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Curiosità | 21 agosto 2023, 13:33

Antico e contemporaneo, la Val Bormida riscopre il moco che diventa presidio Slow Food

Legume minuscolo e irregolare, resistente alla siccità e ai terreni duri, è stato riportato in auge da alcuni agricoltori delle valli bormidesi

Il moco e alcuni suoi utilizzi (foto di Oliver Migliore per Slow Food)

Il moco e alcuni suoi utilizzi (foto di Oliver Migliore per Slow Food)

Un legume molto particolare: minuscolo, irregolare, al tempo stesso antico e adatto alla contemporaneità. Parliamo del moco della Val Bormida, una varietà di cicerchia fino a pochi anni fa pressoché scomparsa, poi riscoperta e ora divenuta Presidio Slow Food.

Rispetto alla cicerchia classica, il moco è più piccolo: i baccelli contengono da uno a tre piccolissimi semi, delle dimensioni tra i 4 e i 6 millimetri. Le sue radici storiche vengono fatte risalire alla fine del ’700, data della quale si trovano le prime testimonianze scritte circa la sua esistenza, pur ipotizzando che nel savonese fosse coltivato già nell’Età del Bronzo, quattromila anni fa.

Un legume che, dopo più di mezzo secolo di oblio, torna ad abitare gli orti di un gruppo di produttori liguri, anche grazie a una rara proprietà: la capacità di crescere in scarsità di acqua. Oltre ad essere una pianta rustica, tenace, resistente ai parassiti  non soffre i terreni poveri né teme la siccità: per questo motivo, storicamente non è mai mancata negli orti contadini nelle valli attraversate dai tre corsi d’acqua che confluiscono nel fiume Bormida.

Il difetto? Richiede molto lavoro: «Si semina a mano, si estirpano le erbacce a mano, si raccoglie a mano e non esiste neanche un setaccio che vada bene per tutti i semi, perché hanno dimensioni diverse», spiega Gianpietro Meinero, segretario della Condotta Slow Food Alta Valle Bormida e referente del neonato Presidio.

Una volta raccolti i baccelli e lasciati ad asciugare al sole per qualche giorno, la prima domenica dopo Ferragosto la tradizione vuole che i produttori (quelli che per ora hanno aderito al Presidio sono quattro) si riuniscano attorno a un tavolo e li sgranino a mano.

«I semi più piccoli, quelli che tendono a spezzarsi, vengono macinati e trasformati in farina, con cui si prepara una deliziosa farinata - aggiunge il referente dei produttori, Elvio Bonino -. Gli altri, ideali per le zuppe, li confezioniamo interi in sacchettini».

I quantitativi raccolti sono ancora ridotti: nel 2022 grossomodo la produzione complessiva si è attestata sul quintale. Un risultato incoraggiante pensando che comunque dieci anni prima la coltivazione del moco era praticamente scomparsa in un'area che comprende i comuni di Cairo Montenotte, Cengio, Millesimo, Dego, Murialdo, Calizzano e Cosseria.

E proprio Meinero racconta la sua riscoperta: «Ho ancora in mente quando mio padre mi parlava del moco, negli anni ‘50. Poi , nel 2011, un anziano del paese mi ha detto che possedeva ancora qualche centinaio di semi. Siccome pochi anni prima avevamo avviato con successo il recupero della Zucca di Rocchetta, abbiamo pensato di far lo stesso con il moco: abbiamo dato a un gruppo di amici una trentina di semi ciascuno, il necessario per seminare un metro quadrato di terra, affinché li riproducessero. Così, in breve tempo, siamo arrivati al recupero».

Un passo alla volta, per «riportare in vita una produzione che stava venendo persa» per dirla con le parole di Bonino, anche se non ancora come all’inizio del secolo scorso, quando i fiori di moco, bianchi con screziature azzurre, coloravano le alture di Cairo Montenotte, di Cengio e degli altri paesi della valle Bormida.

«Pensate che noi di Rocchetta, frazione di Cengio, eravamo chiamati "mangia mochi" - conclude Meinero -. Altri tempi, prima che lo sviluppo industriale del secondo dopoguerra, qui da noi in particolare del settore chimico, spopolasse la campagna. Ma ora, finalmente, il nostro legume è tornato».

Redazione

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