085512.