Tre lavoratori su dieci nel commercio appartengono alla categoria dei cosiddetti 'nuovi poveri', il numero sale se si allarga il contesto al settore del turismo, dove a fare parte della categoria sono sei lavoratori su dieci.
È questo il quadro tracciato questa mattina da Uiltucs che ha presentato un report sulle categorie di lavoratori, prevalentemente giovani e donne che uno stipendio ce l'hanno, ma che non riescono comunque ad arrivare a fine mese perché è sotto ai mille euro. “Si tratta di lavoratori discontinui o con contratti part time a poche ore. - spiega a La Voce di Genova il segretario generale Uiltucs Paolo Andreani – Sono poveri perché hanno un salario basso e una povertà previdenziale in prospettiva, una vera e propria bomba a orologeria pronta a esplodere”.
I dati indicano che “Su 96 mila lavoratrici e lavoratori impiegati negli alberghi, nei ristoranti e nel commercio in Liguria, più della metà sono donne, ben 53 mila, e si concentrano prevalentemente a Genova; moltissime addette sono precarie e part time. Basta vedere i numeri per capire la portata del fenomeno: 141mila lavoratori del commercio, turismo e servizi sono full time contro ben 74mila part-time. Si tratta soprattutto di giovani lavoratrici e lavoratori del terziario, commesse, bariste, cameriere under 35 che non arrivano a mille euro al mese, spesso nemmeno a 800”.
Il report rivela che i giovani lavoratori arrivano a fatica a fine mese: uno su tre guadagna meno di 1000 euro al mese, e il 23% anche meno di 780 euro. ll 28% dei lavoratori dipendenti dei settori del turismo, del commercio e dei servizi guadagna meno di 9 euro l’ora (per i giovani, la percentuale sale anche al 38%). Nel comparto, poi, la retribuzione delle donne è inferiore del 25% rispetto a quella degli uomini.
“Bisogna invertire questa condizione, – aggiunge Andreani – un problema che se prima riguardava prevalentemente il sud Italia, ora colpisce tutto il paese in maniera sempre più omogenea diffondendosi a macchia d'olio, non è esente la Liguria, ma neanche il Nord Est”.
Secondo Uiltucs, la manovra del governo non è sufficiente per tutelare le categorie svantaggiate e Andreani annuncia una mobilitazione per cambiarla. “Chiediamo provvedimenti più incisivi, non si può dare stabilità attraverso la reintroduzione dei voucher che stabilizzano il lavoro precario, né possiamo accontentarci della detassazione delle mance ai camerieri, questo è svilente perché se si immagina di poter fare fronte all'incremento dei salari detassando le mance c'è una contraddizione in termini. Abbiamo bisogno di interventi significativi, noi abbiamo chiesto la detassazione degli aumenti contrattuali. Non c'è stata una risposta su questa proposta, e ci ha sorpreso un provvedimento iniquo come la riduzione della tassazione per i lavoratori autonomi, che a parità di reddito pagheranno meno tasse dei lavoratori dipendenti”.
Tornando al report di Uiltucs e InNova Studi e Ricerche, che prende in considerazione l'andamento economico tenuti conto di pandemia e guerra in Ucraina, “il nostro Paese ha visto sfumare il 9% del Pil e i lavoratori sono stati colpiti duramente, in particolare i più vulnerabili. La diminuzione del valore aggiunto è stata abbastanza uniforme in tutto il Paese, ma è stata più pesante nei servizi (-8,5%). Il valore aggiunto del turismo ha perso il 40,6% del suo valore, passando da 61 a 36 milioni. Nell’ultimo periodo invece il commercio, diminuito dell’8%, è tornato quasi ai livelli pre-Covid in un solo anno. In questo scenario, gli analisti internazionali continuano a tagliare le stime di crescita: le previsioni più recenti ipotizzano un aumento del Pil italiano del 3% circa quest’anno e solo dello 0,7-0,9% per il 2023.
Le ripercussioni più forti le stanno subendo gli occupati con basso titolo di studio e bassa qualifica e quelli impiegati in determinati settori caratterizzati da forte uso del part-time e di contratti stagionali, come turismo, alberghi e ristoranti. Incide molto quindi la discontinuità occupazionale. A questo si sommano previsioni per il futuro, anche sotto l’aspetto demografico, per niente rosee: l’Italia fra pochi anni perderà una quota importante della sua popolazione, soprattutto quella in età lavorativa tra i 15 e i 64 anni. Fra 20 anni potrebbero esserci circa 6 milioni di lavoratori in meno rispetto a oggi, pari al totale della popolazione che oggi vive in Veneto e Friuli-Venezia Giulia”.
Una soluzione per l'aumento delle retribuzioni potrebbe essere l'introduzione del salario minimo?
“Questo governo, a differenza di quello precedente ha detto che non vuole metterci mano, noi non siamo contrari al salario minimo, ma abbiamo detto sin da subito che deve coincidere con i minimi contrattuali, su questo chiediamo una legge che tuteli questo principio”, conclude Andreani.