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Attualità | 02 agosto 2022, 16:55

Celle, “Sottovetro”: le opere di Silvia Levenson alla Biblioteca Comunale

La mostra sarà aperta fino al 14 agosto

Celle, “Sottovetro”: le opere di Silvia Levenson alla Biblioteca Comunale

Nell’ambito della rassegna multidisciplinare LUDOS, l’associazione culturale Traumfabrik ha curato un progetto espositivo personale dell’artista Silvia Levenson, dal titolo “Sottovetro”. La mostra sarà allestita presso gli spazi della Biblioteca Comunale Pietro Costa di Celle Ligure in Lungomare Carlo Russo 1 e aperta al pubblico dal 1 al 14 agosto 2022.

Dalla viva voce dell’artista si comprende rapidamente quanto le vicende biografiche e l’immaginario poetico, che da anni nutre e propone a livello internazionale, siano indissolubilmente legati. “Sono nata a Buenos Aires nel 1957. Ho fatto parte di una generazione che ha lottato per cambiare una società che ci sembrava terribilmente ingiusta. Nel 1976, quando i militari presero il potere, io avevo diciannove anni e nell’agosto di quell’anno nacque mia figlia Natalia. Lei ha la stessa età di quei giovani ai quali i militari hanno rubato l’identità biologica. Con una crudeltà inaudita, le prigioniere incinte venivano assassinate soltanto dopo aver partorito, mentre i neonati erano dati illegalmente in adozione. Ciò che è successo fra il 1976 e il 1983 ha cambiato la mia vita e influenzato il mio lavoro artistico. Una parte importante del mio lavoro consiste nel rivelare o rendere visibile ciò che normalmente è nascosto o non si può vedere e uso il vetro per rappresentare questa metafora. Da sempre usiamo il vetro per conservare alimenti e bevande, io uso il vetro per preservare la memoria di persone e oggetti per le generazioni future”.

Levenson, attraverso i suoi lavori in vetro, indaga nei rapporti interpersonali, famigliari e di coppia. All’artista interessa l’ambiguità insita in questo materiale delicato e trasparente, fragile e pericoloso che si fa funzionale all’ironia con la quale Silvia esprime ad alta voce quello che normalmente viene sussurrato o taciuto, anche negato.

Il vetro, modellato in forme ruvide ma eleganti, preferendo la tecnica della fusione a stampo a quella della soffiatura, diventa un graffiante e originale riverbero dei sentimenti, delle relazioni umane e della vita quotidiana.

La sua è una narrazione inquietante, dove la magia svela la propria equivocità e i propri inganni. Con grazia e delicatezza, nelle trasparenze del vetro spesso declinate in colori tenui e seducenti, l’artista ci rivela il lato oscuro delle storie e il pericolo che spesso si annida, per la donna, proprio all’interno della rassicurante quotidianità famigliare.

Dice la stessa Levenson: “La violenza domestica talvolta scatta apparentemente per un nonnulla, le tensioni esplodono anche se ci si sforza di tenerle eroicamente sotto controllo. Sono situazioni che conosco bene e che riproduco nei miei lavori. Gli oggetti di uso quotidiano – forbici, coltelli, mannaie, pentole – possono diventare corpi di reato in pochi minuti. I coltelli trasparenti che fluttuano sopra di noi sono una minaccia quasi invisibile, come le bombe a mano rosa confetto che ci descrivono la casa come un campo di battaglia”.

Lo dimostrano opere come “Identidad desaparecida”, lavoro ispirato ai bambini strappati appena nati alle madri in Argentina, durante il regime, e cresciuti senza cognizioni delle proprie vere origini. Appesi al muro, o adagiati su grandi basi, scorrono in sequenza abitini da bebè in vetro colorato, mentre a terra file di seggioline aspettano vuote i bimbi a cui appartengono le scarpine di vetro appaiate lì accanto.

Il suo lavoro possiede sempre questa duplice anima del garbo e dell’efferatezza, dell’orrore e della meraviglia: da un lato la vivacità cromatica e la trasparenza del vetro, dall’altro l’irrompere immanente dell’elemento tragico, sempre legato al sociale e all’attualità. C’è l’esperienza dello sradicamento e della peregrinazione, il fascino nostalgico della cultura d’origine e quello dell’esilio avventuroso, ma soprattutto un’irrequietezza romantica, un estro ironico e l’acutezza del paradosso.

Come quando per raccontare l’ambiguità misteriosa dell’infanzia e l’incapacità degli adulti di penetrarne i segreti, l’artista ci presenta le sue “Strange little girls”, inquietanti bambine con la testa di volpi, cerbiatte o pecorelle. O come quando strappa il velo sulle dinamiche disfunzionali della famiglia mostrandoci servizi da tè ricoperti di spine o bombe a mano – dalla zuccherosa tinta rosa – con sopra incisa la parola “amore”, magari issate su gigantesche torte di nozze.

Il tema della violenza di genere è tra quelli che le stanno maggiormente a cuore. L’anno scorso, a Firenze, a Palazzo Vecchio, l’ha raccontata insieme alla figlia Natalia Saurin con l’installazione “Il luogo più pericoloso”: 94 piatti di ceramica che portavano impresse, in tutte le lingue, frasi che troppo spesso sono usate per sminuire la gravità degli abusi nella coppia, ma anche frammenti di dialoghi tipici di un rapporto violento e assiomi sugli stereotipi di genere, come “Era solo un po’ geloso”, “Te la sei cercata”, “Senza di me non sei niente”, “Gli uomini non piangono”.

Nei suoi lavori Silvia Levenson esplora la soglia sottile fra ciò che si vede e ciò che s’intuisce e usa sapientemente il vetro come una lente d’ingrandimento per osservare da vicino le contraddizioni e i conflitti nelle famiglie e nella società. Attraverso le sue sculture e installazioni indaga questi spazi di confine che si possono insinuare tra le mura domestiche o identificare con le frontiere geografiche.

Nel 2004 riceve il premio Rakow Commission Award al Corning Museum of Glass; nel 2008 è finalista al Bombay Sapphire Prize e nel 2016 riceve The Glass in Venice Award da parte dell'Istituto Veneto di Venezia. 

I suoi lavori fanno parte di numerose collezioni pubbliche tra cui quelle del Corning Museum of Glass, New Mexico Museum of Art, Santa Fè, Houston Fine Art Museum, Toledo Museum of Art ,Mint Museum, Charlotte, Sunderland Glass Museum, UK, Museo Provincial de Bellas Artes, Buenos Aires, Alexander Tutsek-Stiftung, Monaco, MUDAC, Lausanne, Museo del Castello Sforzesco, Milano e  la Fondazione Banca San Gottardo. 

Vive e lavora a Lesa sul Lago Maggiore e soggiorna spesso a Finale Ligure.

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