/ Attualità

Attualità | 25 aprile 2021, 09:55

La Fiaba della Domenica: Le tre collane

La storia di Serenello, della sua vita povera e dolorosa e del suo riscatto

La Fiaba della Domenica: Le tre collane

Serenello venne al mondo per caso: e la  sua mamma, forse perché dotata di ironia, forse perché voleva augurare al figlio una vita diversa dalla sua, forse per una beffa del destino, lo chiamò, appunto, Serenello.

Subito dopo morì.

Così il bambino fu raccolto da suore misericordiose, ma molto povere e iniziò la sua vita di stenti.

Come un tempo era d’abitudine, Serenello seguiva i funerali insieme ad altri poveri disgraziati come lui, gli orfanelli che,  tutti vestiti di nero, il cappellino nero, la mantellina nera, raggranellavano qualche spicciolo dai parenti del defunto cantando e piangendo nel seguire il feretro verso il cimitero.

E i pochi soldini venivano consegnati alle povere suorine che “mantenevano” Serenello e gli altri orfanelli come potevano, con quel poco che avevano.

E più morti c‘erano e più Serenello guadagnava.

Durante l’epidemia di spagnola, Serenello guadagnò così bene che le suore lo premiarono con una mela e con una copia, ancorché usata, di un libro di Salgari. Così Serenello, che nel frattempo aveva imparato a leggere e a  scrivere frequentando la scuola degli orfani, la sera poteva fantasticare di terre lontane e di viaggi, di pirati e di principesse, di rum e di pietre preziose.

La vita di Serenello era così misera, così povera, così contraddistinta dai morsi della fame che ogni piccola attenzione a lui rivolta era per lui una grande gioia.

Anonimo orfanello in una schiera di orfanelli, nessuno gli donava un sorriso, una carezza, una parola di conforto.

Era lui, paradossalmente, che doveva, con la sua presenza ai funerali, consolare gli afflitti, lodare il Signore e invocare da Lui la grazia della consolazione per i parenti del defunto.

E Serenello trovava condivisione delle sue pene proprio nei morti.

Partecipando come orfanello alla vestizione del cadavere e alla sua collocazione nella bara, il bimbo spesso notava che il morto rivolgesse a lui lo sguardo, proprio a lui, che il cadavere mosso dalle abili mani dei vestitori facesse a lui un segno, proprio a lui, che il defunto, mentre veniva adagiato nella bara, prima del buio eterno, protendesse a lui il suo ultimo pensiero di luce, proprio a lui.

Una volta, mentre ritualmente partecipava alla chiusura della bara di una giovane signora cantando gli inni al Signore, gli parve che la bella defunta lo guardasse intensamente e,  come avviene a volte nel sogno ove la realtà si mescola alle produzioni oniriche, ricavandone forme che altrimenti non potrebbero neppure essere pensate,  come avviene a volte tra persone che intensamente si amano e si scoprono ad aver ideato la stessa immagine di un futuro che verrà, come avviene nel momento di morire, quando si saluta e si rimpiange, ci si pente e si spera, tutto si chiarisce e si rasserena e le persone care si appropriano della parte migliore di noi che li accompagnerà per tutta la vita, a Serenello si materializzò un’immagine: lui, reietto tra i reietti, povero tra i poveri, solo tra i soli, era applaudito, lodato, osannato e soprattutto amato, nel tepore di una famiglia, la sua famiglia, quella che non aveva mai avuto, ma che, in quel momento,  era a lui incredibilmente nitida e presente.

Ma era lui che l’aveva formata: la sua famiglia lo vedeva come padre e marito, nel tepore delle certezze e senza più l’ansia del tradimento che lo aveva segnato con il tradimento della  madre che era morta lasciandolo in balia della vita.

E mentre la bella signora morta calava nella bara, Serenello si elevava con l’animo proteso verso situazioni favorevoli, verso tepori a lui sconosciuti, verso carezze a lui negate, verso la stima degli altri, verso la stima di sé, verso una vita diversa da quella attuale fatta solo di fame, freddo, suore e funerali.

Ma subito dopo pensò che fosse solo un sogno ad occhi aperti: la signora era solo una morta, anche se molto bella, ciò che aveva visto era solo fantasia, anche se molto piacevole e lui era solo un bambino, un orfano, anche se sognante.

E riprese la vita di sempre.

Un tozzo di pane, un funerale, sveglia all’alba, destato dal freddo ancor prima che dai doveri che le suore pretendevano di pulizia delle stanze e dei cortili, chiusura nella camerata con gli altri orfanelli al tramonto dopo il solito funerale.

Ma per fortuna che c’era il suo libro, ricevuto in dono grazie ai morti dell’epidemia di spagnola.

E Serenello leggeva e leggeva e volava con la fantasia: velieri, fantasmi, luoghi da sogno, pirati, principesse, gioielli.

Ecco, principesse e gioielli, ecco la svolta della sua vita!

Leggendo il libro di Salgari, ma probabilmente si era addormentato per il freddo, la fame e la stanchezza, una stupenda principessa, proprio con il volto della bella signora morta, con le sue fattezze, con la sua grazia che vinceva persino l’abbruttimento della morte,  una sera gli sussurrò: “Serenello caro, al prossimo funerale a cui parteciperai riceverai in dono tre preziosissime collane. Vai dall’orefice Ermete, vendigliele e ne ricaverai una fortuna! La tua vita cambierà!”

E infatti, il giorno dopo, inaspettato come un temporale in una giornata di calura estiva, ecco il dono!

Al funerale di un ricco mercante, la vedova, intenerita dal canto partecipato del piccolo Serenello, alleviata nel suo dolore dalle lacrime del piccolo che non si abituava mai al dolore degli altri, essendo abituato soltanto al proprio, volle ringraziarlo con tre splendide collane.

“Io e il mio povero defunto marito non abbiamo avuto figli. Tu, piccolo orfanello, canti al Signore e piangi con me nel mio sconforto, a te voglio donare queste tre collane che mi regalò il mio sposo!”

Tutto si era avverato: la bella signora morta, la sua principessa, forse la sua mamma, aveva “detto” il vero: ora lui aveva tre preziosissime collane, bastava andare dall’orefice Ermete, verso la ricchezza, verso la felicità.

E più correva verso la fortuna e più si sentiva in colpa, più si avvicinava al ricevere il denaro e più si sentiva infelice.

Come poteva lui divenire ricco e lasciare in povertà le povere suorine che si erano occupate di lui fino ad allora?

Ne avrebbe vendute due soltanto, una l’avrebbe donata alle suore!

Col cuore un po’ più leggero,  riprese a correre verso la bottega dell’orefice.

Ma che diamine! E i suoi compagni di sventura?

Tutti gli orfanelli delle suore, come poteva lui arricchirsi, lasciando nella miseria più nera i suoi compagni di camerata e di funerale!

Avrebbe donato una collana ai compagni orfanelli, una per lui era più che sufficiente!

Ed ecco, al di là della strada la ricca bottega del ricco orefice Ermete; mentre si accingeva ad attraversare la strada che lo separava dalla fortuna, Serenello notò all’angolo, sul marciapiede gelido e frustato dal vento, una povera bimba macilenta, ma così sporca, così lacera, così avvizzita che sicuramente di lì a non molto lui avrebbe seguito in un funerale.

La piccola, battendo i denti dal freddo, allungava la gracile manina chiedendo l’elemosina tra l’indifferenza dei passanti.

Non era giusto, pensò Serenello, era profondamente ingiusto che lui avesse tra le mani una fortuna mentre la povera bimba sarebbe morta di fame!

E non attraversò la strada.

Allungò invece la terza ed ultima collana sulla manina della bimba che, incredula di tanta generosità, non trovò le parole né la forza per ringraziare chi aveva cambiato il suo destino.

Mesto ma felice, un po’ pensieroso ma leggero, pervaso da un senso di giustizia e sì, finalmente,  di serenità, Serenello girò sui logori tacchi e si avviò di buona lena verso l’orfanotrofio.

Avrebbe continuato la vita di sempre, ma meno triste, più sereno, ricco dentro di aver mutato la miseria di molte persone in una vita dignitosa.

Che importava se lui restava povero, era felice e orgoglioso di ciò che aveva fatto!

Denso di questi pensieri, sentì a un tratto una voce maschile, forte e definita, chiamarlo.

Ma non era una delle solite voci perentorie che gli davano ordini: era una voce affettuosa, rassicurante, calda.

Serenello! Serenello! Serenello!

Era il nonno di cui lui non sospettava l’esistenza, il papà di quella mamma che lui neppure aveva conosciuto.

E il nonno lo prese con sé, lo fece studiare nell’amore della propria famiglia, lo curò insieme alla nonna come se fosse il loro figliolo, lo avviò verso la vita.

E lo abituò a fatiche diverse, fatiche di impegno, di studio, di sacrificio, ma verso un obiettivo da conquistare, da centrare per godere a piene mani del frutto del proprio lavoro.

Non più funerali, ma vita vissuta!

E Serenello centrò l’obiettivo.

Divenne un bravo dottore, un medico che si dedicò ai più poveri, agli orfani, ai derelitti, per evitare a loro il più possibile i funerali.

Come un tempo aveva sognato, divenne marito e padre, donando calore a cuore aperto e ricevendo in cambio il frutto maturo della sua generosità, nel ricordo della “sua principessa”.

 La fiaba è tratta da: "Le fiabe per... Vincere la paura", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra, edito da Franco Angeli.

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

L’Organizzazione persegue, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio, in via esclusiva o principale, delle seguenti attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. 117/2017:

d) educazione, istruzione e formazione professionale, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, nonché le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa;

i) organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività di interesse generale di cui al presente articolo;

k) organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;

In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli). 

 

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A LUGLIO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.

WhatsApp Segui il canale di SavonaNews.it su WhatsApp ISCRIVITI

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium