Attualità - 29 maggio 2023, 18:20

Il Pullman delle Vedove

Testimonianze della guerra e del dolore dalle vedove ucraine. Di Mimmo Lombezzi

Le prime foto le mostravano in piedi a Finale Ligure, accanto a un piccolo autobus grigio, stravolte dal viaggio, ma con la bandiera ucraina ben in vista. Le ultime le mostrano sorridenti, mentre passeggiano sulle alture di Perti, come se fossero un gruppo di turiste qualsiasi. "È la prima volta che le vedo sorridere", dice Tetiana, la psicologa che le accompagna.

Sono dieci vedove, partite da Kiev il 21 maggio, per passare dieci giorni lontano dalla guerra in uno dei borghi più belli della Liguria. Il soggiorno è un percorso di riabilitazione che alterna brevi escursioni nel territorio a sedute di riflessione con la psicologa. Il progetto, chiamato "Un abbraccio dal mare", è stato ideato da una savonese, Cristina Bicceri, e realizzato grazie al contributo dell'Unione Industriali di Savona, del Comune di Finale e di ArciMedia. Quest'ultima ha anche coordinato la raccolta fondi, mentre "Pokrova", l'associazione degli ucraini di Savona, ha organizzato il viaggio.

"Condividiamo tutte la stessa esperienza", racconta Tetiana. "Siamo tutte vedove, ma le altre lo sono diventate dopo il 24 febbraio, mentre io ho perso mio marito nel 2016, perché la guerra è iniziata almeno nove anni fa. Molto prima dell'invasione dell'anno scorso. Ora sono qui come supporto e aiuto per le altre vedove. Insegno inglese e sono anche psicologa. Mi sono diplomata nel dicembre dell'anno scorso. Dopo che mio marito è morto, ho deciso di aiutare me stessa ma anche il resto delle donne che hanno avuto la stessa esperienza, per condividere con loro la mia e aiutarle a scoprire come sopravvivere dopo che una tragedia come questa ha colpito le nostre famiglie. Ho una figlia di 10 anni ed è qui con me".

Prima di ascoltare le loro storie, ho deciso di aspettare alcuni giorni. Padre Vitaly, il prete della comunità ucraina di Savona che le aveva accolte a Finale il 31 maggio, mi aveva messo in guardia: "Quando iniziano a parlare, resti senza parole. Iniziano a raccontare poi si fermano e si mettono a piangere".

"Veniamo da Bjela Crkva (Chiesa Bianca, ndr)", racconta Natascia Alexander. "Mio marito è stato ucciso quando aveva solo 20 anni. È molto difficile parlarne per me perché è morto solo 11 mesi fa e mia figlia non ha neanche 3 anni. Quello che mi sento di dire è che mio marito adorava nostra figlia e lei, anche se è piccola, lo ricorda come se fosse ancora vivo".

"Mio marito si chiamava Ruslàn e aveva 43 anni. Abbiamo due figli di 15 e 11 anni", racconta Alessia, e dice "abbiamo" come se la famiglia fosse ancora intera. "Ruslàn non era un militare. Era un 'dobrovoljaz', un volontario. Diceva che era suo dovere proteggere la sua famiglia e i suoi bambini. A Bakhmut è sopravvissuto al fronte solo tre settimane. È morto 10 mesi fa. È stata una enorme perdita per me e per i bambini, ma tutti noi siamo fieri, io di mio marito e loro del loro padre".

Oxana ci parla in italiano usando il traduttore di Google: "Igor, mio marito, ha vissuto a Dnipro per più di 20 anni. Per più di 20 anni è stato capo e cofondatore di un'impresa locale di semilavorati. Ha creato tanti posti di lavoro e ha permesso di vivere a un sacco di persone. Diceva sempre 'Mi interessa più creare delle cose che vendere'. Igor e il nostro figlio più grande si sono arruolati nella difesa territoriale il 24 settembre come volontari. Mio figlio era uno studente a quel tempo e aveva 22 anni. Né lui né mio marito Igor erano militari di professione. Igor ha perso la vita nella regione di Donetsk, nel villaggio di Vremeska, vicino a Velika Novosirka".

Anja (Anna) ha 56 anni e viene da Dnipro, la città da un milione di abitanti che è diventata la retrovia della guerra nel Donbass. "Mio marito si chiamava Vladislav, ed è morto a 56 anni", racconta. "Quello che voglio dire è che tutte le donne e tutti gli uomini di tutte le età stanno proteggendo l'Ucraina. Vlad l’ha difesa sin dall'inizio, prima ancora di arruolarsi. Sapete, nostra figlia vive in Australia, a Melbourne, e Vlad aveva un certificato medico che lo avrebbe esentato dalla partecipazione alla guerra. Quando gli ho chiesto perché volesse arruolarsi, ha detto 'Ho bisogno di sapere che mia figlia e mia nipote avranno la possibilità di tornare in un posto sicuro. Se non ci sarà più l’Ucraina, dove potranno tornare?'. È stato ferito sulla strada di Bakhmut ed è morto per le ferite. È morto due mesi fa, il 4 marzo di quest'anno".

Bakhmut è l'incubo ricorrente di molti racconti. La sera stessa dell'intervista, l'inviata del TG1, Stefania Battistini, posta su Twitter un video girato da un drone che mostra ciò che resta di Bakhmut, di quella che aveva conosciuto come "una città piena di vita" e che ora è una distesa infinita di rovine e di scheletri di cemento. È una sequenza che non avevo visto nemmeno a Homs in Siria. È la "soggettiva" di quelli che un tempo chiamavano i Cavalieri dell'Apocalisse.

"Ho 49 anni e ho tre figlie," racconta Vita, "sono di Poltava. Andri, mio marito, è morto l'11 febbraio a Bakhmut. Era un volontario. Già nel 2015 ha partecipato a un'azione militare e dopo ha ripreso la sua vita normale da civile. Un anno fa, quando la guerra è iniziata il 24 febbraio, era in Israele, e avrebbe potuto restare là, ma ha deciso di tornare per noi, per la sua famiglia, sua moglie e le sue figlie, e subito dopo si è arruolato. Andri era volontario, aveva 33 anni. È morto a Bakhmut".

Oggi gli 'effetti collaterali' dell'"operazione speciale" di Putin è possibile misurarli sui volti delle donne raccolte a Finale. Le loro lacrime sono l'eco di altri lutti che sono arrivati poco o nulla fino a noi in Cecenia, in Georgia, in Siria. Mentre continuiamo a parlare Natascia si allontana e sale in camera, forse a piangere, forse a riposarsi.

"Vengo da Kiev e ho 51 anni," racconta Lubov (nome che in italiano sarebbe 'Amore'), "mio marito era un sarto e faceva vestiti da uomo. Anche lui era un volontario. Nel 2014 aveva difeso Donjesk. Il suo nome era Sergyei e quando è stato ucciso, aveva 53 anni".

Quando il sindaco di Finale Ugo Frascherelli incontra il gruppo all'Hotel Florenz di Finale che più che accoglierle le ha adottate, Oxana gli mostra sul cellulare un video apparso al tg la sera prima: "Vede questo è l’ospedale che hanno bombardato ieri a Dnipro," dice, "hanno fatto 22 feriti. Questo che sta bruciando è il reparto in cui andava a curarsi mio figlio che abita a un km da lì. Noi siamo felici di essere qui a Finale. L’accoglienza che riceviamo è commovente. È come un abbraccio per noi, ma ogni giorno guardiamo il telefono per sapere se i nostri figli sono ancora vivi".

Frascherelli le risponde: "Un popolo invaso ha tutto il diritto di difendersi e va aiutato in questa impresa coraggiosa, anche con le armi. Io non ho votato questo governo, ma sono d'accordo con la scelta di sostenere l'Ucraina. Essere di parte, essere partigiani, è una virtù. Ripeto a voi e agli italiani qui presenti quello che ho detto il 25 aprile, che il fiore del partigiano quest'anno è giallo sotto il cielo azzurro dell'Ucraina".

Vado a cercarmi il discorso che il sindaco ha fatto il 25 aprile. Dopo il massacro di Bucha, le stragi di civili massacrati con i missili e le esecuzioni della Wagner con la mazza o col coltello, questo testo è una delle poche risposte chiare alle esitazioni dell'Anpi nazionale (il presidente Pagliarulo sta ancora aspettando un'inchiesta indipendente su Bucha...) ma anche a tutti coloro che, sventolando la bandiera della pace e di un'inesistente "escalation diplomatica" (cfr Conte & Fratoianni) si sono battuti di fatto per la resa dell'Ucraina.

"Cosa è dunque successo in questi anni per impedirci di distinguere l'aggredito dall'aggressore? Raramente una guerra si è incaricata di un compito pedagogico palese come il conflitto tra Russia e Ucraina: uno stato sovrano ha invaso per decisione unilaterale un altro stato sovrano, ha messo in discussione con le armi i suoi confini e ha negato la potestà di governo del potere legittimo sul territorio nazionale, calpestando coi tank la sua sovranità, la sua autonomia e la sua indipendenza. In una parola la sua libertà. Il fatto che questo accada nel mezzo dell'Europa risveglia vecchi fantasmi e cancella molte illusioni sulle capacità del controllo delle crisi da parte degli istituti internazionali di garanzia costruiti dalla generazione dei padri per evitare nuove guerre…

Dal nostro 25 aprile viene un appello alla pace. Alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza. A praticare il coraggio di interrompere le ostilità e di ritirare le forze di invasione. Il coraggio di ricostruire. La straordinaria conquista della libertà, costata sacrifici e sangue ai popoli europei non può essere rimossa né cancellata. Un popolo invaso ha tutto il diritto di difendersi e va aiutato in questa impresa coraggiosa, anche con le armi. Essere di parte, partigiani, è una virtù. Viva il 25 aprile, data fondativa della nostra democrazia, un popolo in armi per affermare il diritto alla pace, che sembra dimenticato da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone. Quest'anno il fiore del partigiano è giallo sotto il cielo azzurro dell'Ucraina."

Mimmo Lombezzi