- 01 aprile 2020, 17:00

Coronavirus: la scuola a Voltri ancora più vicina ai disabili nonostante la distanza

I.C.Voltri 1 si è attivato per la didattica a distanza anche per gli alunni con disabilità, dalla scuola dell'infanzia alla primaria alle medie fino al Polo R.E.S.

“Paradossalmente c’è un’umanità che si è amplificata attraverso i contatti, perché se la mia prof mi videochiama a casa, vuol dire che mi pensa”. È proprio così, in un momento in cui il coronavirus ci impone distanze fisiche cui mai prima d’ora eravamo abituati, sembrano essersi rafforzati i contatti emotivi e rafforzata la vicinanza, virtuale, complice la tecnologia.

Ed così che la scuola “è diventata proprio inclusiva, tanto che, chi non risponde e non scrive nel gruppo WhatsApp, fa eco, e subito ti preoccupi e ti attivi per sapere il motivo. È lo stile che hanno tutti, che è il nostro”, spiega Filomena Tramonte, coordinatrice degli insegnanti di sostegno dell’Istituto Comprensivo Voltri 1, diretto dalla Dirigente scolastica Caterina Bruzzone.

Perché appunto in un momento come questo nessuno deve restare indietro, specialmente bambini e ragazzini con bisogni speciali. Alle scuole secondarie sono 23, con disabilità che richiedono tipologie di lavoro e di supporto diverse, e per questo “dopo un momento iniziale di smarrimento, in cui non ci aspettavamo di dover attivare la didattica a distanza così repentinamente, e in cui c’è stata una gara di solidarietà tra noi, per fare formazione ai colleghi meno esperti, il primo pensiero è andato all’aspetto relazionale – continua la docente –: prendere contatti con le famiglie e gli studenti, banalmente con Skype e WhatsApp, e poi ci siamo occupati della parte tecnica”.

Il che è significato rivedere completamente l’orario di ogni docente di sostegno, che andava riprogrammato. Così una parte di tempo è dedicata al lavoro di supporto ai compiti, in un rapporto insegnante-alunno di 1 a 1 o al massimo 1 a 2, e una parte alla ricerca dei materiali digitali. Inoltre “Ci sono colleghi che semplificano, per i ragazzi, tutto ciò che i docenti delle singole materie preparano per le lezioni e le verifiche – continua Tramonte - mentre altri preparano lavori parzialmente differenziati per chi non riesce a seguire i programmi tradizionali. All’inizio non c’erano modalità tutte uniformi, ma ora siamo tutti coordinati e molto coesi”.

E non possono mancare mai nemmeno i momenti con le famiglie: “Due volte alla settimana ci si mette in contatto: hanno bisogni diversi, anche pratici, perché c’è chi fa fatica a scaricare le schede operative dal registro elettronico, e per questo mandiamo comunicazioni costanti su cosa c’è da fare, così come si faceva in classe scrivendo sul diario”.

Questo perchéla realtà del nostro comprensivo si estende su più zone non equamente formate e fornite digitalmente – spiega Chiara Fracassi, insegnante di scuola primaria e da quest’anno animatore digitale - per cui abbiamo cercato con Lia Zunino, che si occupa della Funzione strumentale, di semplificare anche il carico di lavoro, soprattutto alla primaria, dove i genitori ancora lavoravano e spesso i bambini erano affidati a nonni o babystitter, quindi non sempre tecnologicamente dotati”. E lo stesso vale per gli alunni della secondaria, “perché se è vero che a livello di autonomia e di intraprendenza i ragazzi possono gestirsi, non è scontato che le famiglie siano dotate di strumenti o connessioni adeguate”.

Quindi, come i docenti hanno dovuto imparare a caricare i materiali e a usare piattaforme come Gsuite “- il mio compito, insieme a quello della FS, è di ricercare, promuovere e diffondere le migliori scelte e strategie per la didattica digitale: direi che questo è l'anno "giusto"! -, i genitori hanno dovuto a loro volta adeguarsi, “a maggior ragione – conclude Fracassi - le famiglie con figli con BES, Bisogni Educativi Speciali”. Che tra primaria e secondaria sono 27.

 

Diverso, invece, è l’uso della tecnologia per quanto concerne il Polo R.E.S., che fa parte dell’I.C.Voltri 1, ma che accoglie alunni con pluridisabilità, grave ritardo mentale e ridotte capacità di autonomia e comunicative. E che quest’anno sono sei.

“La didattica a distanza per noi è fare coraggio alla famiglia, accompagnarla per mano e ascoltarla”, spiega Enrico Canepa, che si occupa della Funzione Strumentale nell’ambito del sostegno dell’istituto.

Perché per i bisogni di questi studenti e dei loro genitori non servono videolezioni, ma “quello che si fa, dall’inizio dell’anno, in accordo con la famiglia e il neuropsichiatra che li segue, è progettare il PEI, Piano Educativo Individualizzato, adatto a loro per raggiungere grandi o piccoli obiettivi legati ai bisogni primari, che gli altri invece raggiungono in fase prescolare”.

Al Polo, infatti, possono stare fino ai 18 anni, accompagnati in un percorso fatto d’amore, umanità e supporto a tutti gli effetti: “Facendoci carico di queste realtà riusciamo anche a costruire rapporti che vanno al di là del semplice insegnante che dà il compito al bambino e fa il colloquio col genitore, ma ci facciamo carico di preoccupazioni, paura, attese e aspettative di madri e padri”.

E poi ci sono gli spazi e i contatti, quelli fisici, che la tecnologia non può proprio sostituire, perché al Polo ci sono attrezzature, luoghi in cui stare all’aperto, e poi attività laboratoriali che “stimolano anche noi a effettuare attività propedeutiche per acquisire elementi necessari al loro inserimento – continua Canepa –. Infatti collaboriamo con associazioni esterne, come Angsa Liguria, dei genitori con figli autistici, e abbiamo avviato un progetto di danza terapia e di judo e karate, che quindi richiedono un contatto fisico. Sono attività, come anche i laboratori con piccoli gruppi delle classi della primaria, che dovevano servire al loro inserimento”.

Perché è lo stare in mezzo agli altri, realmente, è il contatto diretto che ti prepara alla vita sociale, ad affrontare le difficoltà, anche nel mondo del lavoro, di cui un giorno dovranno far parte. “In una parola è “l’Umbildung, la trasformazione nella formazione”.

E in questo gli insegnanti tutti sono fondamentali, ma in particolare quelli di sostegno che “fanno un lavoro sommerso, ma che poi viene fuori e di cui le famiglie ci sono riconoscenti”, conclude Filomena Tramonte.

Medea Garrone