Riceviamo e pubblichiamo alcune riflessioni di un giovane lettore, Lorenzo Caviglia, sulla candidatura di Savona a Capitale Italiana della Cultura 2027
"Qualcosa da dire ce l’abbiamo tutti.
Savona non è Capitale Italiana della Cultura 2027 e i commenti oscillano: c’è chi vede il declino definitivo della città, chi grida al complotto e chi si limita a dire «te l’avevo detto» con l’aria euforica di chi ha sempre capito tutto. Per qualcuno, si trattava di una disfatta annunciata: mezzi pubblici fatiscenti, degrado urbano, ospitalità turistica inesistente, strade inagibili e una città che galleggia in una palude di provincialismo e immobilismo.
Sono tempi fertili anche per molti vecchi saggi, all’improvviso esperti di cultura: consiglieri, “imprenditori”, ex sindaci e vicesindaci. In molti riemergono dall’ombra, dopo aver prima messo e poi tolto, in grande fretta, le bandierine dal balcone. Li accogliamo, pronti come sono a illuminare la comunità con la loro analisi: «era inevitabile che non ce la si facesse. Savona non era attrezzata per un titolo del genere»; «la candidatura è stata il tentativo di trovare una scorciatoia ai gravi problemi che pesano sulla nostra città»; «quanto è costata ai cittadini savonesi questa candidatura?» e «sarà importante capire se l’amministrazione comunale avrà il buon senso e la modestia di ragionare con obiettività sulle ragioni di una sconfitta».
Insomma, se uno dovesse fidarsi dei commenti, Savona oggi sembrerebbe il set di un film post-apocalittico: macerie ovunque, autobus in fiamme, branchi di randagi affamati a presidiare il Priamar e baby gang pronte, in piazza del Popolo, a derubare le signore savonesi. «La grandezza dei giocatori la vedi però nella sconfitta più che nella vittoria» ci ricordano gli “intellettuali”.
E allora, senza nulla togliere alla nobile arte della lamentela, che dalle nostre parti si tramanda con cura da generazioni, forse sarebbe il caso di ridimensionare la cosa.
La verità è che Savona non ha vinto, ma nemmeno perso. Ha partecipato. E questo, per una città che per decenni si è chiusa in un’inerzia culturale stagnante, non è un dettaglio trascurabile.
Quello che molti faticano ad accettare è che la candidatura non era un fine, ma un mezzo. E in questi mesi, grazie alla gara, Savona ha sperimentato qualcosa di nuovo. Per la prima volta, gruppi culturali, artisti, associazioni e istituzioni hanno trovato un terreno comune, lavorando insieme per una visione condivisa.
E chi oggi esulta per l’esclusione, forse dovrebbe stare in silenzio o riconoscere che nessuna persona è stata lasciata fuori: c’è chi ha partecipato e chi ha preferito stare a guardare, sperando nella sconfitta. Perché la realtà è che il processo è stato aperto, trasparente e accessibile. Un esempio di buona politica culturale, di quelle che non si fanno con gli slogan, ma con il lavoro e la progettualità. E qui si viene al punto.
Se la cultura non fosse un evento straordinario ma un’abitudine quotidiana, forse oggi non staremmo a parlare di sconfitta. Perché la cultura non è una competizione, non è un bollino del ministero da appiccicare all’ingresso della città per poi dimenticarsene. La cultura è il fondamento stesso di una comunità. È ciò che ci rende consapevoli del luogo in cui viviamo, della sua storia e delle sue potenzialità. Ed è ciò che ci permette di salvarci: dalla povertà educativa, dalla frammentazione sociale, dall’illegalità.
Tullio De Mauro diceva che «la democrazia vive se c'è un buon livello di cultura diffusa: se questo non c'è, le istituzioni democratiche sono forme vuote». La cultura, quindi, non può essere una moda passeggera, un evento isolato da celebrare a intermittenza. Deve essere pervasiva, quotidiana, accessibile.
Ora non serve né abbattersi né recriminare: serve costruire. Perché nei prossimi mesi, Savona potrà trasformare questo percorso in qualcosa di duraturo, in nuove idee, nuovi spazi e nuove occasioni. Perché il vero cambiamento non lo fa un titolo, ma le persone. Quelle che scelgono di restare, di creare, di credere che Savona possa essere migliore di quello che è oggi.
Non siamo una città che ha perso. Siamo una città che ha iniziato a capire come si vince.
Lorenzo Caviglia"