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Attualità | 19 luglio 2022, 10:19

Trent'anni dalla strage di via D’Amelio, Tomatis (sindaco di Albenga) ricorda il giudice Borsellino e la scorta

"Le sue azioni lanciarono un chiaro messaggio: non ci si può arrendere ai soprusi, all'ingiustizia e all'illegalità" aggiunge il primo cittadino

Trent'anni dalla strage di via D’Amelio, Tomatis (sindaco di Albenga) ricorda il giudice Borsellino e la scorta

 

Quel giorno, esattamente 57 giorni dopo la strage di Capaci, il giudice Paolo Borsellino perse la vita insieme alla sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

I 57 giorni che separarono la strage di Capaci da quella di via d'Amelio furono i più difficili per Borsellino, il quale, duramente colpito dalla morte del collega e amico e nonostante fosse consapevole di essere il prossimo obiettivo della vendetta di Cosa Nostra, continuò a lavorare con frenetica intensità.

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58 una Fiat 126 imbottita di tritolo, che era parcheggiata sotto l'abitazione della madre, esplose al passaggio del giudice e della sua scorta.

Afferma il sindaco Riccardo Tomatis: “Oggi ricorre il trentennale dalla strage di Via D’Amelio nella quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino con la sua scorta. Erano passati solo 57 giorni dalla strage di Capaci nella quale fu assassinato il collega ed amico Giovanni Falcone. Posso solo immaginare come possono essere stati quei giorni per Borsellino. La mafia avrebbe colpito ancora e lui sapeva che sarebbe stato la prossima vittima". 

"Nonostante questo non si fermò. Continuò a lavorare. Non fece un passo indietro. Le sue azioni lanciarono un chiaro messaggio: non ci si può arrendere ai soprusi, all’ingiustizia e all’illegalità. Oggi mi piace citare alcune frasi di Paolo Borsellino perché credo che debbano essere un faro per tutti noi. Borsellino disse: 'La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità'. Egli non amava definirsi eroe: 'Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell'aldilà. Ma l'importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento... Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno'". 

"Aveva paura quindi. Posso solo immaginare cosa provò dopo la strage di Capaci: il dolore per la perdita di un amico e collega e la consapevolezza che lui sarebbe stato il prossimo, ma 'È normale che esista la paura, in ogni uomo, l'importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti' - conclude - Dobbiamo tenere sempre a mente questi insegnamenti, li dobbiamo ricordare nella nostra vita quotidiana e impegnarci in prima persona, sempre, magari anche provando paura, ma sempre senza arrenderci a combattere l’illegalità e le ingiustizie in primis denunciandole!". 

Comunicato stampa

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