Era il 20 settembre del 1870 quando Don Giovanni Melchiorre Bosco, nato in provincia di Asti, arrivava ad Alassio chiamato dal locale prevosto, il quale sapeva del suo impegno profuso dal 1860 nell’apertura di numerose scuole. Il previsto gli chiedeva di realizzare qualcosa di analogo qui in Riviera. Nasceva così il primo liceo di don Bosco fuori dal Piemonte.
Questa per la Liguria era un’innovazione, ma le novità non finivano qui: credendo fermamente nelle proprietà salutari per i giovani di quelli che all’epoca venivano chiamati “bagni di sole”, don Bosco ottenne gratuitamente dal Comune la concessione di un tratto di spiaggia (ancora oggi in gestione ai Salesiani, come parte dell’Ostello). Nel tempo sono cambiate molte cose: la scuola che fino ai primi anni ‘70 era solo ed esclusivamente maschile, sia per gli allievi, sia nel personale, oggi conta statisticamente più donne che uomini, sia tra docenti e non docenti, sia tra gli iscritti.
Don Bosco era una mente illuminata e avanti al suo tempo: fondò a Roma e a Torino delle scuole di prestigio per stampatori, capace di far diplomare alunni che poi entrarono in gran parte addirittura nei poligrafici dello Stato. E il Comune di Torino, come gesto simbolico, quando nel 2006 ospitò le Olimpiadi invernali, volle usare proprio una delle macchine da stampa acquistate da don Bosco per la sua scuola (quando, a fine ‘800, rappresentavano l’avanguardia tecnologica dell’epoca), ancora perfettamente funzionante, per stampare alcuni manifesti dell’evento con i cinque cerchi.
Ma insomma, oggi, in 150 anni di storia, che cosa è cambiato al don Bosco di Alassio? Tutto e niente, potremmo dire.
Tutto, nel senso che si sono costantemente rinnovati i piani di studi per essere oggi al passo con un’offerta formativa concorrenziale nel nostro tempo. Niente, perché quello spirito di “grande famiglia” che il “Don” più famoso d’Italia (nel frattempo santificato, oggi San Giovanni Bosco) ha sempre voluto e predicato è rimasto invariato.
Ci racconta don Giorgio, rettore della scuola, giunto da pochi anni da Roma: “Innanzitutto vorrei sfatare quel brutto mito di ‘scuola per ricchi’, la nostra è una scuola per tutti. Nessun allievo è mai stato allontanato per le difficoltà familiari a pagare la retta e nel corso dell’anno facciamo numerosi eventi per autofinanziarci e, se serve, per venire incontro alle esigenze di tutti. L’altro brutto mito è quello di ‘parcheggio’ dove tutti vengono promossi. Niente affatto: semplicemente abbiamo una più alta percentuale di promossi perché abbiamo un rapporto più diretto con gli alunni, molti dei quali interni, che mangiano con noi, vivono con noi, per cui riusciamo a estrapolarne al massimo le capacità e potenzialità”. Chiediamo a don Giorgio se sono questi i segreti che ne fanno una buona scuola. Sorride e ci dice: “Esistiamo da 150 anni. Non credo che ci sia altro da aggiungere”.
Altro, invece, viene aggiunto dal coordinatore didattico, Professor Mimmo Ottonello, che coglie l’occasione di annunciare le date dei prossimi open day, il 14 dicembre e l’11 gennaio, due sabati, in entrambi i casi dalle 16.30 alle 19. Racconta Ottonello: “Oggi la struttura ospita le scuole medie Ollandini, il liceo scientifico e il liceo delle Scienze Umane, caratterizzato dall’opzione economico-sociale. Le materie comprendono economia, diritto, la possibilità di introdurre il tedesco come terza lingua, il tutto pensato ovviamente nell’ottica di uno sbocco universitario, come è consuetudine per i licei, ma anche ragionando su un territorio a chiara vocazione turistica come il nostro”.
Aggiunge, in rappresentanza del corpo docente, la professoressa Laura Odella: “Proprio tenendo conto di questi aspetti turistici abbiamo le lingue inglese e francese per tutto il quinquennio oltre, come detto, alla possibilità di introdurre la terza lingua tedesco. Al di fuori del percorso scolastico – ricorda Odella – offriamo certificazioni linguistiche con insegnanti madrelingua ed esami in loco e siamo test center ECDL”.
Laura Odella oltre che insegnante è mamma e commenta: “Abbiamo un servizio bus e questa per i genitori è una certezza. Un mezzo riservato, senza scioperi, senza estranei, che lascia i figli sotto casa e davanti a scuola”.
Ottonello e Odella dichiarano: “Don Bosco credeva nella regola delle 3C: casa, chiesa e cortile. E questo luogo per i nostri iscritti è davvero casa loro. C’è molto contatto anche con le loro famiglie”.
Il concetto di “grande famiglia” è rafforzato da una mamma, Barbara, che ci racconta: “Il mio primogenito ha scelto di passare dal pubblico al don Bosco, scuola che avevo già frequentato io e prima di me mio padre. Qua si è integrato subito ed è entrato a far parte di diverse attività come animatore salesiano, porta i ragazzi nella casa di Nava e adesso con la professoressa Preve, coordinatrice attività pastorali, sta meditando il pellegrinaggio a Lourdes. Il mio secondogenito aveva superato tutte le prove di ammissione per il liceo musicale di Albenga ma poi, venendo a prendere con me suo fratello a Nava, si è innamorato di questa scuola. Anche lui è iscritto qui e a Natale farà il Dj alla festa di fine anno”.
Spiega ancora Ottonello che tante attività sono concepite per finanziare le attività scolastiche e che, ovviamente, nel centocinquantennale si sono si sono intensificate proprio per celebrare questo momento storico e, al tempo stesso, per costituire un ‘fondo’ per necessità particolari. Le due sagre a inizio e fine estate, le feste degli studenti di fine anno a dicembre e di fine anno scolastico, la castagnata di novembre, la lotteria di Natale sono solo alcuni esempi.
La nostra conversazione si conclude con don Natale, una vera “memoria storica” del don Bosco… “Almeno finché ho ancora memoria io”, scherza lui. Ci racconta: “Sono stato insegnante qui di materie scientifiche, chimica, fisica, geografia astronomica, per 43 anni. Ho smesso di insegnare a 83 anni. E sono stato preside per 27 anni, per un periodo anche delle scuole Medie. Come sono cambiati i ragazzi in questo tempo? Ho visto aumentare il senso di responsabilità personale, oggi vedo tanti giovani maturi e responsabili. E finita la scuola, sempre nel rispetto dei ruoli di tutti, era importante il momento ludico. Finché me la sono sentita ho giocato a calcio e a ping-pong con loro. Non ho mai fatto il conto di quante migliaia di allievi ho visto passare, oggi sono oltre 180 ma in passato ne abbiamo avuti fino a un massimo di 497 in un anno”.
La passione per le scienze di don Natale ha fatto sì che fosse lui a prendersi cura dell’Osservatorio meteorologico presente nella scuola. Ma ancora oggi a 90 anni don Natale sale su e giù diverse volte al giorno per la stretta scaletta di legno: questi macchinari, voluti da don Bosco in persona, furono gestiti da don Rocca come primo operatore mentre dal 1881, sotto il sacerdote don Degna, mandavano informazioni di vitale importanza sulle precipitazioni, i venti, le mareggiate, a Genova e a Roma. Oggi continuano a lavorare per la rubrica sul meteo de “L’Alassino”, il periodico dell’associazione culturale “Vecchia Alassio”.
Terminiamo la nostra passeggiata, dopo aver visitato la torre dell’osservatorio che domina tutta la città, con la stanza dove si riposava don Bosco nelle sue trasferte liguri. Viene la pelle d’oca a vedere documenti autografi di Papa Pio VI e di San Francesco di Sales, stimato da don Bosco proprio per le sue passioni per la stampa. Non è un caso che oggi, parlando dell’Istituto alassino, si dica sempre “dai Salesiani” e non è nemmeno un caso che Sales, con i suoi diari d’epoca, sia oggi il Patrono della professione giornalistica. Anche don Bosco teneva dei diari quotidiani: nella scuola ritroviamo i suoi appunti, i suoi registri di scuola, persino la sua sedia preferita, immortalata in tante foto, restaurata per volontà del professor Antonio Tassara dai giovani della comunità di recupero di Giustenice e impagliata a Imperia da uno degli ultimi artigiani della paglia viennese. E scende una lacrima vedendo il telegramma, con il timbro dell’ufficio postale di Alassio, che recita: “In data 31 gennaio 1888, alle ore 4.15, don Bosco è serenamente spirato”.