In un mondo sempre più frammentato, dove i conflitti sono tornati prepotentemente a farla da padroni, dove le divisioni culturali sono spesso esasperate, c'è un linguaggio silenzioso ma allo stesso tempo forte come pochi altri, forse nessuno, capace di unire e creare fratellanza tra popoli: è quello del cibo.
Così, in un'atmosfera pregna di curiosità e condivisione, gli ospiti del progetto SAI (Servizio Accoglienza e Integrazione) di Finale Ligure, gestito dalla cooperativa L'Ancora, hanno scelto proprio la condivisione delle proprie cucine e delle proprie culture per celebrare, lo scorso giovedì 20 giugno, la "Giornata del Rifugiato", l'appuntamento annuale voluto dalle Nazioni Unite per riconoscere la forza, il coraggio e la perseveranza di milioni di persone costrette a fuggire nel mondo a causa di guerre, violenza, persecuzioni e violazioni dei diritti umani.
Quello finalese è uno degli 887 progetti attivi sul territorio nazionale di quella che viene definita "seconda accoglienza", il cui obiettivo è la riacquisizione dell’autonomia individuale dei migranti sul territorio. Trovare un impiego, un lavoro, o più semplicemente cominciare aiutando queste persone a ottenere la patente sono esempi di aiuto a cui sono stati accompagnati gli stranieri accolti.
La tavola è diventata, nel giardino dell'ex convento dei frati cappuccini di Finalmarina, quel luogo dove le barriere culturali si sono dissolte. Un incontro di gusti e sapori, ma anche di storie e sogni di un futuro migliore quelle raccontate, attraverso i piatti della propria tradizione, da ognuno degli ospiti del progetto finalese che accoglie persone che hanno ottenuto lo status di rifugiati seguendo il procedimento previsto dalla legge fuggendo dalle crudeltà e dalle difficoltà della propria nazione, della propria casa.
Le empanadas preparate da Luisa ed Herm che arrivano dal Venezuela, il borsc e i varenikyi ucraini di Olexandr, il tajin tipico del Maghreb preparato da Mohamed e Faisal, dall'Afghanistan il bolani e il kabuli pulaw di Khan, il bariis isku karis di Mohamed che arriva dalla Somalia, la piccante salsa oseille tipica del Burkina Faso fatta da Assane.
Tanti i sapori che parlano di un legame mai dimenticato con la propria terra e che al tempo stesso sanno di integrazione: non solo nella condivisione del pasto, momento che per il Siddharta era addirittura un qualcosa di spirituale, ma anche nella preparazione dov'è stato fondamentale il contributo dell'associazione finalese "Noi per Voi" e della Consulta del Volontariato.
Perché in un'epoca in cui l'ospitalità e l'inclusione sono più importanti che mai, eventi come questo pranzo multietnico ci ricordano che la vera essenza dell'umanità si trova nella nostra capacità di accogliere e condividere.