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Coldiretti Informa | 30 novembre 2023, 11:31

Coldiretti: "Storico 'si' a etichetta di origine su succhi e marmellate"

L'associazione sul provvedimento dell'Unione Europe: "Un passo verso l’acquisto consapevole, necessario dopo l’addio a 100 mln di piante"

Coldiretti: "Storico 'si' a etichetta di origine su succhi e marmellate"

La Commissione ambiente del Parlamento Europeo ha decretato l’obbligo di indicare la provenienza della frutta utilizzata in succhi, marmellate e miele. Proprio nell’etichettatura di quest’ultimo le etichette saranno più chiare e trasparenti: dovranno indicare le percentuali delle miscele di mieli provenienti dai diversi Paesi. Il sì arriva direttamente da Coldiretti, che sottolinea la soddisfazione nell’adozione del progetto di relazione in Commissione ambiente del Parlamento Europeo sulla cosiddetta Direttiva “Breakfast”.

“È una soddisfazione poter assistere alla messa a terra del progetto,” commentano Gianluca Boeri e Bruno Rivarossa, Presidente di Coldiretti Liguria e Delegato Confederale. “La trasparenza è uno dei principi cardini su cui lavoriamo da sempre in Coldiretti: l’etichettatura è la prima forma di apertura del produttore nei confronti del consumatore, e perciò deve essere chiara, ben leggibile ed esplicativa, così da permettere una scelta libera e non vincolata.” Un passo importante, dunque, che ha dimostrato una forte sensibilità da parte degli Eurodeputati, ma che ora dovrà essere mantenuta nel Parlamento in plenaria e poi difesa al trilogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio.

La svolta in atto sulla frutta completa un percorso iniziato nel 2000 con l’obbligo di indicare la provenienza della carne bovina consumata, esteso grazie alla battaglia della Coldiretti in Europa e in Italia. La frutta rappresenta uno dei settori target del percorso, che ha già toccato diverse produzioni: dal latte alla passata di pomodoro, dai formaggi ai salumi, dal riso e pasta fino alle noci, alle mandorle e altri frutti sgusciati; ma anche agrumi secchi, fichi secchi e uva secca, funghi non coltivati e zafferano.

L’obiettivo raggiunto in ambito frutticolo è importante anche perché l’Italia sta già affrontando una crisi notevole, soprattutto per quanto riguarda gli alberi da frutta fresca. Nonostante infatti rappresentare il secondo produttore europeo di frutta, negli ultimi quindici anni il paese ha dovuto dire addio a oltre 100 milioni di piante. Stiamo parlando di ogni tipologia di frutto, purtroppo non esistono esclusi nelle conseguenze del cambiamento climatico: dalle pere alle mele, dalle pesche alle albicocche, dall’uva da tavola alle ciliegie; “In Liguria i frutteti occupano circa 1.331 ettari, mentre gli alberi di agrumi si estendono su poco meno di 130 ettari; il calo è drastico e l’impegno nel tamponare e successivamente invertire la moria degli alberi da frutto deve essere a tutto tondo, “spiegano Boeri e Rivarossa. “Secondo i dati Istat, la superficie italiana coltivata a frutta ha perso 100mila ettari in appena quindici anni. La situazione è in negativo per tutti i frutti, ma forse la situazione peggiore, per lo meno in Liguria, si registra sulle olive, con una notevole diminuzione delle quantità raccolte – “E questo è il terzo anno di fila,” specificano Boeri e Rivarossa. “Stesso discorso vale per il miele, che ha perso nel giro di due anni il 50% delle quantità”.  

Il pericolo va arginato, sia a livello produttivo che di vendita. Quello che si può fare nei confronti dei consumatori è aumentare al massimo la trasparenza nei confronti della merce in vendita. Il che può avvenire con l’investimento sulla sensibilità di acquisto, soprattutto invitando a dubitare dei prodotti low cost di frutta importati dall’estero. “Sono quelli che vengono destinati alla trasformazione industriale in succhi e marmellate. Il fatto che provengano dall’estero implica che subiscano controlli diversi su cui non possiamo fornire assicurazioni; anzi, i criteri italiani spesso non vengono rispettati,” sottolineano Boeri e Rivarossa, concludendo così: “quando parliamo di criteri, ci riferiamo sicuramente a quelli ambientali, ma non solo: la sicurezza alimentare, il rispetto per il lavoro e le condizioni igieniche sono i punti salienti delle norme italiane, che seguono il principio di reciprocità. Siamo così sicuri sia così anche all’estero? È una domanda la cui risposta dovrebbe farci pensare”.

Comunicato stampa

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