Ogni tanto vado a trovarlo e gli porto due fiori. Mi immagino che esca dalla foto che lo ritrae in uniforme, con le medaglie conquistate in battaglia, che si accenda una sigaretta,e che attacchi discorso con gli altri coinquilini del cimitero di Varazze, magari prendendoli per i fondelli con quella capacità di scherzare che gli aveva sempre aperto tutte le porte, dall’Algeria a Vietnam.
Angelo Ferrari, che a Varazze gestiva la tabaccheria, accanto al bar Rossi, nel suo paese di origine, Borzano di Albinea (Reggio Emilia) era conosciuto come “El Cambugiàn”, il Cambogiano, perché, giovanissimo, era andato in Vietnam a combattere per i francesi e, già allora , nel 1950, le vie di rifornimento della guerriglia passavano dalla Cambogia.
Torno’ dal Vietnam nel 1953, con una ferita alla tempia , quattro croci di guerra, una medaglia d’oro al valor militare e una valigia di ricordi che evocavano “Il Cacciatore” o “Apocalypse now”, ma dovette ricominciare da zero.
Fece il terrazziere, il camionista, il commerciante di verdura, poi prese in gestione una piccola trattoria che serviva i pendolari della Stazione Centrale di Milano. Dopo 10 annidi lavoro “matto e disperatissimo”, decise di trasferirsi a Varazze, dove acquistò la licenza di un albergo e poi di una tabaccheria.
“Memorie di un legionario”, il diario di guerra che Ferrari ha scritto molti anni dopo per suo nipote e che oggi fa parte dell’archivio dei diari di Pieve S.Stefano, racconta una storia da film, ma che è anche la storia di un “eroe per caso”, cioè è un capitolo dell’emigrazione italiana del dopoguerra.
Quando va a cercar lavoro in Francia, lasciando la campagna emiliana. stremata dalla guerra , Ferrari ha poco più di 16 anni. Finisce in miniera, ma, dopo pochi mesi, ne ha piene le tasche. Una sera, con un amico, vede un film su Tarzan ambientato in Africa e insieme decidono di raggiungere quei “paesaggi fantastici” con qualunque mezzo, anche la Legione. Partono per Marsiglia e vanno a chiedere informazioni al Bas Fort Saint Nicolas . E’ il 1947 e i due Pìcari non sanno che la Francia ha un disperato bisogno di uomini perché sta rioccupando il Vietnam (che aveva appena cacciato i giapponesi e sperava nell’ America per ottenere l’indipendenza…)
L’ufficiale con kepì bianco spiega ai due giovani le regole d’ingaggio poi conclude con un sorriso : “bene, siete arruolati!”. Ferrari e l’amico replicano che sono venuti solo per avere delle informazioni , ma l’ufficiale li fissa con occhi sovranisti : “Voi non avete il visto vero ? Siete clandestini vero ? Bene! O vi arruolate o finite in galera!”.
Il mattino dopo, vengono spediti in addestramento a Sidi Bel Abbès in Algeria. Dopo sei mesi Ferrari tenta la fuga con un compagno, cercando di attraversare il deserto verso la Tunisia. Si perdono. Sotto il martello del sole stanno per morire di sete quando vedono avvicinarsi due cavalieri sui cammelli. “Siamo salvi! Ci daranno dell’acqua !” pensano, ma quando il miraggio si precisa, scoprono che i cavalieri portano occhiali scuri simili ai rayband, quindi non sono arabi…. Sono infatti due ufficiali della Legione lanciati all’ inseguimento dei disertori. Riportato a Sidi Bel Abbès Ferrari riceve un trattamento “didattico” : circondato da un gruppo di sottufficiali viene gonfiato di pugni, poi il comandante lo conduce sul tetto della caserma e lo fa inginocchiare sul cornicione : un gran colpo in testa con un nerbo di bue e un monito : “Se ci provi un’altra volta sei un uomo morto!”.
A quel punto Ferrari capisce che non ha scelta. Impara a fare il cuoco e dopo tre anni viene spedito in Vietnam. “Un giorno ci ordinarono di distruggere una piantagione di banane – raccontava - entrammo in un villaggio. Erano quattro o cinque capanne. E abbiamo trovato due teste di legionari infilzate sui bambu’. Ci mettemmo tutti a piangere. La guerra che avrebbero combattuto gli Americani dieci anni dopo era una passeggiata in confronto alla nostra. Avevano birra, sapone, schiuma da barba. Chi restava ferito , in 10 minuti veniva evacuato con gli elicotteri. Noi dovevamo trasportare i feriti a spalla, nel fango delle risaie, e spesso morivano”
Nel marzo del ’53 Ferrari apre la marcia nella giungla quando sente un boato e vola su un albero. Ha la scheggia di una mina piantata nella tempia e viene rimpatriato. “Ero rimasto solo” racconta “ e mi prese una certa angoscia. Dove vado? Cosa faccio? Avevo 23 anni e sapevo fare solo la guerriglia “.
Ristabilitosi e tornato a Borzano, lo salva dal “Cafard” (la depressione del legionario), una donna bellissima che in paese lo aveva aspettato per 7 lunghi anni. Nel 1995 , filmai per Can5. la cerimonia con cui il ministro Léotard gli conferì la Legion d’Onore.
A differenza di molti veterani, Angelo Ferrari non ha mai giustificato la guerra coloniale dicendo che era “una battaglia contro il comunismo” : “Noi combattevamo per i Francesi – diceva - ma loro occupavano il Vietnam per i loro interessi. Perché volevano le piantagioni di caucciù”.
Pur avendo guidato dozzine di azioni , la guerra non lo ha sporcato: “Molti di noi, come il sottoscritto, che sparò tre colpi di fucile in tre anni, hanno nostalgia del Vietnam, ma non credo sia stata la stessa cosa per gli Americani. Solo la droga puo’ fargli dimenticare atrocità come quelle commesse dal tenente Calley a My Lai”
Come molti ex-legionari , Ferrari era un tipo impulsivo. Un giorno a Varazze, un tizio in auto gli tagliò la strada . Ferrari lo speronò, e iniziarono a discutere, ma dopo pochi minuti erano diventati amici. Divenne il portavoce dei commercianti perché non le mandava mai a dire al sindaco. Negli ultimi anni, quando si mise a coltivare un campo in collina , ad Alpicella, lo raggiungeva a bordo di una vecchia panda usata, che tutti conoscevano perché sui parafanghi decrepiti, sventolavano, fierissime, due bandiere della Legione Straniera.
Per diversi anni i giovani che volevano arruolarsi, per avventura, perché volevano rifasri una vita, per un amore finito male, andavano da Ferrari a chiedere informazioni e anche oggi fra i “kepì blanc” della Legione si trovano degli italiani che raccontano storie meno avventurose, ma tipicamente italiane. Come “Giacomo”, che, in un video ufficiale (“Voci della Legione Straniera” (1) dice che avrebbe voluto entrare nell’esercito in Italia ma , dice, “C’est un peux la merde” perchè, “bisogna conoscere le persone giuste e trafficare con le raccomandazioni…(magouiller).
Forse ci sarà anche ‘Giacomo’ ,il 30 aprile alla festa della Legione. Si celebra a Aubagne ,a 4 ore di auto da Savona, e celebra ogni anno la mitica battaglia di Camerone, che, il 30 aprile 1863, in Messico, vide 62 legionari, comandati dal capitano Jean Danjou resistere a 2000 messicani. Decimati , accettarono di arrendersi, solo se gli fosse stato permesso di tenere le armi, cosa che fu concessa dal generale messicano, con la formula “Non son hombres, son demonios” .
Questa edizione della festa – informa il sito della Légion -avverrà a porte chiuse ,a causa del covid, ma, come ogni anno, i legionari più decorati porteranno in processione, in una teca di cristallo, la Mano Mozza del capitano Danjou. Mutilato in uno scontro precedente, l’eroe di Camerone aveva una protesi di legno che venne recuperata dopo la battaglia e divenne il simbolo delle virtù guerriere del corpo ispirando il libro più noto scritto sul corpo : “La mazzo mozza” di Blaise Cendrars.
Il mito della Legione Straniera naufragò dopo la seconda guerra mondiale, dopo i massacri di civili commessi in Algeria e in Camerun. La caserma di Sidi Bel Abbès è stata rasa al suolo quando l’Algeria conquistò l’indipendenza pagando un prezzo spaventoso : un milione e mezzo di morti. A Duala (Camerun) , per “Storie di Confine”, filmai un quartiere , “Congo”, che era stato completamente bruciato (500 morti) perché base della guerriglia indipendentista.
Negli ultimi decenni la Légion è diventata a tutti gli effetti un corpo speciale e ha partecipato a tutte le operazioni internazionali degli ultimi anni. Li avevo incontrati anchea Sarajevo.
In Mali è stato un blitz della legione a fermare i Jihadisti e a impedire la nascita di uno secondo stato islamico, dopo quello fondato in Siria fra roghi e decapitazioni.
Nel paese delle chitarre, gli islamisti, avevano proibito la musica e avevano già iniziato a lapidare le adultere, esattamente come accadeva a Raqqa e, ancora oggi,in Mali, la battaglia è tutt’altro che finita. Per fermare il nuovo medioevo sono morti 55 legionari.
Nessuno li ha ringraziati perché detestiamo “l’imperialismo francese” , ma soprattutto perché abbiamo dimenticato cosa avvenne in un’altra città a sole due ore di auto da Savona : Nizza, dove lo ‘Sato Islamico’ ha lasciato una scia di sangue che non avremmo immaginato neppure in un film di fantascienza e che , solo per caso, non si è riprodotta anche da noi. Forse non li ringrazieranno neppure i francesi. Una francese che conobbi a Seix tre anni fa mi disse . “Vivevo a Timbouctou. I legionari sono arrivati appena in tempo se no gli islamisti avrebbero preso anche la capitale” .
Si consoleranno in ogni caso con il vino della Légion : si chiama “ESPRIT DU CORP”…