Un altro prestigioso traguardo nella carriera dell’artista finalese Faé A. Djéraba: prenderà infatti il via il 26 giugno, per protrarsi fino al 5 settembre, la mostra “Gens Virtuels Circus”, presso la galleria Mémoire de l’Avenir – Arts and Society di Parigi.
Saranno esposte circa 80 opere, frutto di oltre un anno di intenso lavoro. Le immagini saranno visibili in galleria sia nella loro forma originaria di scatto Polaroid, sia stampate su tela con pregevole maestria dal fotografo finalese Carlo Lovisolo.
In questa nuova veste gli scatti assumono una nuova identità, dall’impatto pittorico. Del resto, chi conosce la vita artistica di Faé A. Djéraba lo sa: lei non vuole essere definita “fotografa” nel senso tradizionale del termine, non le interessa riproporre lo scatto di una mela nella sua tipica essenza di natura morta, con luci e ombre. Nelle sue mani la fotografia si trasforma, le forme e i colori non ritraggono l’immagine ma le proiezioni delle nostre paure e le nostre sensazioni interiori. La foto stessa diventa componente di performance e installazioni multimediali che spesso coinvolgono oggetti, sculture, video e talvolta l’artista stessa, in prima persona.
“Gens Virtuels Circus”, è il titolo della mostra: in questo mondo così strano e impazzito siamo tutti trascinati dentro un circo virtuale, dove non riusciamo più a capire se siamo protagonisti, spettatori o mostruosi fenomeni da baraccone. Il vero protagonista di tutti gli scatti è un manichino: è rosso, come il colore delle nostre paure; ha forme femminili, figura archetipica che genera la vita, partorisce, allatta. Il simbolo del progetto, un manichino avvolto nel cellophane, con un grido silenzioso ci lancia un messaggio: “C’est moi le virtuel”, è ciò che il manichino ci rivela. Attorno al manichino o a più manichini ruotano figure umane che simboleggiano tutto il vissuto quotidiano attuale di ognuno di noi. Altro protagonista è la maschera: tutti i soggetti delle foto ne hanno una. Il lavoro è stato sviluppato ben prima dell’epidemia di Coronavirus, eppure queste maschere nelle foto sono diventate triste presagio e inquietante metafora di ciò che stiamo vivendo in questi giorni.
Scrivere di una mostra è inutile, l’arte va vista in prima persona. Tuttavia cercheremo qui di raccontare il percorso svolto dall’artista. Ci racconta Faé: “Ho iniziato a lavorare a questo progetto al mio ritorno da New York. Ho visto una città nuova nella mia vita, eppure questa gente che camminava con la faccia sui cellulari e sui tablet poteva essere anche a Roma, Milano, Parigi, la tecnologia ci sta spersonalizzando. Siamo tutti manichini, annullati e appiattiti. Stiamo cancellando la nostra storia, la nostra identità, la nostra cultura, le nostre tradizioni. Le tecnologie possono essere una gran cosa se le pieghiamo al nostro servizio, non dobbiamo essere noi a piegarci a loro”.
Ed ecco che tra i circa 80 scatti troviamo la serie intitolata “Il giovane”, scattata in un antro della Fortezza di Castelfranco a Finale Ligure, che rievoca la grotta di Platone. La serie “Olympe”, sul molo di Finale Ligure, ci riporta alle luci di una natura per noi ancora preziosa. La serie “Immigration” mostra un immigrato che balla tra i manichini in vico Lenino a Finale: chi siamo, oggi? Dov’è la nostra identità? Tre serie, intitolate “La Scéne” (in bianco e nero), “Théatre” (a colori) e “Théatre” (in bianco e nero) mostrano quel fantastico gioiello ottocentesco che è il teatro Aycardi di Finalborgo. La serie “Mutations”, scattata in uno studio medico a Varigotti, mostra una sagoma umana sempre più prosciugata, scheletrica, che sembra diventare un automa al servizio del virtuale. La serie “Seduzione”, nella Trattoria La Grotta a Le Manie, in una stanza ottocentesca con ancora le antiche carrucole per estrarre l’acqua dai pozzi, ci mostra una donna sola, che cerca la seduzione nel virtuale. “Invertion”, una “inversione” nella ex galleria ferroviaria di Varigotti, vede dei ragazzi in secondo piano e i manichini protagonisti, quello che sta succedendo alla nostra società. La serie “La Prière”, in via Caviglia a Finale, mostra un giovane che osserva il vuoto, in un gioco di “vedo/non vedo”. “Symbiosis”, nell’albergo Natalina in via Caviglia, mostra delle bambine che osservano il manichino, simbolo di un modello di corpo perfetto imposto dalla società dell’immagine, Dea attuale. Le maschere si spezzano e si sfaldano, i volti delle bambine sono in parte maschera, con un risultato inquietante. “L’arte non deve essere educata e gentile, l’arte deve essere disturbante. Proprio perché scuotendoci deve fare riflettere. Io ovviamente non ho tutte le risposte, io osservo, rifletto e pongo delle domande”, ci dice Faé.
“Mutation”, serie scattata al Bar Bacicin di Ceriale, vede il soggetto trasformarsi in automa, con un braccio che sembra bionico. La sequenza “Sex Appeal”, in sala consiliare a Finale Ligure, mostra una donna di età matura, ma ancora bellissima, in un abito sontuoso, alla ricerca di un contatto umano, che lascia il segno del suo rossetto sul manichino. “Les musiciens”, scattata ad Alassio presso il chiosco Santana in piazza Ayraldi Durante nell’estate del 2019 mostra un gruppo di giovani musicisti che si esibiscono per un pubblico di manichini. Un bambino si ferma e osserva, simbolo di una curiosità pura, ancora non contaminata dai vizi della società di oggi. “I bambini di oggi sono nativi digitali. Sta a loro saper creare un futuro più umano, dando il giusto peso all’umanità oltre la tecnologia”, spiega l’artista. Un dittico di autoritratti vede l’artista strapparsi la maschera. “Un gesto di ribellione, per sottolineare che ‘FORSE’, lo dico tra virgolette, riesco a sentirmi consapevole di questo grande inganno che è la società digitale”.
La serie “Amitié”, da Oddone Bici a Finale, mostra un giovane che fa amicizia col manichino e per prima cosa si scatta un selfie con lui, metafora di questa società dell’apparire.
La serie “Skaters”, unica raccolta di nudi nella mostra, scattata nel Mausoleo del Generale Caviglia, vede dei giovani fare skateboard con il manichino.
Commenta Faé A. Djéraba: “Non siamo mai stati tanto liberi come in quest’epoca, internet ci mette in contatto tutti con tutti, eppure non siamo mai stati così schiavi. La globalizzazione è stata un fallimento. Ho scelto tanti luoghi antichi, di valore storico, nelle mie foto, per ricordare l’importanza delle nostre radici. E ho messo a confronto negli scatti persone giovani e anziane, per ricordarci chi rappresenta la nostra memoria, in un’epoca in cui il Coronavirus ha sterminato proprio le fasce più anziane della popolazione. Spero che la fine di questa quarantena segni anche l’inizio di una riscoperta di veri valori, una vita più semplice, con poco e nel rispetto della natura”.
Un’ultima curiosità: per questa mostra l’artista ha stampato delle cartoline e persino dei francobolli che viaggeranno tra la Francia e l’Italia (vedete il francobollo riprodotto nella nostra fotogallery). Duplice metafora di un’arte che, anche in tempi di quarantena, non conosce confini, e di un messaggio che viaggia come un tempo, per posta, non attraverso canali virtuali. “L’arte deve circolare, e con lei il suo messaggio”, commenta Faé.
Ovviamente l’esposizione sarà soggetta alle cautele in vigore: accessi contingentati e la possibilità di fruire della voce registrata dell’artista che farà da guida. Una mostra tutta da vedere, dicevamo all’inizio. Ma per chi non può recarsi a Parigi? Faé A. Djéraba non dimentica la sua Finale Ligure e sta lavorando per portare questa esposizione nel Complesso Monumentale di Santa Caterina a Finalborgo entro la fine dell’anno. Le prossime tappe saranno a Torino e, con alcuni slittamenti di date causati dal Coronavirus, nel corso del 2021 anche gli USA, con New York e Boston. “Come ho detto all’inizio è un progetto a cui ho iniziato a lavorare di ritorno dall’America. Portarlo in esposizione là per me significa chiudere un cerchio”, conclude Faé.