Riceviamo e pubblichiamo:
Buongiorno direttore,
sono un leginese di 71 anni abitante in Riviera. Da quattro anni torno quotidianamente per assistere la mia vecchia madre e di tanto in tanto, faccio passeggiate per il paese e fuori di esso, constato le cose cambiate e, se non rimpiango il tempo passato, a volte non trovo motivo di rallegrarmi per quanto mi è dato di vedere e scoprire.
Ho vissuto qui fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, frequentando il paese, le sue attività, utilizzando le strutture che facevano di Legino un centro per le attività sportive e sociali per tutta la città.
Ho iniziato a giocare a calcio nella squadra della Raphael sul Don Aragno, ho percorso le corsie di terra rossa nei campionati studenteschi dello stadio di via Cadorna, ho giocato a hockey – divenuta una scelta definitiva e mai rimpianta – sul campo Bacigalupo la domenica mattina allenandomi sul terreno pietroso e polveroso dell’avanstadio e grazie a Dio che c’era.
L’hockey è rimasto vivo, presente in me come in molti altri miei coetanei con orgoglio e onestà, anche se hanno preso altre strade, umiliato dalla città di cui - unica squadra - porta il nome in giro per l’Italia e spesso in Europa dal 1954 o 1955, non è dato sapere con certezza.
Come una tribù di palestinesi sportivi, alla perenne ricerca di un campo-patria dove mettere radici abbiamo vagato a levante e a ponente, beneficiando della carità di altre amministrazioni comunali senza poter mettere radici.
Nel corso dei decenni si sono susseguiti diversi partiti alla guida del palazzo di città, come è giusto che sia in una democrazia che si rispetti o no. Un tratto democratico comune a tutti è stata la strategia nei confronti delle richieste del mondo dell’hockey per avere un impianto proprio. Accoglimento delle richieste, promesse e assicurazioni, progettazioni, incontri con esponenti del mondo sportivo e non, stanziamenti a bilancio, fiducia e clima positivo, contro-richieste di appoggi e sostegni elettorali (in oltre 50 anni è capitato), sopraggiunte difficoltà per la realizzazione del progetto, perdita di finanziamenti o storni degli stessi su progetti più validi per la città (o una parte di essa), abbandono definitivo dell’idea originaria, speranza per tempi e amministrazioni migliori meno ambigue e incapaci.
Pure Legino pareva e pare il luogo adatto a costruire una cittadella dello sport o meglio degli sport (utilizzando altresì gli impianti sportivi all’interno del Campus universitario – calcetto e tennis) dove ospitare alcune delle discipline sportive che nel frattempo non avevano ottenuto un sito per la pratica della loro specialità: discipline del nuoto, ginnastica, rugby e pallavolo.
Sport quali atletica leggera, nuoto, pallanuoto, ginnastica, rugby, pallavolo hanno ricevuto nel corso del tempo un impianto da eleggere a indiscussa propria residenza e struttura sportiva. L’hockey è rimasto l’unico sport a girovagare qui e là a seconda delle esigenze e necessità di coloro che gli prestavano il loro impianto.
Ritornando a Legino, il paese (mi piace ancora pensarlo così) ci ha visto attivi e presenti, anzi a ben vedere il manto erboso del V. Bacigalupo fu per anni uno dei migliori campi italiani di hockey in erba naturale. Potevamo utilizzarlo la domenica mattina, provvedendo alla segnatura del campo con la segatura montando le porte di gioco ricomposte nelle loro parti (anni dopo furono precipitate da mani amorevoli ed ignote nel fossato che delimita il campo) e infine al ripristino del campo per l’incontro casalingo del Savona F.B.C. del pomeriggio.
Dalla finestra della casa materna godo la vista del campo Bacigalupo e dell’avanstadio. Visione orrifica: il manto erboso assomiglia ad una savana con ciuffi d’erba fuori misura, (la lontananza risparmia la vista di un manufatto architettonico che ha visto tempi migliori) sull’erba sintetica dell’avanstadio stanno crescendo ciuffi di erba naturale a dimostrazione che la natura si riprende col tempo quello che le era stato sottratto.
Al di là di elucubrazioni ecologiche mi viene da pensare a quanto la cittadinanza dovrà sborsare per riportare all’onore del mondo due impianti di gioco così come sborsò altri soldi per la costruzione delle cancellate di via Cadorna, necessarie per adeguarsi alle disposizioni del Coni sulla sicurezza del pubblico alle partite. Che poi si potesse intervenire in maniera meno invasiva e ghettizzante è stato opportunamente messo in evidenza da più parti.
Ci sono altri impianti in Legino: il Ruffinengo in erba sintetica nel quartiere della 167, il già citato campo ridotto all’interno del Campus universitario, i campi del Tennis Club (privati) in via Pietragrossa prossimi alla piazza della chiesa, le piscine dell’Amatori Nuoto Savona. Tutti questi sono operativi e frequentati dal pubblico in maniera continua e costante. Un altro campo in via Pietragrossa, il Don Aragno, è inutilizzato da molti anni, promesso in un primo tempo all’hockey savonese e poi, a causa di poco chiare trattative tra la Curia e il Comune di Savona, rimasto abbandonato a se stesso, arida tellus, terra desolata a ispirare un novello T.S. Eliot.
A buon titolo Legino aveva tutte le premesse per divenire un polo sportivo importante, vero polmone verde per la città e i suoi abitanti, così invece le strutture e il campo del V. Bacigalupo, il campo dell’avanstadio e il Don Aragno gettano una luce negativa sull’intera area, di abbandono e desolazione, non consona ad una città che sostiene a parole uno sport veicolo di crescita individuale e sociale per tutti ma poi non riesce o non vuole realizzare quanto espresso.
Luciano Pinna