- 26 febbraio 2019, 08:00

Tra distorsioni e ritornelli pop, ecco chi sono i Metropony

L’intervista alla band genovese reduce dal lancio del videoclip ufficiale di “Umido Mentale” (VIDEO)

 

Alcuni amici li hanno definiti gli “883 punk” e la descrizione non poteva essere più calzante. Si chiamano Erik De Carolis, Francesca Bosio e Nazario Damonte e dal 2014 si ritrovano sotto il nome di Metropony. Un nome - finalmente - per niente indie, proprio come loro non vogliono essere inquadrati, che cattura fin da subito la mia attenzione e di cui chiedo immediatamente il significato, sospettando un qualche gioco di parole.

E in effetti non ci vado lontano.

“Sai - mi racconta Francesca ridendo - cercare un nome per una band a volte diventa stressante e quando trovi qualcosa che piace anche solo un po’, ti accontenti”. Ma voglio saperne di più. “Un giorno, durante le prove - spiega Erik - Francesca arrivò in saletta con un paio di pantaloni molto larghi, a causa dei quali non riusciva a stare composta sullo sgabello da batteria. Facendoci notare questo dettaglio, disse: ragazzi, oggi ho proprio il cavallo basso. E io - continua il cantante del gruppo - non mi risparmiai di rispondere con un banalissimo: quindi...un pony! A quel punto iniziammo a giocare con la parola pony aggiungendola come suffisso alle altre parole: la fotocamera diventò fotopony e il metronomo metropony. Ci piacque”. Il resto è storia.

Più che un gruppo volto al successo li inquadro come amici di vecchia data che vogliono divertirsi e suonare senza tanti paletti. Le etichette, infatti, gli stanno strette e fuggono più lontano possibile da qualsiasi definizione preconfezionata. E fuggono anche da tutto ciò che è indie: “Siamo indie perché ci autoproduciamo - mi spiega Francesca - ma per tutto il resto non vogliamo in nessun modo essere considerati tali, nel termine in cui oggi la gente considera gli indipendenti. Non amiamo i suonini e non parliamo solo d’amore o di dolore. Ci piace anche raccontare della vecchietta che sta all’ultimo piano. Perché? Perché no?”.

Una band che nasce come progetto inedito e che inedito vuole restare. Chiedo delle influenze e ciò che emerge - anche ascoltando i loro brani - sono gli anni ‘90 e quei pezzi storici che chi, come loro, è nato a cavallo tra ‘80 e ‘90, ha ascoltato per forza e per forza porta dentro. Influenze che tuttavia non si ripropongono marcatamente nella loro musica ma che, in modo quasi inconscio, a volte bussano alla porta o inaspettatamente escono fuori dalle loro melodie.

Dicono no alle etichette e sì alla libertà di espressione. I Metropony, insomma, se le suonano e se le cantano, senza tante pretese, senza voler a tutti i costi conquistare un pubblico. Suonano per sperimentare e alimentare continuamente la loro creatività. Chi li ama, li segua, quindi. “Desideriamo suonare quello che ci piace, senza porci limiti e senza scopiazzature - afferma Francesca - i nostri brani non hanno uno stile predefinito; in una stessa canzone, per esempio, chitarre distorte e ritornelli pop possono benissimo funzionare insieme”.

Il 22 marzo uscirà “La perdita dell’Innocenza”, il primo album autoprodotto dalla band che raccoglierà 10 brani. “L’album nasce come un’esigenza di ognuno di noi - racconta Francesca - è una dichiarazione d’amore verso la nostra musica. Abbiamo scelto di portare un po’ di noi e dei nostri sacrifici fuori dalla saletta”. E tra le canzoni che potremmo ascoltare ci sarà anche “Umido Mentale”, di cui lo scorso 14 febbraio è stato lanciato il videoclip ufficiale.

Giovanna Ghiglione