Attualità - 25 ottobre 2020, 10:32

La Fiaba della Domenica: "La Grotta"

Un piccolo cerbiatto come metafora delle dinamiche familiari di fronte ad apatia, svogliatezza, irrequietezza e inquietudine

Quando in una famiglia un piccolino è triste, tutta la famiglia si riveste di tristezza.

Quando in una famiglia un figlio è apatico e svogliato, tutta la famiglia rischia di perdere la voglia di vivere.

Quando in una famiglia un giovane è irrequieto, tutta la famiglia si imbeve di inquietudine.

Quando in una famiglia un piccolo è scontroso, tutta quella famiglia rischia rancore e ritrosia.

E Piritto, giovane cerbiatto, era triste, apatico, svogliato, inquieto, irrequieto, scontroso e in più solitario, diffidente, taciturno e senza forze.

Alfredo e Teodolinda, papà e mamma cervo, avevano provato di tutto.

Dapprima non dettero molto peso agli umori di Piritto: si sa, i giovani hanno il problema di crescere, ci siamo passati tutti, non sanno bene chi essi siano, hanno paure benefiche perché preservano la vita, ma anche infondate, legate alle loro insicurezze.

Del resto la foresta, certe volte, mette davvero paura!

Poi cominciarono a parlare tra di loro.

Quando Piritto la sera si addormentava, o meglio loro credevano che lui dormisse, Alfredo e Teodolinda cominciavano lunghe analisi e interminabili discussioni, molto civili e pacate in verità, tutte quante incentrate sulla tristezza di Piritto.

A volte le discussioni terminavano in un lungo e profondo abbraccio, a volte invece finivano in lite, rimbrotti e reciproche accuse, ma sempre e comunque in un nulla di fatto, nulla che producesse, dal giorno dopo, un cambiamento nell'umore del giovane cervo e un cambiamento, di conseguenza, del costante, latente e pesante stato d'ansia e di preoccupazione in cui versavano i genitori.

E il giorno dopo si ricominciava: silenzi, frasi sgarbate, musi lunghi, lacrimucce, ore di solitudine intervallate dalla scuola per Piritto, dal lavoro per i genitori e dai pasti in comune, anch'essi ricchi di silenzi e devastati da solitudine.

Il papà, per la verità, pensava più a un periodo passeggero, fiducioso in un domani migliore, la mamma, pessimista per natura, tendeva a intravedere un futuro grigio e non radioso per sé e per i suoi cari.

Ma la situazione non migliorava: lui, Piritto, era sempre più chiuso in se stesso e ricurvo su se stesso, le tenere corna che facevano il paio con le diafane orecchie a pendere mestamente come in attesa del comando del vento che le orientasse ora a destra, ora a sinistra, senza un punto saldo a cui riferirsi e senza una bussola da consultare.

I genitori, di conseguenza, erano sempre più preoccupati, ansiosi, astiosi, poco propensi a pensare al domani come a un giorno migliore e a ieri come a un giorno da ricordare.

Ormai anche loro parlavano poco, gli occhi fissi sul figlio a scrutarne le mosse, a carpirne i pensieri e a indovinarne gli enigmi. O peggio con gli occhi a fissare un punto lontano, come a un miraggio che appare, ma che poi ti lascia più afflitto di prima.

E cominciò la trafila dei dottori: consigli, colloqui, pastiglie, poltiglie, gocce, tisane, intrugli, miscugli, minacce, lusinghe, parcelle, e lui... ribelle, ribelle a ogni forma di aiuto, a ogni stimolo a cambiare, disattento a ogni attenzione, attento alla minima disattenzione, pronto e repentino a farla pagare ai suoi genitori, sempre più tesi tra gli estremi del senso di colpa e dell'incolpare l'altro della situazione del figlio.

Fu consultato il dottor Cervosapiente, luminare della foresta, specializzato in bambini e cerbiatti che non volevano crescere, il professor Cervoarguto, specializzato in cerbiatti e bambini rosi dalla gelosia, la professoressa Cervasuadente, specializzata in bambini e cerbiatti che non ne volevano sapere di stare buoni a scuola, di studiare e di lasciare perdere la play-station, e molti altri ancora.

Chi dava un consiglio, ben pagato naturalmente, ad esempio di portare Piritto agli scout, chi gettava un fiore, di Bach, naturalmente, e chi si prenotava per due ore, di analisi, ovviamente.

Ma tanto fare, tanto dire, tanto pensare, tanto soffrire, Piritto era sempre più triste, apatico, svogliato, scontroso e aggressivo nei confronti dei suoi genitori dei quali notava anche la più piccola dimenticanza, assenza o eccessiva presenza.

E fu così che, leggendo una fiaba, Armando e Teodolinda vennero a sapere dell'esistenza nel Bosco Incantato, limitrofo alla foresta ove abitavano, di Gufo Saggio, il saggio di tutte le fiabe, colui che risolveva i casi più disperati, colui che in virtù della propria antica saggezza, sapeva guidare ogni genitore a proporre per sé e per i propri piccini una vita migliore.

E così i due cervi presero un appuntamento.

Ma si sa, Gufo Saggio è molto impegnato, moltissime sono le creature, umane e no, che hanno bisogno di lui per se stessi e per i propri cuccioli e allora i genitori di Piritto dovettero insistere, piangendo, palesando la propria disperazione, riuscendo infine a ottenere l'agognato appuntamento.

E nell'attesa...

Quando a lungo, senza mai staccarli, fissi gli occhi nella profondità del cielo, i pensieri e l'anima, chissà perché, si fendono in un senso consapevole di solitudine e allora incominci a sentirti irrimediabilmente solo e tutto ciò che prima consideravi vicino e familiare ti diventa infinitamente lontano e privo di ogni valore.

E pensavano...guardando, insonni, le stelle. Le stelle, che da migliaia e migliaia di anni guardano dal cielo, e il cielo stesso, così incomprensibile e la foschia della notte, così ugualmente impassibili di fronte al fremito della vita che, quando ti trovi faccia a faccia con essi e ti sforzi di penetrare il loro significato, ti opprimono l'anima con il loro silenzio.

E allora il pensiero ti porta a quella solitudine che attende nella tomba ciascuno di noi e l'essenza della vita ti appare disperata e tremenda.

Così si sentivano i genitori di Piritto nell'attesa dell'incontro con Gufo Saggio che poteva cambiar loro la vita o ricacciarli nel buio della quotidianità.

E venne il gran giorno.

Piritto, con i suoi genitori, si avviò, mestamente e a muso lungo, verso il Bosco Incantato, verso la casetta di Gufo Saggio.

Appena i tre cervi varcarono la soglia del Bosco Incantato, lasciando la loro foresta, un gradevole profumo di erba bagnata li pervase nel profondo e, man mano che procedevano, l'erba da loro calpestata si rizzava come per magia, quasi a segnare un cammino già fatto, una pista già seguita, con orgoglio e con un grazioso fruscio.

Ecco il Fiume Argentato, ecco la Grande Quercia con le radici profondamente ancorate nella Madre Terra, ecco i Fiori Parlanti che salutavano e festosi indicavano la strada... e uno strano sentimento di allegria, quasi di gioia si faceva via via strada in Piritto e nei suoi genitori.

Che fosse la volta buona? Che fosse il medico giusto? Che fosse il cammino appropriato?

E giunsero alla Capanna nel Bosco, la capanna di Gufo Saggio.

Era una semplice e linda casetta, con il tetto di frasche e le pareti di rami di castagno con i ricci maturi dai quali si intravedevano maturi i frutti... e lui, Gufo Saggio, era sulla porta ad attenderli.

Che strano vecchietto! Che bello ed azzurro uccellino! Gli occhioni scuri sormontati da occhiali dorati che pendevano sul naso a becco, le alucce piegate non più avvezze a volare, le zampe calzate da babbucce pelose, tutto nel vecchio saggio dava serenità, faceva pensare al grano mietuto e pronto a sfamare, divenuto pane caldo e fragrante, al cielo d'estate ove l'azzurro è così abbagliante che il sorriso lo abbaglia, all'abbraccio di un padre prima del turno di notte, al seno di una madre spossata, ma felice, alla tristezza da spingere via con una spallata per fare spazio alla gioia.

E Gufo Saggio parlò.

<<Cari genitori, dovete recarvi, senza il vostro amato Piritto, alla Grotta del Bue, sulle pendici del Monte Silente, e portare a Piritto i due doni che là troverete: ma fate attenzione a non aprire prima di lui i cofanetti che contengono i doni, altrimenti la tristezza che lo pervade non solo non svanirà, ma addirittura aumenterà!>>

Per la verità “la terapia” indicata dal vecchio gufo sembrò un po' bislacca ad Armando e Teodolinda: che fosse un vecchio ubriacone e burlone? Che volesse prendersi gioco di loro? Che fosse, ormai, così avanti negli anni da aver perduto la ragione?

Ma tant'è, era così forte la serenità che il vecchio ispirava che erano tentati a provare: tanto, che poteva accadere di peggio, al massimo sarebbe stata l'ennesima delusione!

Ovviamente Gufo Saggio non si fece pagare, salutò con un battito d'ali e si ritirò nella sua buffa capanna.

E iniziò il cammino del ritorno, con una strana inquietudine, un misto di speranza e incredulità, di desiderio e di disillusione, di scoramento e di fiducia.

Ma sì, la sera stessa si sarebbero incamminati per l'impervio sentiero che portava alla Grotta del Bue, situata nel punto più scosceso del Monte Silente.

Ma loro non temevano nulla: erano cervi e soprattutto erano genitori in pena!

Era una sera buia e tempestosa, ma loro non potevano attendere oltre, dovevano seguire il consiglio del gufo. Né fulmini, né saette, né tuoni, né pioggia potevano fermare i loro impavidi cuori di genitori alla ricerca di una soluzione per il proprio figlio con il male di vivere.

E uscì la luna, una pallida luna che rendeva il cammino ancora più cupo, proiettando ombre sinistre dai macigni rischiarati e bagnati.

Dopo ore di faticoso cammino, giunsero infine alla Grotta del Bue.

Tutto era silenzioso e immobile sul Monte Silente.

Solo il gemito del vento faceva apparire la bocca della grotta come le fauci dolenti di una sfinge che non accetta l'essere bestia e l'essere donna.

Ed entrarono, alla fioca luce della luna e guidati dal loro infallibile fiuto.

Un rigagnolo verde e maleodorante scorreva alla loro sinistra e a destra un ripido sentiero si inabissava nel ventre della terra. E scesero, il sentiero sembrava senza fine, la paura li attanagliava, il freddo rendeva lenti i loro movimenti... ma, all'improvviso, una vivida luce si stagliò proprio di fronte a loro: era una torcia appesa alla parete della grotta e illuminava due bianchi cofanetti di legno appoggiati dolcemente su due morbidi rossi cuscini.

Con il cuore che batteva all'impazzata, così come quando ti accorgi che il tuo sogno era vero, come quando ti accorgi che ciò che ti ha detto tuo padre è proprio così, come quando ti risvegli sopraffatto da un incubo e ti accorgi che è stato solo un incubo, con la gioia negli occhi, i due cervi afferrarono i cofanetti con la tremenda voglia di aprirli, ma con la forte consapevolezza di non poterlo e di non doverlo fare.

E corsero indietro, su per la grotta e poi giù per il monte, in un cammino che sembrava più chiaro, in un declivio che appariva più dolce, in una notte divenuta stellata.

E arrivarono dal figlio che, mesto, ma un po' speranzoso, li attendeva vigile e curioso.

<<Ecco, Piritto, ecco i due cofanetti che abbiamo colto per te, proprio nella grotta indicata da Gufo Saggio, aprili quando vuoi, noi ci ritiriamo in un meritato riposo>>.

Ovviamente, neppure a dirlo, Piritto corse in camera sua col cuore a mille e con la gioia che già si faceva strada sotto la coltre di nebbia della tristezza.

E aprì i cofanetti.

Nel primo vi era un libro, ma non era un libro qualsiasi, era il libro preferito da Cembalo, il suo fratellastro, figlio di sua madre Teodolinda, fratello che lui mai vedeva, ma del quale sentiva, la sera i suoi genitori parlare e la sua mamma decantare con orgoglio.

E nel secondo uno specchio, ma non uno qualsiasi, era uno specchio fatato che gli rimandava l'immagine della sua sorellastra Lavinia, figlia del suo papà, che Piritto non vedeva mai, ma della quale sentiva la voce, di rimando a quella del padre, nelle lunghe telefonate che questi faceva con lei.

E magicamente in lui la tristezza pian piano svaniva, l'inquietudine lasciava spazio a una dolce e sconosciuta serenità, quella serenità che pervade chi sente che ognuno ha il proprio posto nel cuore degli altri, piccolo o grande che sia, e chi sente che il proprio spazio con gli altri non può essere l'unico, ma può condividere uno spazio comune di affetto, per nulla scalfito dalle tragedie della vita.

Opera tratta da: "Le fiabe per... Affrontare gelosia e invidia", di Elvezia Benini e Giancarlo Malombra (Collana "Le Comete", Franco Angeli Editore).

GLI AUTORI:

Elvezia Benini, psicologa, psicoterapeuta a orientamento junghiano, specialista in sand play therapy, consulente in ambito forense, già giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova. Autrice di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Cecilia Malombra, psicologa clinica, specializzanda in criminologia e scienze psicoforensi, relatrice in convegni specialistici per operatori forensi e socio-sanitari. Autrice di pubblicazioni a carattere scientifico.

Giancarlo Malombra, giudice onorario presso la Corte d'Appello di Genova sezione minori, già dirigente scolastico, professore di psicologia sociale. Autore di numerose pubblicazioni a carattere scientifico.

Associazione Pietra Filosofale

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In concreto l’associazione, già costituita di fatto dal 27 gennaio 2016 e che ha ideato e avviato il concorso letterario Pietra Filosofale di concerto con l'amministrazione comunale, intende proporsi come soggetto facilitatore, promuovendo e stimolando proposte di cultura, arte e spettacolo sul territorio, organizzazione di eventi culturali e/o festival, ideazione e promozione di iniziative culturali anche in ambito nazionale, costruzione, recupero e gestione di nuovi spazi adibiti a luoghi di Cultura Permanente, anche all’interno di siti oggetto di riqualificazione e/o trasformazione quali ad esempio l’ex Cantiere Navale di Pietra Ligure, come già attuato nel 2018 presso la Biblioteca Civica di Pietra Ligure, ove ha curato un percorso specifico di incontri dedicati alla salute e al benessere attraverso il progetto Il sogno in cantiere": il sogno, in onore e ricordo del cantiere navale che un tempo a Pietra Ligure ha dato vita a tante navi che sono andate nel mondo, vuole ritrovare nel “Cantiere” il luogo di cultura permanente dove poter trascorrere un tempo dedicato al pensiero del cuore, per nutrire l'anima con letture, scrittura creativa, musica, conferenze, mostre.

La “Filosofia dell'associazione” è quella di ridare vita al "Cantiere" in una nuova forma e in un nuovo spazio, ma con lo stesso intento di progettare e costruire "mezzi" speciali, per poter viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare spazio e tempo migliori in cui vivere.

L'Associazione vuole favorire l'alchimia di differenti linguaggi, promuovendo spazi di arte, cultura e spettacolo, convogliando le energie nascoste, rintracciando il messaggio archetipico attraverso la narrazione, tentando di recuperare i meandri del proprio Sé, per creare momenti di incontro, scambio e ascolto e per gioire dell'Incanto della Vita. L'aspetto narrativo si è già concretizzato nel 2016 attraverso l'esperito Concorso letterario sulla fiaba; la fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare. L'intento è quindi quello di compiere il “varo” di un “Festivalincantiere” quale contenitore di numerose iniziative, in primis il recupero del concorso letterario sulla fiaba, per poter consentire di viaggiare con l'immaginazione, strumento di fondamentale importanza per creare uno spazio e un tempo migliori in cui vivere e per offrire al Comune l'ampliamento della propria visibilità culturale sia a livello locale sia nazionale e oltre.

«I luoghi hanno un'anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» scrive James Hillman

La triste verità è che la vera vita dell'uomo è dilacerata da un complesso di inesorabili contrari: giorno e notte, nascita e morte, felicità e sventura, bene e male. Non possiamo neppure essere certi che l'uno prevarrà sull'altro, che il bene sconfiggerà il male, o la gioia si affermerà sul dolore. La vita è un campo di battaglia: così è sempre stata e così sarà sempre: se così non fosse finirebbe la vita. (C.G.Jung, L'uomo e i suoi simboli)

Pedagogia della fiaba

La fiaba è metafora di vita: se il suo linguaggio è ricco e articolato, anche la vita, di conseguenza, sarà ricca e articolata, capace, come per i personaggi delle fiabe, di conservare una nicchia di libertà che faccia considerare l'alterità, l'altro, come un patrimonio da tesaurizzare e non come un competitor o peggio come un diverso stigmatizzabile in minus da omologare coercitivamente.

"L'aspetto linguistico così intenso ed evocante contesti e costrutti, spesso caduti nell'oblio, è il necessario contenitore, è la pelle del daimon che consente a ciascuno di riappropriarsi di conoscenza e di dignità, ricordando a tutti e a ognuno che l'ignoranza è la radice di tutti i mali". (Giancarlo Malombra in "Narrazione e luoghi. Per una nuova Intercultura", di Castellani e Malombra, Ed Franco Angeli).