Attualità - 26 novembre 2021, 17:28

L'emergenza dimenticata, Pasa (Cgil) e Dabove (Spi Cgil): “Nel savonese dal 2015 persi oltre 14 mila abitanti"

“La zavorra demografica nel momento della ripartenza. Un intero territorio da riprogettare”

L'emergenza dimenticata, Pasa (Cgil) e Dabove (Spi Cgil): “La zavorra demografica nel momento della ripartenza. Un intero territorio da riprogettare”

“E’ necessaria una vera e propria transizione sociale, diversa da quello che è stato messo in campo fino ad oggi dalla Regione Liguria, che non ha avuto la capacità di promuovere politiche di respiro, optando per la ‘navigazione a vista’,  con una scelta ideologica di cessione di sovranità ai privati, senza costruire nulla a sostegno dei bisogni collettivi”. Ad affermarlo Andrea Pasa e Fausto Dabove in una nota congiunta di Cgil Savona e Spi Cgil Savona.

“Al 31 agosto 2021 la Liguria contava poco meno di 1 milione e 502mila abitanti, avvicinandosi sempre più alla soglia psicologica (ma non solo) del milione e mezzo di abitanti. In particolare la situazione più critica è nella Provincia di Savona , in calo sia sul riferimento ai 12 mesi (31 agosto 2020) sia sull’inizio dell’anno 2021. Dal 2015 al 2020 la provincia di Savona ha perso circa 14 mila abitanti e la sola città capoluogo circa 3 mila”.  

“La Liguria segna un meno 62 mila abitanti dal 2015 al 2020, è ultima tra le regioni italiane per tasso di natalità e detiene il triste primato di essere la prima per il tasso di mortalità e oltre 11 posti di lavoro persi nel solo 2020 rispetto all’anno precedente”.

“Nel corso dell’anno che abbiamo alle spalle – continuano -  312mila donne hanno perso il lavoro (contro 132mila uomini), mentre sono 300 mila i nati in meno rispetto ai decessi nei primi 10 mesi del 2020. Sono dati che l’Istat ha fornito in due diverse rilevazioni, quella su occupazione e disoccupazione e quella sulla demografia, che vanno letti insieme perché fotografano meglio di altri e di tante parole la crisi profonda che attraversa il Paese, imponendo a ciascuno, politici, economisti ed esperti, parti sociali e società civile organizzata, un’assunzione di responsabilità e azioni conseguenti”.

“Se non si affronterà concretamente la questione dell’occupazione femminile, anche quella demografica non troverà soluzione. Fino a quando la nascita del primo figlio continuerà ad essere, in assenza di specifiche e concrete altre soluzioni, motivo per dover lasciare il lavoro, le culle saranno sempre più vuote. È un problema economico e sociale, ma è anche questione che riguarda la libertà, i diritti e la  democrazia”.

“L’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi dell’Europa a 27 per occupazione femminile, noi siamo al 48,5% contro una media degli altri paesi del 62,5% - spiegano -.  Non solo, per quanto riguarda l’occupazione sia delle giovani tra i 25-29 anni, che tra i 30-34, siamo proprio ultimi”.

“Gli squilibri generazionali già hanno ripercussioni sulle capacità di crescita economica del nostro Paese e sulla sostenibilità del sistema di welfare. Ciò vale anche e soprattutto nella nostra provincia dove, continuando così, sarà destinato a peggiorare ulteriormente in futuro”.

“Il totale dei residenti in Italia continua da tempo a diminuire. Al 1° gennaio 2020 la popolazione residente è di 59,64 milioni; nel 2018 era di 60 milioni e 360 mila e nel 2014 di oltre 60 milioni e 800 mila; il calo è impressionante e fa riferimento al periodo pre-Covid”.

“La crisi demografica era già dunque legata a fattori che continuano a operare e si incrementano: saldo naturale negativo, crescente numero di italiani che emigrano, calo dell’immigrazione. L’effetto virus è un ulteriore drammatico moltiplicatore”.

“Pur rimanendo l’Italia uno dei Paesi più longevi al mondo, la diminuzione su base annua è impressionante: cancella in un solo anno tutti i guadagni di prospettiva di vita dell’ultimo decennio e, purtroppo, con l’andamento in atto nel 2021, la curva può ancora peggiorare”.

“Ovviamente, per esaminare gli scenari demografici, l’altro dato di fondo è quello della natalità. Nel 2019 erano previste circa 435 mila nascite su base annua che confermavano come l’ormai continua caduta di natalità in Italia aveva registrato un picco particolarmente negativo (questo è un riferimento importante),con la crisi del 2008 e negli anni seguenti. Il dato effettivo è ancora più basso – sottolineano -  si attesta nel 2019 a 420 mila nascite, 20 mila in meno sul 2018”.

“L’aggravamento di scenari sanitari, economici, dell’occupazione e quindi della fiducia nel futuro, hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nelle scelte delle persone e delle famiglie. Senza gli ulteriori effetti distorsivi che la pandemia propone per il 2020, lo scenario di nascite previsto era sostanzialmente invariato”.

“È prevedibile un nuovo calo. I fattori che possono interagire oltre a quelli sociali, di parità e conciliazione già esistenti, si possono ricomprendere in due grandi aspetti: l’aumento del clima di incertezza e paura; le crescenti difficoltà economiche e lavorative”.

“Questi effetti si innescano e acuiscono problemi, ritardi e scelte sbagliate già da troppo tempo in atto. Se il peggioramento ha riguardato tutti i Paesi europei, in Italia è stato proprio per questo più pesante e ha allargato le nostre differenze negative con molti dei parametri medi della Ue”.

“È evidente che bisogna ribaltare tutte queste tendenze – aggiungono - quelle attuali e quelle precedenti. Riemerge in modo centrale il ruolo del welfare, in primo luogo ovviamente la salute, non solo come aspetto fondamentale di speranza nel futuro ma come vero e proprio motore di un nuovo sviluppo a partire dal ruolo pubblico”.

“Tutte le spese pubbliche per prestazioni sociali e sanitarie hanno subito un rallentamento importante fra il 2009 e il 2019. Per far fronte alle crisi e alla difficoltà di finanza pubblica, come è noto, si è sempre scelta la via dei tagli e dell’austerità e la sanità è tornata ai livelli percentuali di spesa pubblica degli anni 90 con, al suo interno, un calo sull’attività ospedaliera e territoriale, rappresentato dalle enormi difficoltà di quest’ultimo anno legato ai tagli nei posti letti, nelle terapie intensive e al calo del numero del personale ospedaliero. In questo momento tutti parlano del suo ruolo insostituibile e di investimenti e rilancio, ma durante le precedenti crisi è andata in modo diverso, capiremo la lezione o sarà ancora così passata l’emergenza”?

“È un banco di prova fondamentale dei futuri piani nazionali ed europei a partire dal Recovery plan, anche perché influisce su molti dei fattori necessari per la ripresa: salute, investimenti, tecnologie, occupazione, povertà, fiducia e, conseguentemente, è elemento chiave per avviare una nuova fase positiva della demografia italiana”.

“Da diverso tempo oramai l’Italia si trova ad affrontare una crisi demografica determinata da forti cambiamenti strutturali e un processo di invecchiamento della popolazione sempre più sostenuto che vede aumentare la consistenza numerica delle vecchie generazioni rispetto a quelle più giovani.

L’indice di vecchiaia che descrive la quota di anziani over 65 rispetto a 100 giovani di età 0-14 anni è pari al 178,4% al 2020, con forti differenze a livello regionale che vanno dal 260,7% della Liguria – dato più alto in Italia - al 134,8% della Campania. L’indice di dipendenza, calcolato come rapporto tra coloro che non sono autonomi per ragioni di età perché troppo giovani (0-14 anni) o anziani (over 65) sulla popolazione attiva che si presume debba sostenerli con la loro attività (15-64 anni), è pari al 56,6%”.

“Tuttavia – proseguono - se scorporiamo l’indicatore nelle due componenti giovani e anziani, notiamo come il maggior carico sia costituito ovviamente dagli anziani pari al 36,2%. Negli ultimi anni la questione demografica sta assumendo connotazioni ancora più negative se si considera, oltre al processo di invecchiamento, il lento e inesorabile declino della popolazione italiana a partire dal 2015, in quanto il saldo migratorio positivo (più immigrati che emigrati) – unico responsabile della crescita della popolazione a partire dai primi anni Novanta – non è più in grado di compensare un saldo naturale (differenza tra nati e deceduti) sempre più negativo”.

“Basti pensare che la popolazione residente in Italia è passata da 60,3 milioni nel 2015 a 59,2 milioni nel 2021, risultato aggravato anche dall’aumento dei decessi causati dal Covid-19, nonché dall’ulteriore riduzione delle nascite e dei flussi migratori dall’estero sui quali la pandemia ha avuto un effetto depressivo”.

“Il quadro demografico si complica se guardiamo al futuro. In base allo scenario mediano delle previsioni effettuate dall’Istat (base 1-1-2018 che non tiene conto degli effetti demografici del Covid-19) si prevede che la popolazione possa continuare a scendere fino ad arrivare a 53,8 milioni di residenti al 2065. Ciò si spiega con il fatto che anche negli anni a venire il numero delle nascite non riuscirà a compensare i numerosi decessi derivanti da una popolazione sempre più anziana”.

“Alla luce di questi dati appare chiaro che gli squilibri generazionali si intensificheranno nel prossimo futuro e potrebbero avere ripercussioni sia sulle capacità di crescita economica del nostro Paese, visto il calo della parte economicamente più attiva a fronte dell’aumento degli anziani, che sulla sostenibilità del sistema di welfare”.

“Per una Regione e un territorio, quello savonese, che ha la percentuale di anziani più elevata d’Europa è urgente e non più rinviabile una nuova transizione sociale per provare a gestire un’importante sfida demografica, potenziando e innovando le misure di welfare pubblico, anche in chiave inclusiva. E’ necessario aprire, ad ogni livello, un confronto con tutte le parti sociali e le amministrazioni locali e regionali per definire e condividere strategie e strumenti per gestire il costante calo demografico del nostro territorio, uno dei più alti in tutto il Paese, e l’invecchiamento della popolazione, anche alla luce della revisione dei sostegni pubblici alle famiglie. Un welfare a misura della popolazione che invecchia. La centralità della presa in carico delle persone deve essere dominante nella programmazione delle rete socio sanitaria. La pandemia, se mai ce ne fosse bisogno, ci ha confermato quelle che da tempo sono le nostre convinzioni: la sanità deve essere pubblica e universale e deve garantire parità di accesso a tutti e ad ognuno”.

“La prima frontiera della cura è il territorio, a partire dalla prevenzione e la sanità aumenta in efficacia se viene organizzata per intensità di cura”.

“Così come è fondamentale intervenire per creare in questo territorio nuove opportunità di lavoro stabile e di qualità che consentano di costruire una prospettiva vera, in particolare per giovani e donne.  Da tempo chiediamo misure che incentivino l’occupazione stabile dei giovani e delle donne, misure che aumentino i tassi di occupazione femminile, migliorino i processi di inserimento lavorativo dei giovani e garantiscano misure più ampie e flessibili di conciliazione per i genitori”.

“Non è con il solo bonus bebè che si incentivano i giovani a fare figli. Da gennaio è previsto l’assegno unico universale. E’ una misura nazionale che va nella giusta direzione, ma che deve essere coordinata e resa più efficace grazie agli interventi provinciali che non vanno dismessi.  La partita si gioca anche sul fronte dei redditi  - aggiungono - e sulla capacità di spesa delle famiglie dove pesa in modo sempre più importante anche la questione della casa. Eppure il tema dell'edilizia abitativa è totalmente assente dall’agenda della Giunta Regionale Ligure che non ha un vero piano per aumentare l’offerta di alloggi pubblici o a canone moderato”.

“Infine, il nodo dell’invecchiamento della popolazione, che chiama in ballo una revisione dei sistemi di assistenza sociale e socio-sanitaria alle famiglie, ma anche politiche di invecchiamento attivo”.

“I numeri parlano chiaro: il nostro territorio è il più vecchio d’Europa ma l’esecutivo ancora tentenna sulla riforma del welfare anziani, mentre manca totalmente una riorganizzazione verso il territorio dei servizi dell’Azienda sanitaria che continuano a non dare alcuna risposta ai crescenti bisogni dei nuclei con familiari non autosufficienti o con patologie croniche, con il rischio che siano di nuovo le famiglie a doversene far carico”.

“Alla Liguria serve una nuova transizione sociale – concludono -  ovvero un nuovo modello di sviluppo che sappia garantire coesione sociale, cambiando anche il modello di welfare approfittando delle ingenti risorse del Pnrr.  Il tempo è ora, non domani”.

 

 

Comunicato stampa

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