"Il caffè è un piacere" come diceva Nino Manfredi in un famoso slogan degli Anni Ottanta. Il caffè celebra la vita, frenetica o rassicurante che sia e ha, pure lui, una data speciale in cui viene festeggiato in tutto il mondo.
La Giornata internazionale del caffè è il 1° ottobre e si celebra dal 2015, da quando venne promossa e vissuta all’interno di Expo Milano. A stabilirne il lancio, un anno prima, fu l’Organizzazione Internazionale del caffè, anche se nel corso del XX e del XXI secolo ci sono stati diversi eventi che possono essere collegati a questa ricorrenza. Il 1° ottobre del 1983 la All Japan Coffee Association organizzò un grande evento legato al caffè, mentre negli Usa la Giornata nazionale del caffè fu istituita già nel 2005. E se dal 2006 l’Indonesia festeggia questa bevanda il 17 agosto, il 3 ottobre 2009 il Southern Food and Beverage Museum di New Orleans istituì una Giornata internazionale del caffè per promuovere il primo Festival del caffè cittadino.
Certo, il caffè non è nato in Casa nostra, ma in Etiopia. Eppure, dal 1570, grazie a un padovano che ne portò alcuni sacchi dall’Oriente, ha trovato luce a Venezia e poi ovunque in Italia, tanto da essere considerata un’eccellenza, esportata all’estero e bevuta come non ci fosse un domani da tutti noi.
Tutto bellissimo, o quasi. Sì perché il caffè non è mai stato così bollente e presto lo sarà ancora di più. La ragione è che dal punto di vista ambientale non è più sostenibile, ma forse sarebbe più corretto dire che è un disastro di proporzioni planetarie. E no, purtroppo non stiamo esagerando.
Il caffè naturalmente non si è “macchiato” di nessuna colpa lo ha fatto, bensì, la nostra smisurata sete della bevanda nera che attiva le sinapsi. Pensate che al mondo le persone mandano giù due miliardi di tazze di caffè, ogni giorno.
Una richiesta smodata e insostenibile sul lungo periodo per l’albero medio di Arabica, il quale produce da uno a due chili di caffè all’anno: questo significa che ogni bevitore di caffè che consumi almeno due tazze al giorno richiede una produzione continua da circa 20 alberi di caffè, solo per lui!
Ma questa è solo la punta del chicco, dietro all’aroma inconfondibile del caffè purtroppo si celano deforestazione di massa, paghe basse per i coltivatori, catene di approvvigionamento lunghe e per niente ecologiche in termini di emissioni di carbonio, il tutto per far fronte all’enorme domanda quotidiana di caffè mantenendone i prezzi bassi. Ma ora la situazione è arrivata a un punto di non ritorno, ce lo dice il cambiamento climatico.
A causa dei cambi di temperatura, di siccità prolungate a cui cedono il passo bombe d’acqua, circa metà dei terreni più adatti a coltivare il caffè diventerà inservibile entro il 2050. In Brasile, addirittura, secondo un approfondimento dedicato all’argomento dal Wall Street Journal, ben l’88% delle piantagioni di caffè non sarà più adatta alla scopo. Insomma, entro la metà di questo troppo caldo XXI secolo il caffè diventerà un prodotto di nicchia, difficile da coltivare e quindi estremamente costoso.
Tuttavia se c’è una cosa a cui la gente non rinuncia tanto facilmente è proprio il caffè. Lo sanno bene le aziende del settore che sono già partite alla ricerca del sostituto perfetto. La corsa al nuovo caffè si fa in groppa agli strumenti più avanzati della biotecnologia alimentare tramite i quali si è appurato che, lavorando altre materie prime allo stesso modo dei chicchi di caffè, come i ceci o scarti agricoli come i noccioli dei datteri, il risultato in termini di gusto è molto simile.
Come dichiara uno dei nuovi distributori del new coffee intervistato dal Wall Street Journal: «Il gusto del caffè o del cioccolato è in realtà frutto del processo utilizzato per produrli (la tostatura, ndr), di recente ho avuto la possibilità di provare una tazza di caffè fatto con noccioli di datteri ed era indistinguibile da quello originale». La corsa ai ripari per salvare il caffè non si limita a questo, ma punta molto più in alto, più precisamente verso la Stazione spaziale internazionale. Il progetto BioNutrients presso la Divisione di Bioscienze Spaziali dell’Ames Research Center utilizza l’ingegneria genetica per creare alimenti con risorse minime, insomma la cucina ideale per gli astronauti.
Ecco la ricetta: prendete delle cellule vegetali, ad esempio di caffè (q.b.), fatele crescere in un bioreattore (un’apparecchiatura in grado di fornire un ambiente adeguato alla crescita di organismi biologici) alimentandole con zuccheri per qualche settimana e ne ricaverete una polvere. Insomma, un caffè definito “sintetico”, sostanzialmente creato in laboratorio. Ora non vi resta che tostarla e metterla nella moka.
Insomma, in ogni caso, pare di capire che il caffè sia destinato sempre di più a diventare un bene di lusso. E se invece, molto più semplicemente (e sensatamente) la soluzione fosse modificare le nostre abitudini di consumo, per garantire a tutti un futuro più sostenibile?