Abbiamo tracciato un quadro generale sullo stato delle politiche di sicurezza urbana integrata nella provincia savonese con Stefano Padovano, docente all’Università di Genova e alla Cattolica di Milano, impiegato su più fronti che riguardano non soltanto l’insegnamento accademico ma la formazione agli operatori, dalle forze dell’ordine agli educatori del Terzo Settore, passando per le attività di ricerca scientifiche che in questi anni non ha mai lasciato da parte, come d’altronde le attività di supervisione ai progetti di cui è consulente esterno.
Professor Padovano, a inizio anno, proviamo a fare il punto sullo stato dell’arte delle politiche di sicurezza nella provincia savonese.
Io non posso che ringraziarla di questi due appuntamenti all’anno che mi riserva per parlare di criminalità e insicurezza nella provincia savonese, ma non è che si registrino chissà quali cambiamenti o passi avanti. I mutamenti si osservano in base alle trasformazioni dei fenomeni criminali e fin lì è normale, ma per il resto non si assiste a uno straccio di cambiamento nella gestione delle politiche di sicurezza urbana nella sua integrazione con gli altri attori del territorio.
Può farci un esempio per comprendere meglio a cosa si riferisce?
Di esempi ne potrei fare a iosa. Sono perfino stufo di sentire la mia voce quando mi tocca parlare di quel che non funziona. Questo non perché manchino risorse economiche o umane. Tutte balle, ma perché ciò di cui si dispone è governato da regie disarticolate,se nel migliore dei casi esistono, quando non si rincorrono i problemi facendoli diventare poi delle emergenze.
Chessò, vogliamo parlare degli amministratori che decantano l’apertura smodata dei locali serali?
Ora, io comprendo che un politico strizzi l’occhio alle categorie professionali della sua città, penso pure che un’area urbana senza vita commerciale oltre che triste non favorisce crescita e sviluppo, però occorre fare attenzione se il messaggio che passa è soltanto questo. Mi pare che molti amministratori siano affascinati da questi slogan comunicativi che traducono un evento in modello. Un po' come è accaduto, e la prego lo metta tra virgolette, per la definizione del “modello Genova”. Se ne parla con faciloneria, come se fosse una pratica buona per tutte le stagioni. Si ha davvero presente cosa significa aprire le porte a una movida senza paletti? Troppo facile poi colpevolizzare i giovani. Altro che malamovida, semmai malapolitica, che saluta con toni trionfalistici la crescita esponenziale delle aperture, che rilascia licenze senza remore, che non vigila a sufficienza sui subingressi. Inutile poi intervenire quando la situazione è sfuggita di mano, invocando la richiesta dei Questori per chiudere temporaneamente i locali o deliberando ordinanze restrittive perché i cittadini non riescono a dormire la notte o perché la gente scambia i portoni per vespasiani.
Chiarito il concetto, come intervenire allora?
In primo luogo pianificando. Per farlo occorre conoscenza, fattore che oggi debbo riconoscere è piuttosto un’eccezione nella classe politica. Troppa approssimazione, troppa superficialità. Dopo di che emerge il tema delle cabine di regia. Quel che si fa in termini di deterrenza al crimine e di percezione di sicurezza dei cittadini passa inevitabilmente dalla pianificazione urbana. Ma cosa si crede? Che le criminalità organizzate non abbiano fiutato che le movide potessero essere teatro di investimenti per il riciclaggio e spazi aperti per il controllo della vendita al dettaglio: dalle sostanze legali a quelle illegali?
Alla domanda se ci sarà pure qualche esperienza positiva Padovano risponde tutto d’un fiato
Ma guardi io le rispondo per quel che è. La tendenza generale di cui sono destinatari i 265.000 abitanti della provincia savonese è questa. Dopo di chè posso parlare della goccia in mezzo al mare. Questa goccia, direi meglio di fronte al mare, è quella dei Comuni del distretto sociale finalese. In questo ambito particolare, come in quello del pietrese, si stanno sperimentando degli interventi pionieristici di prevenzione secondaria ed altri di prevenzione primaria con tecniche innovative che nell’insieme segnano una piccola ma importante controtendenza. Di questi progetti ne seguo la supervisione e devo riconoscere che i risultati raggiunti dal mix di operatori che ne compongono lo staff, dal servizio pubblico e al Terzo Settore, sta delineando traiettorie importanti nella realizzazione della sicurezza urbana locale. Dopodiché, non esistono formule magiche, come dico sempre, basta sedersi intorno a un tavolo e sapersi ascoltare: sindaci, assessori, dirigenti e funzionari e avere il coraggio di credere in ciò che va ricreato, in quel che si può riproporre ma con le modifiche del caso, e di altro che magari va scartato perché superato dall’esperienza dei tempi. Un esempio, in questa esperienza finalese la parte politica ha dato il disco verde alla parte tecnica per creare un centro sociale diffuso per gli adolescenti. Che vuol dire diffuso? Significa superare la logica del centro sociale minori vecchia maniera, in cui negli ultimi vent’anni le esperienze italiane ci dicevano che il rischio era trovarvi più educatori che ragazzi. Serviva un’offerta differenziata sui cinque giorni della settimana, un mordi e fuggi diverso dall’ammassamento vecchia maniera, tutto retto su principi, modalità di azione, di comunicazione, di intrattenimento diverse dal passato. Che procedesse parallelamente alle aperture scolastiche, in cui si è fatto giocare un ruolo fondamentale alle tre secondarie superiori di Finale, con un coinvolgimento delle dirigenti impeccabile, in cui gli operatori sono andati classe per classe a dare notizia ai ragazzi di quanto fosse offerto gratuitamente, con un abbattimento dei costi per l’amministrazione di circa il 50% se paragonato alla gestione di un centro stabile. Con ricadute molteplici, dalla rete delle associazioni che compongono la consulta del volontariato ai genitori che hanno partorito una partecipazione indotta dalla partecipazione dei figli alle attività. E sto parlando solo della questione minorile. Lei pensi quanto altro si può costruire rispetto a prevenzione, gestione e trattamento della criminalità. Quando racconto di questa esperienza a lezione, a Milano, a Genova o ai master in giro per l’Italia a fine lezione mi chiedono di venire a Finale per vedere quanto si fa.
Quante possibilità di ripetere questa esperienza così importante nella nostra provincia?
Come mi capita spesso basterebbe che i sindaci non mi inviassero sms del tipo: Padovano quando passi da qui per parlare un po' di cosa si può fare? Sempre a posteriori di qualche illegalità, anche perché nelle due riviere ci sono una volta la settimana, quindi se c’è la volontà si fa tutto.