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Attualità | 06 dicembre 2020, 10:04

La Fiaba della Domenica: "Lo struzzo Giacomino"

Lo struzzo che "mette la testa sotto la sabbia"... Una metafora dei pesi gravosi che tutti ogni giorno dobbiamo sostenere

La Fiaba della Domenica: "Lo struzzo Giacomino"

Lo struzzo è un animale politico.

Non solo e non tanto perché ama parlare con i suoi simili per ore e ore, sotto il sole cocente o nel diluvio della pioggia battente, disquisendo dell’organizzazione della propria tribù nei tempi e nei modi fin nei più piccoli dettagli, ma anche perché ama mettere la testa sotto la sabbia.

Gli struzzi, appunto, parlano per lungo tempo su dove deporre le uova, nel tal posto descritto al millimetro, nel tal altro individuato in maniera certosina, discutono per ore su chi dovrà essere il primo al colloquio col re, su chi dovrà estrarre il numero fortunato alla locale lotteria, su chi dovrà riscuotere la pensione e su chi no, su chi potrà avere l’aiuto della regina per i propri struzzini e così andare dicendo e, devo dire, trovano quasi sempre un accordo, anche dopo puntigliose liti e puntuali analisi, ma quasi sempre trovando la quadratura del cerchio.

E poi, quando proprio non si può, mettono la testa sotto la sabbia.

Mettono la testa sotto la sabbia quando non riescono a trovare un accordo, quando dormono o semplicemente riposano, quando pensano, quando mormorano, quando inseguono un sogno di libertà, quando hanno paura, quando piangono e quando corrono il rischio di essere franchi.

Tutti gli struzzi mettono la testa sotto la sabbia, maschi e femmine, giovani e vecchi, adulti e pulcini, intellettuali e manuali, colti e incolti; quel gesto antico carica gli struzzi di un’atavica tristezza e li coglie come monumenti immobili di un immobile mondo di argilla.

Ma non Giacomino.

Giacomino, struzzo di bell’aspetto e di belle speranze, era il figlio unigenito di Emma e Adalgiso, agiata coppia di struzzi dedita al monte dei pegni.

Il tristo lavoro dei genitori portava gli stessi a dover mettere la testa sotto la sabbia forse più di tutti gli altri struzzi: spesso, infatti, troppo gravoso era il peso di un lavoro del genere, sempre in bilico tra la gioia di poter aiutare qualcuno in difficoltà e la gioia di aver molto lucrato su qualcuno in difficoltà.

Una strana schizofrenia dei sentimenti pervadeva così la famiglia di Giacomino.

E a ciò si imputò, da principio, la causa del difetto del giovane.

E sì perché, dovete sapere, che dal suo emergere dall’uovo, mai e poi mai Giacomino, nella sua ancor breve vita, aveva messo la testa sotto la sabbia.

Subito i suoi genitori pensarono a un difetto fisico: sicuramente il collo di Giacomino aveva un problema di flessibilità, non si piegava, non si fletteva a comando, non aveva la giusta capacità di movimento.

E così medici, fisiatri, ginnastica, raggi x, massaggi, punture, dolori per il piccolo pulcino.

Poi si salì di livello: arrivò lo psicologo Struzzostrizzo, chiamato da re Inutile, il gran re degli struzzi, già preoccupato da questo strano suddito dal comportamento inspiegabile e in-piegabile.

Struzzostrizzo capì subito che si trattava di un problema di tipo psicologico: la madre Emma, la madre di Giacomino, piegata tutto il giorno dal lavoro al banco dei pegni, inconsciamente voleva per il figlio il dispiegarsi di un futuro radioso.

E così, analizzando, analizzando, in bilico tra il significato inconscio della piega e una messa in piega, contrapponendo il dispiegarsi al piegarsi e ricordando che il suo maestro lo piegava sempre, Struzzostrizzo diagnosticò a Giacomino non un futuro radioso, ma un futuro costoso, visti i tempi e le parcelle della cura proposta.

Ma Giacomino, nonostante i massaggi, le punture, le sedute, le minacce e le promesse, mai si piegava nell’antico gesto caro agli struzzi del mettere la testa sotto la sabbia.

Neppure quando sognava, neppure quando piangeva, neppure quando vedeva palesi ingiustizie.

Devo dire che tutti, nel regno degli struzzi, erano preoccupati: prima di tutto i suoi genitori, in vergogna per un figlio diverso, poi i dottori con lo psicologo in testa, le maestre, il preside, il farmacista, il sacerdote, tutti quanti insomma avevano a che fare con Giacomino che, dritto come un fuso, mai provava neppure a posare la testa sulla sabbia per sprofondare in essa in un oblio ristoratore.

Ma più di tutti era preoccupato il re Inutile.

Che diamine, un suddito che non metteva mai la testa sotto la sabbia metteva in dubbio le certezze di tutti, un tale suddito minava alla radice la tradizione stessa e tutte le sane abitudini della tribù degli struzzi! Non era più tollerabile! Bisognava intervenire drasticamente.

Non erano servite né cure, né lusinghe, né minacce. Doveva essere incarcerato, nascosto, fatto sparire, eliminato e con lui doveva essere eliminato il problema.

Ma il re Inutile, non a caso lui era il re, non era certo per caso che a lui, Inutile, tutti si rivolgevano, era ben consapevole del sottile filo rosso che può far nascere un martire da un delinquente come Giacomino, dell’esempio dilagante che può emergere dalla giusta punizione di un dissenziente come il giovane struzzo, del rischio di boomerang insito in un’azione repressiva.

Doveva agire d’astuzia: doveva fingere di elargire al pulcino un premio che si sarebbe poi trasformato in un viaggio senza ritorno.

E su consiglio del fido di corte Perfidio, il re Inutile trovò la soluzione.

Avrebbe offerto in premio al pulcino un viaggio e un soggiorno nella nota località di Sulfurea dove i ricchi struzzi andavano a ritemprare le stanche membra e lo stanco collo con i balsamici effluvi delle acque di zona.

In quel luogo ameno e fumoso, il fido Perfidio avrebbe fatto intervenire la maga Kalì che avrebbe ammaliato Giacomino, eliminando sia lui sia il problema.

E così fu fatto.

L’occasione fu la promozione a pieni voti del giovane pulcino.

Il re Inutile finse di aver scelto per ventura un nome a caso tra gli studenti del regno e a Giacomino venne offerto in premio il soggiorno a Sulfurea, tra massaggi di giovani struzze e feste da ballo, tra bagni in piscina e banchetti notturni.

Immaginate la gioia di Giacomino: lui malato, lui diverso, lui spina nel fianco dei suoi genitori, vergogna di famiglia e oggetto di disprezzo di grandi e piccini, divenuto fortunato assegnatario di un premio dal re! Lui sempre solo e diritto in un mondo piegato ricercato dal re dei diversi da lui!

E venne il giorno della partenza.

Il premio non comprendeva il soggiorno per i genitori e poi il banco dei pegni non garantiva certo il costo della compagnia a Giacomino, né prevedeva l’abbandono della schizofrenica gioia derivante dalla quotidiana questua dei bisognosi.

E così Giacomino partì per Sulfurea, con la gioia nel cuore per essere stato scelto dal re, ma certo con un po’ di malinconia per dover lasciare i suoi genitori.

Il perfido Perfidio aveva previsto tutto.

Il programma prevedeva alcuni giorni di svago totale per il giovane struzzo, con sontuosi banchetti e sorprese gaudenti, per poi riservare l’incontro con la maga Kalì nel momento in cui Giacomino fosse più facile alle adulazioni.

Poi ci avrebbe pensato la maga: un filtro magico che ne avrebbe o piegato la volontà e il collo o, forse meglio, avvelenato l’anima provocando il suicidio del corpo.

E puntualmente tutto si verificò: tre giorni e tre notti di gioie sfrenate, di bagni e banchetti, di musiche e danze, trascorsero in un battibaleno e, al quarto giorno, entrò in gioco la maga Kalì.

Kalì era una giovane struzza, esotica e misteriosa, che univa alla assai seducente presenza e alla assai suadente cadenza, le virtù magiche dell’oblio e della perdizione.

Kalì aveva scoperto le sue doti già da bambina, quando tutti i compagni e gli adulti si piegavano senza sosta al suo volere, quando già la sua fulgida bellezza si univa alla sua maliardia.

<<Ciao, giovane Giacomino>>, esordì Kalì con il migliore dei suoi splendidi sorrisi.

<<Ti vedo proprio in forma, ma comunque un po’ triste, come mai? Scommetto che il tuo animo sincero cerca spazi di libertà negati al tuo mondo>>.

Giacomino era sconvolto. Chi era mai quella splendida struzza, così bella quanto capace di leggergli l’anima?

<<Chi sei cara struzza sincera?>>, chiese subito Giacomino.

<<Sono Kalì, mio bel guerriero, e sono qui per soddisfare ogni tuo desiderio!>>

Vi potete immaginare Giacomino! Una simile bellezza pronta a tutto per lui, per lui diverso e reietto, nascosto e invisibile per non saper piegare il collo.

Era più di quanto avesse mai sognato.

Alla maga Kalì il proprio compito nefasto apparve più semplice del solito: il giovane struzzo era proprio un credulone, un giovane improvvido e inesperto, facile preda da abbindolare e da annullare per la gioia di Perfidio e di Inutile.

Ma qualcosa non andava, una strana inquietudine pervadeva la maga, incrinandole le certezze, un fremito, quasi un batter d’ali di farfalla, le scorreva nel sangue insieme alla linfa del maleficio da perpetrare. Come quando un vento gelido, diverso dal solito, ci dà il preludio di uno sconvolgente temporale, come quando un caldo torrido, diverso dal solito, ci evoca un cataclisma imminente, come quando una strana memoria, diversa dal solito, ci vuole indicare una via di redenzione, ecco che la maga sentiva il suo cuore, nel suo cuore.

Quel giovane struzzo, così diverso dal solito, sensibile e introverso, poco spettacolare e per nulla gioioso, l’aveva colpita, scalfendole l’anima votata all’umbratile nero.

Come avrebbe potuto proporre un malefico filtro a quell’anima candida? Come avrebbe potuto inquinare quel mare? Come avrebbe potuto sedurre quel giovane per poi assaporarne le carni bollite? Come avrebbe potuto adempiere al contratto con Perfidio? Come avrebbe potuto disdire l’impegno?

<<Suvvia Kalì >>, si disse la maga, <<proprio tu, regina di cuori e mortifera amante, vessillifera apportatrice di oblio per i vivi, ti stai ponendo problemi! Non avrai mica nel cuore un tarlo di pietà, un barlume di amore o una lacuna di sensibilità? Siamo seri Kalì>>, si ripeté la maga, << tu sei nata per colpire nel segno!>>

Eppure qualcosa stonava.

L’inquietudine saliva, la sicurezza svaniva, il tracollo della tracotanza era ormai evidente. E decise di essere franca.

<<Giacomino, mio giovane semplice, io sono qui per farti sparire, per togliere un problema al tuo re che più non può tollerare la rigidità del tuo collo!>>

Giacomino era ammutolito. <<Come potevi pensare, stolto struzzo, che una tale bellezza fosse solo per te?>>, si disse il giovane, <<ecco svelato l’inganno e chiarita la verità!>>

Ma parlò la maga Kalì.

<<Io devo adempiere al patto con il perfido Perfidio, pena la mia vita, un patto con lui non si può risolvere se non avendolo adempiuto o donandogli la vita; ma io preferisco morire piuttosto che farti del male, Giacomino caro, io ti devo molto, molto più della vita, io devo a te la redenzione! Tu mi hai fatto sentire diversa, la tua diversità è divenuta la mia e ora io muoio felice e dono a te la mia vita in cambio della tua!>>

Ma allora, si disse Giacomino, quello splendore era davvero per lui e non nel modo che gli era sembrato, ma in quello cadenzato dal vero amore, da quel rapporto di occhi negli occhi che parla al profondo di noi. Non poteva permettere la morte di Kalì, di quella giovane che era cambiata per lui, che, pagata per portargli il più nero maleficio, gli aveva invece portato il beneficio più vero.

<<Volerò da Perfidio e da Inutile, piegherò il mio collo, dimostrerò a loro e a tutti che anch’io so mettere la testa sotto la sabbia! Tanto si può schiacciare e incarcerare uno struzzo, ma il suo pensiero resta libero per sempre, purché sia lui a volerlo! E tu sarai assolta perché loro, i perfidi, crederanno di avermi piegato e di aver così raggiunto un obiettivo ancora migliore di quello di avermi eliminato!>>

E senza aspettare una replica, iniziò il suo ritorno verso la sua dimostrazione di forza, dimostrando al suo re Inutile quanto lui fosse capace a piegare il suo collo, piegando così gli ostacoli verso la sua felicità … con Kalì.

Tratto da: "Le fiabe per... affrontare la solitudine (un aiuto per grandi e piccini)", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra, collana "Le Comete", Franco Angeli Editore. 

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

L’Organizzazione persegue, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante l’esercizio, in via esclusiva o principale, delle seguenti attività di interesse generale ex art. 5 del D. Lgs. 117/2017:

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In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli).


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