Le memorie dell’anno che sta per andarsene non sono incoraggianti, soprattutto per gli scenari di guerra che si perpetuano in più parti del mondo. Ma gli auguri di Natale sono l’occasione perfetta per prospettare un futuro pieno di speranza, anche per chi, per motivi che possono essere i più diversi, da tempo non riesce a vedere la luce.
Nell’ottavo centenario del primo presepio del mondo, quello di San Francesco a Greccio, questo il messaggio augurale che monsignor Guglielmo Borghetti, vescovo della Diocesi Albenga-Imperia, ha rilasciato ai giornalisti per i lettori dei quotidiani: “Il futuro pieno di speranza, per noi credenti, ha il nome di Gesù Cristo. Il Natale è la festa dei nuovi inizi, perché nella storia entra il Signore stesso, Dio che nasce bambino da una donna e viene deposto in una mangiatoia. Entra nella semplicità e nell’umiltà e mostra a tutti una strada che permette percorsi nuovi e inediti. Chi accoglie e segue quel bimbo che si farà uomo nel corso del tempo e donerà la sua vita in riscatto dell’umanità per liberarla dal peccato e dal male, per riaprire le porte del paradiso, diventa un attivatore di novità, un promotore di pace e di serenità”.
“Il Natale è la festa dei nuovi inizi e noi ne abbiamo sempre nostalgia – prosegue -. La nascita di un bambino risveglia sempre la nostalgia di una vita che comincia, di un nuovo inizio. Davanti al presepe che allestiamo nelle nostre case e nelle nostre chiese, riconoscendo in quel bambino di Betlemme di volto dell’eterno Dio che si fa uno di noi e percorre le nostre strade senza lasciarci più, restando con noi fino alla fine del mondo, accogliendolo e seguendolo, ciascuno di noi troverà la strada per diventare un costruttore di pace”.
Quello che segue è invece il messaggio augurale in versione integrale che il vescovo Borghetti ha pubblicato per tutti i fedeli sul sito della diocesi Albenga-Imperia.
“Carissimi Fratelli e Sorelle!
Il Natale è alle porte! Quest’anno mi sono lasciato provocare, per la breve riflessione augurale che vi propongo, dal pensiero di un grande protagonista della storia culturale europea del secolo scorso, un filosofo e teologo italo-tedesco definito dai biografi “un Padre della Chiesa del XX secolo”: Romano Guardini. I libri di Guardini hanno nutrito molti intellettuali cattolici del Novecento e tra i suoi allievi vi fu anche Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, che ebbe modo non solo di leggere ma anche di ascoltare dal vivo colui che elesse come suo grande “maestro”. Anche Papa Francesco ha riconosciuto più volte di essere in debito con Guardini, avendolo a lungo approfondito nel suo percorso di studi assorbendone così il suo pensiero. Ebbene, Guardini, avvicinandosi il Natale del 1962 scrive un testo da regalare alla cerchia dei suoi amici dove risplende una parola chiarificatrice sul senso del messaggio di Natale: inizio! Questa parola mi ha fatto sentire acuta la nostalgia di un ‘inizio’ nuovo per la nostra vita personale e per la vita del nostro mondo. Chi può portare, chi può donare una novità tanto potente da indurre le coscienze personali e la coscienza collettiva alla conversione se non un Dio! Si, la nascita di Gesù si pone nella storia come un nuovo, costitutivo inizio, una energia di novità! Questo è il mistero del Bambino: profondità dell’inizio, pienezza di futuro dono e -al tempo stesso- inizio di una nuova vita; questo è ciò che “è originariamente cristiano: un bambino è nato per noi” (Hanna Arendt), e questo ‘bambino’ è vero uomo e vero Dio, che nasce da una donna: Maria!
“Dio s’è fatto uomo, figlio di una madre umana, uno di noi, ed è rimasto ciò che Egli è eternamente, Figlio del Padre nel cielo. Egli, che come Dio era in tutto, ma sempre «dall’altro lato del confine», nell’eterno riserbo, è venuto al di qua del confine, ed è stato ora presso di noi, con noi. Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto, questo soltanto. Tutto il resto, la gioia per i doni, l’affetto della famiglia, il rinvigorirsi della luce, la guarigione dall’angustia della vita, riceve di là il suo senso. Quando quella consapevolezza però svanisce, tutto scivola sul piano meramente umano, sentimentale, anzi brutalmente affaristico” ( Guardini).
Che cosa significa dunque Natale? Solo avanzando verso il nucleo centrale della fede cristiana è possibile rispondere e quel nucleo è l’inizio avvenuto a Betlemme! Quante disquisizioni sull’essenza del cristianesimo! Esistono definizioni annacquate, blande, incomplete. Il cristianesimo non è semplicemente la religione dell’amore del prossimo o del valore dell’interiorità spirituale, della maturità umana o del rispetto del creato, della promozione della pace e della giustizia o di quant’altro si possa dire. È ovvio che in tutto ciò c’è qualcosa di esatto, di vero, ma come secondo aspetto, come aspetto derivato che acquisisce il suo senso solo quando è ben chiaro ciò che è primo e autentico: l’inizio di Betlemme. Bisogna non solo tornare a Betlemme, all’inizio – “Verbum caro factum est et habitavit in nobis – il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) – ma ripartire dall’inizio, dall’inizio di Dio nel tempo finito, perduto, in cui Lui stesso si perde ed approda alla nostra chiusura per invitarla ad aprirsi. L’inizio di Dio a Betlemme è l’inaudito, ciò che non si riesce in alcun modo a prevedere, è pura gratuita e novità originaria. La persona umana che accoglie il Bambino come Egli è, vero uomo e vero Dio, inizia un nuovo percorso e l’inizio diventa così una nuova creazione.
Nella complessità del tempo presente il cristiano è colui che accoglie Cristo e lo segue, è colui che testimonia la novità assoluta regalatagli per grazia e proprio così infonde la novità nei labirinti dei cuori e nei sentieri della storia, proprio così diventa promotore e anticipatore di “cieli nuovi e terra nuova” (cfr. Ap 21,1-4). Nel tempo di violenze ed ingiustizie, di conflitti e aggressioni, di volti di bambini impauriti dalla guerra, del pianto delle madri, dei sogni infranti di tanti giovani, dei profughi che affrontano viaggi terribili e sono tante volte sfruttati, il cristiano attinge alla sorgente dell’inizio di Betlemme e possiede così in dono la forza di fare nuove tutte le cose (cfr. Ap, 21,5). Il Dio -con- noi è la nostra Speranza!
È bello vivere il Natale come festa della Speranza cristiana! Fatta chiarezza su che cosa è il Natale -festa dell’inizio avvenuto a Betlemme-, possiamo concludere facendo nostre le parole del Santo Padre Francesco: “noi crediamo e sappiamo che la morte e l’odio non sono le ultime parole pronunciate sulla parabola dell’esistenza umana. Essere cristiani implica una nuova prospettiva: uno sguardo pieno di speranza. Qualcuno crede che la vita trattenga tutte le sue felicità nella giovinezza e nel passato, e che il vivere sia un lento decadimento. Altri ancora ritengono che le nostre gioie siano solo episodiche e passeggere, e nella vita degli uomini sia iscritto il non senso. Quelli che davanti a tante calamità dicono: “la vita non ha senso, la nostra strada è il non-senso”. Ma noi cristiani non crediamo questo. Crediamo invece che nell’orizzonte dell’uomo c’è un sole che illumina per sempre. Crediamo che i nostri giorni più belli devono ancora venire. Siamo gente più di primavera che d’autunno” (Francesco).
Pur nell’inizio dell’inverno ci sentiamo davvero gente di primavera, siamo radicati nell’Inizio della Notte Santa, sorgente di ogni bene e dunque Buon Natale amici carissimi! A tutti! Buoni inizi di vita rinnovata dal Bambino di Betlemme accolto e seguito. Il Signore vi benedica e vi dia pace! Con affetto di padre, il vostro vescovo Guglielmo”.