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| 29 gennaio 2019, 12:00

L’assistente sessuale per i disabili? “No, serve più inclusione sociale, anche col rischio di essere rifiutati, come tutti”. Parola di psicologa

Di recente i Cinque Stelle hanno fatto una proposta di legge: istituire l’”assistente all’emotività, all’affettività e alla sessualità”. Abbiamo chiesto a una psicologa che cosa ne pensi. Si tratta di Laura Cerri, che da vent’anni lavora nell’ambito della riabilitazione psichiatrica. E che crede che quello che servirebbe, più semplicemente, sia una maggiore inclusione sociale

L’assistente sessuale per i disabili? “No, serve più inclusione sociale, anche col rischio di essere rifiutati, come tutti”. Parola di psicologa

Già il sesso è un argomento che in Italia si tratta con un certo pudore. Quando poi si tratta di quello dei disabili, il tabù cresce, soprattutto se si parla di “sex giver”, cioè della figura professionale dell’assistente sessuale (presente in Svizzera, Olanda, Svezia). Di recente i Cinque Stelle hanno fatto una proposta di legge: istituire l’”assistente all’emotività, all’affettività e alla sessualità”. Abbiamo chiesto a una psicologa che cosa ne pensi. Si tratta di Laura Cerri, che da vent’anni lavora nell’ambito della riabilitazione psichiatrica. E che crede che quello che servirebbe, più semplicemente, sia una maggiore inclusione sociale, ricordando film come “La pazza gioia” e “Si può fare”.

Prima di tutto, che cosa significa per una persona, disabile o meno, la scoperta del piacere del corpo?

La sessualità ha componenti sicuramente fisiologiche, ma che aprono al mondo delle relazioni, agli aspetti culturali e all’educazione di ognuno. Infatti fa parte dello sviluppo dell’essere umano, al confine tra corporeo e affettivo, a partire dalla nascita. Il neonato entra in contatto con l’ambiente esterno, quindi con le figure di riferimento, la mamma e il papà, attraverso il canale corporeo; la madre se ne prende cura e lo allatta e quindi il nutrimento passa attraverso la suzione, facendo sì che la prima zona erogena dello sviluppo sia la bocca: questo permette di consolidare sia il legame di attaccamento – il bambino avrà anche nelle relazioni successive - sia la possibilità di sopravvivenza. Da questi scambi, dal contatto tattile, dall’essere tenuto in braccio e pulito, il bimbo impara ad avere fiducia nell’altro. Da qui si passa al desiderio e all’immaginazione: dal corporeo, attraverso le relazioni, si arriva a poter esprimere sentimenti e affettività. Quindi le esperienze precoci in qualche modo condizionano il nostro modo di rispondere ai bisogni fisici e di aprirsi al mondo esterno. È proprio la possibilità di avere esperienze con l’esterno a permetterci di instaurare relazioni di fiducia e di rispetto per se stessi e gli altri.

Quanto il sesso può influire sul recupero psicomotorio della persona disabile?

La sessualità è, da una parte, esprimere i propri bisogni, che diventano desideri e relazione: quindi quando si possono esprimere dei bisogni emotivi, si ha una ricaduta positiva su come ci si stente. E questo è il diritto alla sessualità. Dall’altra parte ricevere attenzioni, essere riconosciuti e fare un’esperienza di scambio, non può che fare stare bene, anche passando attraverso quello da cui devono passare tutti, cioè delusioni possibili e frustrazioni. Ma l’importante è che anche il disabile possa avere luoghi di incontro dove ci possa essere la conoscenza dell’altro, di chi possa interessare e far battere il cuore: questo fa star bene, perché è la normalità delle persone.

Ma il diritto alla sessualità è un diritto negato, in Italia, ai disabili?

Quello che va recuperato e messo al centro è la persona - con disabilità - motoria o psichica o psicomotoria, perché se riusciamo a farlo possiamo anche capire che i bisogni sono quelli della persona. Che sono il poter esprimere le proprie necessità, confrontarsi e stare con gli altri. E questo dà la possibilità di veder rispettato il diritto alla sessualità. Abbiamo ancora un tipo di cultura che tende a pensare alla persona con disabilità, specie quelle più gravi, come a un eterno bambino, come se non avesse il bisogno di esprimere la propria sessualità, o in altri casi, quando è espressa in modo eccessivo o disturbante, viene in qualche modo repressa.

Che cosa dovrebbe fare la società?

Attraverso una politica e una cultura indirizzata davvero all’inclusione, bisognerebbe poter dare a ognuno la possibilità di raggiungere l’adultità, che significa diventare grandi, anche se si è disabili, con la possibilità, soprattutto dall’adolescenza, di non essere isolati. Quindi è fondamentale che scuola e società cerchino di creare occasioni formando le persone all’accettazione e a fare un lavoro sulle emozioni. La scuola è tanto centrata sugli aspetti performanti: i ragazzi sono stimolati dal punto di vista cognitivo, ma immaturi da quelli emotivo. Ciò significa riuscire a riconoscere le proprie emozioni, esprimerle, avere competenze emotive ed essere empatici, che è alla base per poter accettare ognuno per il modo che ha di essere e non spaventarsi davanti a chi è diverso. Lavorando sui bambini, formandoli in modo che riescano a tollerare il disagio o la diversità senza spaventarsi, ma, al contrario, incontrandoli, si può vedere che ognuno ha i propri limiti, ma che possono diventare risorse, aprendo la possibilità di scambi che possano essere arricchenti per chi ha disabilità e chi non le ha. C’è ancora molto da fare, perché purtroppo i ragazzi con disabilità hanno ancora poche occasioni di poter stare con i loro coetanei, mentre questa sarebbe la riabilitazione più importante: stando con gli altri quotidianamente e vedendo riconosciuto il proprio ruolo, avendo scambi, innamorandosi: così c’è la possibilità di esprimersi e star bene. Un bellissimo esempio di inclusione e apertura+ sono i film “Si può fare” e “La pazza gioia”.

In Italia si parla, ma come tabù, della figura del sex o love giver: che cosa ne pensi?

Sposterei l’accento dal continuare a normare e regolamentare la sessualità all’apertura verso il mondo. Credo sia opportuno che ognuno scelga liberamente, ma mi chiedo quanto senso possano avere figure professionali che vadano ad agire su un versante che invece è così legato all’inclusione sociale. Quanto per un disabile può essere più gratificante e rispettoso della sua persona? Quanto può essere più gratificante avere incontri nel mondo reale con uomini e donne con cui instaurare rapporti di amicizia e affettività, piuttosto che una figura professionale che in qualche modo si occupa solo di quello? Penso sia un po’ riduttivo. Semmai vanno fatti interventi sulle famiglie con bambini piccoli, con cui parlare di educazione sessuale, rendendo quelli con disabilità consapevoli del corpo e delle loro sensazioni. Un bambino disabile che ha contatto con gli altri, diventa un ragazzo e un adulto che può farsi autonomamente esperienze sessuali reali, senza bisogno dell’assistente. Nei paesi nordici esistono queste figure, ma esiste anche una cultura diversa della disabilità, mentre in Italia rischiamo di fermarci su quello che è un falso problema. Inoltre, da psicologa, e non solo come persona, mi pongo il problema della delicatezza dell’assistenza all’emotività alla affettività e sessualità: c’è un contatto fisico così intimo che può portare all’innamoramento, e a una situazione che più che far stare bene può fare sentire la persona con disabilità ancor più impotente, perché non siamo nell’ambito della gratuità, ma della prestazione a pagamento. Ben venga l’assistente sessuale, ma lavoriamo per fare in modo che ci siano sempre meno barriere, di ogni tipo.

Il Movimento 5 Stelle ha fatto una proposta di legge: istituire la figura dell’”assistente all’emotività, all’affettività e alla sessualità”. Che cosa cambia rispetto al "sex giver"?

Che bisogno c’è di istituire un profilo professionale per educare all’emotività e all’affettività? Si sviluppano dalle relazioni precoci che il bambino, disabile e non disabile, ha con la famiglia. Si tratta di un qualcosa che si deve favorire nella società: più senso che un disabile esca ogni pomeriggio o quasi come ogni coetaneo e stia nel gruppo dei pari. Sono ambiti differenti: la vera crescita emozionale è quella che parte da quando si è molti piccoli e con la relazione con l’altro si favorisce il più possibile le opportunità di crescita di tutti. Anche perché la crescita emozionale come può essere a pagamento? Cresci da questo punto di vista nel momento in cui ti metti in gioco con l’altro, fai esperienze, secondo lo sviluppo che è di tutte le persone.

Per i genitori di figli disabili il sesso è un argomento particolarmente difficile…

Il confronto e l’esperienza di un figlio con disabilità, specie se grave, è qualcosa di estremamente doloroso e faticoso, per questo le famiglie non vanno lasciate sole, proprio perché non diventi qualcosa di chiuso. Se il disabile rimane “recluso” in casa questo comporta situazioni un po’ al limite, mentre l’apertura è la chiave di tutto. Bisogna far sì che anche i genitori siano sostenuti e che, per quanto difficoltoso, si lavori sempre tanto sulle parti sane residue e sulla possibilità che nella vita del disabile entrino altre persone, amici, coetanei o professionisti, che possano trovare soluzioni insieme ai genitori.

Medea Garrone

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