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Solidarietà | 21 gennaio 2019, 09:16

Parte da Albenga il grande sogno di una nuova "Umanità sotto al tetto"

Un progetto di reintegrazione sociale per ridare speranza e dignità a chi nella vita ha perso tutto

Parte da Albenga il grande sogno di una nuova "Umanità sotto al tetto"

 

Nella società di oggi esistono due mondi, che lottano quotidianamente per incontrarsi: da una parte c’è quello degli “ultimi”, dei senzatetto, di quelle persone che per molteplici circostanze della vita hanno perso tutto o, addirittura, non hanno mai avuto nulla. Dall’altra c’è un mondo dal cuore grande ed è quello della solidarietà, del volontariato, del cosiddetto “terzo settore”: un insieme di realtà che in Italia sono sempre più numerose, che negli anni hanno conquistato visibilità e credibilità e che ogni giorno lottano per ridare speranza e dignità a chi, purtroppo, le ha perse.

La storia che raccontiamo oggi parla proprio di questo: un progetto denominato “Umanità sotto al tetto” nato inizialmente come pagina Facebook ma che nel giro di pochissimo tempo ha dimostrato potenzialità pratiche e organizzative interessanti.

La promotrice si chiama Gabriella Rose e ci spiega: “Vivo nel comprensorio ingauno da anni ma la mia infanzia e la mia adolescenza le ho trascorse a Milano dove ho lavorato nel terzo settore, ad esempio nei capannoni poco lontani della stazione centrale, all’interno dei quali venivano archiviati e catalogati beni di prima necessità da distribuire. All’inizio, era novembre del 2018 quando muovevo i primi passi con questa mia pagina in ambito social, avevo pensato a un progetto di prima accoglienza per chi, come un pit-stop, avesse bisogno di un rifugio per una notte e un pasto caldo. Andando avanti e condividendo attraverso Facebook idee e progetti ho capito che serve qualcosa di più ampio. Una rete di strutture che promettano a queste persone una vita migliore non solo attraverso un tetto, ma con laboratori, percorsi formativi e tutto ciò che possa favorire una reintegrazione”.

Qui non si sta parlando necessariamente di italiani o di stranieri, ma di persone. E i numeri del fenomeno su scala nazionale sono impressionanti. Soltanto a Roma, da ottobre a oggi, in meno di quattro mesi, sono deceduti otto clochard. Secondo le statistiche si tratta di individui principalmente di provenienza estera e di età stimata tra 50 e 60 anni. Ma soprattutto qui in Liguria esiste un “sommerso” che sfugge ad ogni statistica e ad ogni censimento, un mondo fatto di “invisibili” che, come dice Gabriella Rose, “non vivono solo un problema di accoglienza, ma la totale mancanza di una rete familiare che li assista”.

Ci racconta ancora la promotrice: “Ho incontrato personalmente il Vescovo, mi sono recata alla Caritas, ho dialogato con la Casa dei Circoli delle Culture e dei Popoli di Ceriale e ho fatto anche alcune uscite notturne con i City Angels. In tutti questi casi ho incontrato delle persone meravigliose, competenti in merito a queste tematiche e disponibili al dialogo. Ed è qui che ho capito che strada volevo intraprendere: vorrei che Umanità sotto al tetto fosse semplicemente una rete di persone per le persone. Un progetto che mi piace definire ecumenico, che travalichi i credo religiosi e la laicità, gli schieramenti politici, le nazioni di provenienza ed il colore della pelle, dove ci si unisca per il bene di tutti”.

Ed è qui, chiediamo, che entra in gioco la vastità di una piattaforma come Facebook. Ci risponde Gabriella: “In poco tempo, dopo essere partita con cinque o sei amici che conoscevo di persona, la pagina ha superato i 180 iscritti, questo è ottimo. Ma vedo che più spesso la gente è disposta a contribuire con un versamento economico piuttosto che con il proprio tempo, perché i ritmi di vita di oggi ci costringono a vivere sempre di corsa. Ma non bastano i soldi: servono braccia, teste, volontà e tempo”.

In questa serie di incontri con le associazioni, c’è chi propone un’ampia struttura dormitorio. E poi c’è l’idea di ReCoSol, la Rete dei Comuni Solidali, che è anche l’ipotesi più apprezzata dalla Caritas: quella di una rete di accoglienza diffusa, fatta di tanti piccoli appartamenti sul territorio. Gabriella spiega che l’ideale sarebbe poter fare convivere entrambe le cose: un vasto spazio di prima accoglienza per chi ha davvero bisogno almeno di ripararsi una sola notte e in seconda battuta un circuito di case che consentano la vera reintegrazione nella società, in mezzo alle persone. Ovviamente più si fa vasta la proporzione del progetto, più servono collaboratori. Ci racconta a questo proposito l’organizzatrice: “Solo nel comprensorio ingauno esistono una comunità indiana e una comunità marocchina fatte di persone integrate, che lavorano, che non hanno paura di dedicare tempo ed energie al progetto e che non solo sarebbero disposte a condividere il proprio tempo, ma anche le proprie testimonianze ed il proprio vissuto”.

Perché alla fine siamo tutti una sola “Umanità sotto al tetto” e lo scopo finale dell’intero progetto è proprio questo: arricchire “gli utenti”, se così vogliamo chiamarli, per far loro ritrovare stabilità e dignità, ma arricchire allo stesso modo anche i volontari, condividendo con loro storie ed esperienze da custodire per sempre come positivi ricordi nel proprio cuore.

Chiunque abbia letto questo articolo e pensa di avere tempo, spazi, energie e volontà per contribuire all’iniziativa, può prendere contatto attraverso questa pagina Facebook: https://www.facebook.com/groups/329807644486992/

 

Alberto Sgarlato

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